
Senet,
gioco da tavolo realizzato per Amenhotep III con cassetto scorrevole
separato. Maiolica smaltata, ca. 1390-1353 a.C. (Brooklyn
Museum,Charles Edwin Wilbour Fund).
I Testi dei sarcofagi consentivano al
defunto di unirsi a “quelli che non muoiono” e permettevano
all’anima di rinascere.
Le formule che componevano questi testi
sono circa 1.185 e sono una guida per arrivare all’Amenti (Ament o
Amentet: terra nascosta, cioè il regno dei morti). Alcune delle
formule catalogate sono delle invocazioni alle divinità protettrici
dei morti: Osiride, Anubi, Iside e molte altre.
I Testi dei sarcofagi sono formule
funerarie prodotte per lo più tra il 2180 – 2055 a.C. (Primo
periodo intermedio) e il 2055 – 1650 a.C. (fine del Medio
Regno).
Derivano dai più antichi Testi delle piramidi ed erano
scritti su sarcofagi lignei; la loro caratteristica innovativa è che
esprimono desideri e timori del defunto.
Dopo il Primo periodo intermedio,
periodo oscuro per la civiltà egizia, la comparsa dei Testi dei
sarcofagi fu un segno di cambiamento: gli Egizi, finalmente, uscivano
da un periodo di anarchia politica e religiosa che aveva influenzato
religione e riti.
Il passaggio ai Testi dei sarcofagi
decretò un’importante trasformazione sociale: ogni egizio che
poteva permettersi un sarcofago poteva utilizzare le formule magiche
rituali, per accedere alla vita eterna.
Fino a quel momento, il
loro impiego era stato concesso solo al faraone che le faceva
riprodurre sulle pareti all’interno della piramide. I Testi dei
sarcofagi, evolvendosi, condurranno alla realizzazione del Libro dei
morti
Nonostante i nuovi principi religiosi
che miravano all’uguaglianza degli uomini di fronte alla divinità,
la rinascita non era ancora concessa a tutti: solo a chi poteva
permettersi costose spese funerarie.
I Testi dei sarcofagi erano
una sorta di manuale che forniva sostegno al defunto, per inoltrarsi
nella Duat, ed erano la trascrizione dei Testi delle piramidi.
Per gli Egizi, il sarcofago (neb ankh:
possessore di vita) era un oggetto magico ed era assolutamente
necessario per lo svolgimento del rito funebre. La sua funzione era
quella di proteggere il defunto per l’eternità. Il coperchio era
il cielo, il fondo la terra, i lati i quattro punti cardinali.
Il defunto era deposto nel sarcofago
con la testa posta a nord; il volto girato verso oriente, dalla parte
dove sorgeva il sole. All’altezza degli occhi erano dipinti due
udjat (Occhio di Horus) che permettevano al defunto di vedere
all’esterno.
Sono giunti a noi alcuni sarcofagi:
quello di Khnumhotep. Nel suo caso, i testi chiedevano offerte
funerarie al defunto e la protezione divina; quello di Mereru, in cui
sono presenti magnifici geroglifici azzurri eseguiti con grande
meticolosità; quello di Iger, completamente decorato e rivestito di
iscrizioni di colore nero in ieratico (forma di scrittura dell’antico
Egitto usata nel quotidiano).
Nel caso i rituali magici non
funzionassero, i Testi dei sarcofagi più ricorrenti iniziarono a
citare i meriti del defunto: una vita ben spesa sembrò essere una
garanzia maggiore di accedere alla vita eterna. Inoltre, nei testi il
defunto comunica anche la sua speranza di essere ricordato da coloro
che gli portavano offerte.
A volte, tra le offerte (formula 405)
era presente anche il gioco del senet, un gioco da tavolo molto
antico, simile al backgammon.
Il senet compare per la prima volta
nell’Antico Egitto; ne esistono molti esempi rinvenuti nelle tombe
del Medio e Nuovo Regno.
Questo gioco simboleggiava il legame tra
la morte (il defunto che gioca) e la vita (avversario vivente).