«Solo a Sparta le donne comandano gli uomini», disse un giorno una straniera rivolta a Gorgo, moglie del re Leonida, l’eroe delle Termopili.
La regina, senza esitazione, rispose: «Sì, ma solo le donne di Sparta generano veri uomini».
Questo breve scambio, riportato dallo storico Plutarco nella sua Vita di Licurgo, racchiude l’essenza di ciò che rendeva uniche le donne spartane: dignità, coraggio e una libertà che, nel mondo greco, non aveva paragoni.
Sparta era una città interamente centrata sulla formazione militare. In questo contesto, le donne non erano semplici spettatrici della vita pubblica: erano fondamentali per il futuro della polis. Generare bambini sani e vigorosi significava rifornire costantemente l’esercito di combattenti pronti, e per questo motivo l’educazione e l’allenamento fisico delle giovani spartane erano considerati cruciali.
A differenza delle altre greche, confinati quasi esclusivamente nel gineceo, le spartane vivevano all’aperto, libere dai lavori domestici affidati alle schiave e dai figli curati dalle nutrici. Potevano dedicarsi al canto, alla danza, alla poesia e, soprattutto, alla ginnastica. Licurgo, il legislatore leggendario, aveva promosso un addestramento fisico rigoroso: «Addestrò i corpi delle fanciulle a correre, a lottare, a lanciare il disco e i dardi, acciocché quei feti, che in esse poi si fossero formati, germogliassero meglio», scrive Plutarco.
Le giovani spartane erano atletiche, forti e perfettamente allenate. Gareggiavano in corsa, lotta, equitazione, lancio del disco e del giavellotto, spesso in pubblico e persino contro i maschi. In alcune occasioni si allenavano nude, come ricordava il poeta Ibico nel VI secolo a.C., definendole «esibitrici di cosce». Questa libertà fisica alimentava voci e pettegolezzi sul loro comportamento sessuale: Euripide, nella tragedia Andromaca, fa dire a Peleo che «neppure se lo volesse, una fanciulla spartana potrebbe essere casta», sottolineando come la loro vita fosse lontana dai rigidi schemi del resto della Grecia.
Ma Sparta non celebrava solo la forza fisica femminile: riconosceva anche la capacità di eccellere nelle competizioni olimpiche. La prima donna a trionfare alle Olimpiadi fu una spartana: Cinisca, sorella del re Agesilao II. Partecipò, probabilmente nubile, alle corse dei carri vincendo nel 396 a.C. e nel 392 a.C. La sua impresa ebbe vasta risonanza in tutta la Grecia e aprì la strada ad altre donne sportive.
In onore di Cinisca furono erette due statue nel santuario di Zeus a Olimpia: una raffigurante la stessa Cinisca, l’altra il carro con cavalli e auriga. L’iscrizione a lei dedicata, ancora oggi conservata, recita:
“Cinisca, vittoriosa, ha eretto questa statua. Io dichiaro di essere l’unica donna in tutta la Grecia ad aver vinto questa corona.”
La vita delle donne spartane, così diversa da quella delle altre greche, dimostrava un principio semplice e potente: la libertà e la forza femminile non solo generavano uomini veri, ma contribuivano alla sopravvivenza e alla grandezza di Sparta stessa. La loro educazione fisica, la disciplina e la presenza pubblica erano strumenti di potere e rispetto, una forma di autorità silenziosa ma totale.
In un mondo dominato da uomini, le donne spartane incarnavano una libertà che non si limitava al corpo: governavano le loro vite, educavano i figli al coraggio, partecipavano attivamente alla vita della città e lasciavano un segno indelebile nella storia della Grecia.
Sparta ci ricorda che la forza, la dignità e il ruolo femminile non sono concetti moderni: sono radicati nella storia e nelle leggende di una civiltà che comprese il valore della donna come generatrice di uomini, cittadini e guerrieri.
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