martedì 14 giugno 2022

Annibale ha davvero "strappato la sconfitta dalle fauci della vittoria" non marciando su Roma subito dopo Canne?

Nella maggior parte delle battaglie, la parte perdente subisce qualcosa come il 10-20% di perdite. In genere, perdere il 20% delle forze combattenti è un colpo abbastanza forte da danneggiare seriamente la capacità di combattimento di un esercito.

Nella battaglia di Gettysburg, le forze confederate persero circa il 30% dei loro uomini, e questa fu una delle battaglie più sanguinose della storia.

Poi c'è la battaglia di Canne.




Mettetevi nei panni di un romano di allora.

  • Avete inviato l'esercito più grande che Roma abbia mai messo insieme, con un margine sbalorditivo.

  • Annibale vi combatte su un terreno aperto, testa a testa. Questo è l'esatto tipo di combattimento in cui Roma eccelle.

  • Annibale è in inferiorità numerica di 2 a 1

Sembra una vittoria scontata, giusto? Ebbene, immaginate di sentirvi dire che avete perso. Anzi, non solo avete perso, ma siete stati umiliati e l'80% del vostro esercito è stato distrutto. Sembrerebbe l'apocalisse, non è vero?

È qui che entra in gioco uno dei maggiori punti di forza di Roma: non si arrendeva mai. Roma era tenace oltre ogni ragionevole dubbio e non accettava mai la sconfitta. I Romani perdevano le battaglie, spesso in modo grave, ma rispondevano sempre attaccando di nuovo.

Dopo la sconfitta romana nella battaglia di Carrhae, Cesare progettò di invadere la Partia. Anche dopo la morte di Cesare, Antonio si occupò personalmente di questo compito.

Dopo la sconfitta romana nella battaglia della Foresta di Teutoburgo, Germanico guidò una forza di rappresaglia in Germania e schiacciò diversi eserciti tedeschi.

Se Roma perdeva una battaglia era solo una piccola battuta d'arresto sulla strada della totale e completa vittoria romana, o almeno così la vedevano.


Ora dobbiamo parlare di Annibale.

Annibale aveva con sé un esercito molto esperto. Questi uomini erano temprati alla battaglia e leali.

Tuttavia, c'erano dei punti deboli:

  • Non arrivavano rinforzi. I rimanenti uomini di Annibale erano bloccati in Spagna a proteggere il territorio di Annibale dagli attacchi romani.

  • L'esercito di Annibale non disponeva di vere e proprie linee di rifornimento ed era costretto a vivere sul territorio

Annibale doveva rimanere mobile e veloce. Il suo obiettivo era quello di mettere l'Italia contro Roma.

All'epoca, infatti, gli italiani non erano ancora diventati "romani". L'Italia era unita sotto questa grande alleanza romana in cui ogni città/regno era vassallo di Roma. Il piano di Annibale era di mettere questi vassalli contro Roma.

Questa strategia era il meglio che Annibale potesse fare e non funzionò mai veramente.

Osservando la situazione di Annibale si nota che un assedio è impossibile per una serie di ragioni.



  1. Senza vere linee di rifornimento, gli uomini di Annibale inizieranno a morire di fame molto rapidamente se rimarranno sul posto per mesi e mesi.

  2. L'esercito di Annibale, che raggiungeva i 50.000 uomini, non è abbastanza numeroso per assediare una città delle dimensioni di Roma. Un tale compito richiederebbe l'utilizzo dell'intero esercito per circondare la città.

  3. Con Annibale bloccato in un assedio, Roma poteva radunare nuovi eserciti altrove e alla fine intrappolare Annibale.

  4. La più grande risorsa di Annibale era la sua cavalleria d'élite, inutile nella guerra d'assedio.

  5. Annibale non aveva rinforzi e gli assedi sono costosi. Non poteva permettersi di perdere così tanti uomini nel tentativo di conquistare Roma. Se l'assedio fosse fallito, si sarebbe indebolito enormemente per nulla.

Annibale non aveva il necessario per prendere Roma e lo sapeva.

Alla fine Annibale portò tutti i suoi uomini dalla Spagna in Italia, sperando che con un numero sufficiente di uomini potesse finalmente colpire Roma.

Questi rinforzi furono però tagliati fuori e distrutti, lasciando Annibale senza alcuna speranza di vittoria.

Quando fu richiamato in Africa, la guerra era comunque già persa.


lunedì 13 giugno 2022

Fin dove si spinsero i Romani, in Africa ed Asia? Fin dove arrivarono le spedizioni esplorative o i mercanti Romani?

Nel 146 a.C, con la vittoria nell'ultima guerra punica, Roma pose piede in Africa.


Territori Romani dopo la III guerra punica.


In seguito questi domini si ampliarono con la conquista della Numidia (46 a.C), Mauretania (40 d.C..) ed Egitto (30 a.C,). Giunti in Africa, i Romani iniziano a mandare spedizioni oltre il proprio territorio, per esplorare, con il fine di elaborare mappe sui territori che confinavano con l'impero Romano, così da sapere cosa aspettarsi dalle popolazioni barbare di oltre limes, nonché per preparare mappe per eventuali future spedizioni di conquista. Queste esplorazioni furono attuate in concomitanza con la creazione del limes romano nell'Africa settentrionale.

Cavaliere Numidico.

Mappa dell'Africa romana.

Ipotetica navigazione del fenicio Annone in Africa.


Si ipotizza che i Romani avessero una certa conoscenza della costa africana atlantica, almeno sino all'altezza dell'attuale Sahara e-spagnolo, per la navigazione dei fenici e cartaginesi in dette aree, oltre le colonne d'Ercole.

Mappa delle spedizione,a noi note, dei romani, al di là dei propri territori.


In seguito, infatti, al consolidamento del potere romano nell'Africa mediterranea, tra il 146 a.C. ed il 42 d,C,, iniziarono gli attriti con la bellicosa tribù nomade dei Garamanti che viveva nell'attuale regione del Fezzan, la vasta area del deserto del Sahara, appartenente all'attuale Libia. I Garamanti vivevano di commercio e razzie ed erano intermediari tra la regione Subsahariana (attuali stati del Niger, Ciad, Sudan, Mali, Burkina-Faso e Benin) e le città e porti della costa nord Africana, in mano a greci (Cirenaica) e Cartaginesi, a cui subentrò Roma, dopo la vittoriosa conclusione della III guerra punica.

Guerrieri del popolo dei Garamanti.


Garamanti.


Siccome il dazio che questi nomadi imponevano sulle merci in transito era sempre più gravoso, i commercianti italici chiesero ed ottennero una sorta di “spedizione punitiva” contro i Garamanti che li liberassero definitivamente dalle gabelle imposte. Garama era la capitale del regno dei Garamanti e corrisponde all'odierna città di Germa famosa sia ai Greci che ai Romani per le cronache degli storici Erodoto, Plinio il Vecchio, Seneca e Tacito... Scopo della spedizione romana era la conquista di questa città, l'eliminazione dei tributi dovuti ai nomadi del Sahara, nonché la possibile conquista delle piste carovaniere medesime da parte dei Romani.

Queste spedizioni portarono i Romani al di là del Sahara in quelle terre che le carte geografiche rinascimentali riporteranno con la famosa dicitura "Hic sunt leones".

Le origini della più antica rotta carovaniera del Sahara furono scoperte dall'archeologo francese Herni Lhote, che, tra il 1935 ed il 1950, studiò a fondo le pitture rupestri neolitiche della regione compresa tra la Libia meridionale, l'Algeria meridionale, il Niger settentrionale ed il Ciad settentrionale. Tale rotta era quella che attraversava le regioni storicamente abitate dai Garamanti e, a meridione di questi, dai "Trogloditi" (probabilmente gli attuali Tuaregh). Lhote scoprì un graffito vicino ai pozzi di Arlit, nell'attuale Niger, (cittadina oggigiorno nota per le sue miniere di uranio, tra le più produttive al mondo) tra l'Hoggar ed Essouk, l'antico centro berbero di Tademekka nel Sahara meridionale, che evidenziava un carro di tipica foggia cretese in uso ai Garamanti, confermata da un ritrovamento analogo vicino ai pozzi di Ti-m-Missao sull'antica pista tra l'Hoggar e l'Adrar degli Ifoghasin Mali.

Queste scoperte confermarono definitivamente il ritrovamento della più antica rotta carovaniera del Sahara, che lo attraversava completamente dalla costa libica della Sirte fino al fiume Niger, databile almeno al primo millennio avanti Cristo, parecchi secoli precedente ai primi insediamenti dei berberi libici conosciuti. Successivamente (1955), monete romane e ceramica italica vennero rinvenute sino in Costa d'Avorio

Le ricerche di Lhote accertarono che i legionari romani seguirono l'antica pista carovaniera attraverso il Sahara fino al fiume Niger. Considerati i tempi, l'impresa ha dell'eccezionale, in quanto non era nota ai Romani la reale estensione del Sahara, per cui non era facilmente preventivabile il quantitativo d'acqua da immagazzinare alla partenza. Inoltre, essi avrebbero dovuto avvalersi di guide locali, forse Garamanti rinnegati, al fine di non perder l'orientamento. In ultimo, l'equipaggiamento di ogni singolo milite – con ogni probabilità – esulava dalla classica armatura in metallo lorica e dall'elmo in metallo, allo scopo di meglio tollerare il caldo torrido di quelle latitudini, così come lo zaino era quasi del tutto inutile, visto che non è affatto agevole costruire campi fortificati tra le dune di sabbia. C'è da considerare anche il fatto che il Niger ha il percorso più strano tra i grandi fiumi, una forma a boomerang, che per secoli è stato un enigma per i geografi. I Romani pensavano che il Niger fosse parte del fiume Nilo

La prima spedizione Romana a sud del Sahara a noi nota fu quella del console suffetto Lucio Cornelio Balbo che con 10.000 uomini, partito da Sabratha, sulla costa mediterranea dell'attuale Libia, condusse un esercito di una decina di migliaia di uomini per 1.600 km nel profondo del deserto del Sahara, uno dei luoghi più caldi del pianeta, raggiungendo prima l'oasi di Cydamus (oggi Gadames) – ove lasciarono un presidio militare - dopo una marcia di circa 550 km, piegando poi ad angolo retto verso sud per altri 650-700 km attraverso l'Hamada el -Hamra, ed infine riuscendo ad occupare i più importanti centri della regione, come Debris (oggigiorno Adri) e Baracum (attuale Al Biraq) nello Wadi Shati e Tabidium (Awbari), e la capitale dei Garamanti, Garama. Quindi cadde il centro berbero di Rapsa, l'attuale Ghat, a soli 80 km a nord di Djanet, il centro dell'attuale Algeria non distante dal confine libico, che venne investito dopo solo un paio di giorni.

In seguito, l'esercito romano si spinse a sud dell'oasi di Bistra nel Sahara meridionale algerino (Tassili). Secondo Plinio, la Legio III Augusta, al comando di Cornelio Balbo, scese verso sud, passando per Alasi (Abalessa nell'Hoggar) e Balsa (Illesy), sino a toccare diversi fiumi, tra i quali il fiume Dasibari. Secondo Lhote, il legato romano avrebbe potuto percorrere l'antica "strada dei carri", l'antica carovaniera che correva lungo la sponda orientale del Bahr Attala, il "Mare di Atlantide", citato anche in un libro della Bibbia. Lungo quella strada sono frequenti le raffigurazioni dei carri dei Garamanti.

I Romani passarono per la regione odierna di Tamanrasset per costeggiare l'attuale confine tra Algeria e Niger. L'unico resto fossile di un grande fiume (probabilmente ancora ricco d'acqua al tempo della spedizione romana) è quello che scorreva poco distante dalla città di Tilemsi, non distante da Gao, nell'Adrar degli Ifoghasal termine della pista del Tanezrouft, nell'attuale Mali. I Songhai, una popolazione locale, chiamavano – e tuttora chiamano – "Isabari" ("Grande Fiume") il fiume Niger, che consideravano alla stregua d'una vera e propria divinità, e, secondo antiche leggende i padroni ne erano i "Da". Con ogni probabilità, i Romani storpiarono la parola locale "Da Isa Bari" ("Padroni del Grande Fiume") in "Dasibari", che foneticamente risulta quasi del tutto sovrapponibile all'accezione originale.

La spedizione di Cornelio Balbo nel 19 a.C. aveva raggiunto il fiume Niger nella sua grande ansa nell'attuale Mali, tra le odierne città di Gao e Timbuctù, attraversando l'intero Sahara sull'antica pista carovaniera aperta mille anni prima. Essa partiva dal Golfo della Sirte nella Libia mediterranea, passava per l'oasi di Ghadames ed entrava nel Sahara centrale fino all'oasi d'Ilesy proseguiva attraverso l'Hoggar per il centro di Abalessa, da dove attraversava il Tanezrouft verso l'Adrar des Iforhas, ai margini del quale vi era il centro carovaniero d Tabemekka, e infine giungeva sul Niger a Gao. Con ogni probabilità, lungo questa pista – in senso opposto – giungevano a Roma avoro, oro, diamanti, lapislazzuli ed animali esotici. Balbo ed i suoi legionari poi riuscirono a ritornare a Roma ed ottennero il trionfo. Con questa sua spedizione Balbo, sottomise la Cirenaica, Fezzan, Algeria centrale e meridionale e portò per la prima volta i Romani oltre il deserto del Sahara.


Spedizioni Nubiane d'Augusto

Nel 30 a.C. Augusto istituì la provincia romana dell'Egitto (titolo ufficiale latino: Alexandreae et Aegyptus), a seguito alla conquista del paese e della morte di Cleopatra e Cesarione. L'Egitto divenne parte dell'impero romano, in qualità di provincia imperiale (fu anzi la prima provincia imperiale propriamente detta) governata da un prefetto scelto dall'Imperatore nell'ordine equestre: il praefectus Alexandriae et Aegypti. Il principale interesse romano per l'Egitto era costituito dall'approvigionamento di grano per l'Urbe.nEL 29 A.c. IL primo prefetto d'Egitto Cornelio Gallo, dovette reprimere un'insurrezione nel sud della provincia e condurre un esercito a sud per stabilire un protettorato (una sorta di “zona cuscinetto”), sulle terre comprese tra la prima e la seconda cataratta del Nilo. Nella parte settentrionale della Nubia (la regione del Triakontaschoinos, che si estendeva per 300 km a sud di File) fu quindi posto un tyrannus quale "sovrano cliente" dei Romani.

La provincia romana d'Egitto.


Contemporaneamente alla partenza di Elio Gallo ( 24 d.C.) per l'Arabia, i kushiti del nord dell'attuale Sudan attaccarono la provincia egiziana, in particolare le città/forti di Siene ( oggi Aswan ), Elefantina e File e determinando la nomina di un nuovo prefetto d'Egitto, un certo Gaio Petronio. Quest'ultimo con le forze rimaste a difesa della provincia (altri 10 000 armati), fu costretto ad intervenire, riuscendo a battere un esercito di 30 000 Kushiti e costringendoli a ritirarsi a sud di Pselchis(la moderna Dakka).

Non contento però di aver fatto numerosi prigionieri due anni prima e di aver occupato la città di Pselchis, decise di compiere una campagna nel paese dei Kushiti. Egli occupò per prima cosa la città di Qasr Ibrim, e poi decise di spingersi ancora più a sud fino a Napata (a 600 km da Qasr Ibrim, all'altezza circa della IV cataratta), una delle loro due capitali, distruggendola completamente e rendendo schiavi i suoi abitanti. Al contrario la seconda capitale, Meroe riuscì invece a salvarsi dall'assedio romano.

Meroiti del I secolo.


Di queste due ultime campagne ne parla lo stesso Augusto nelle sue Res Gestae:

(LA)

«26. [...] Meo iussu et auspicio ducti sunt duo exercitus eodem fere tempore in Aethiopiam et in Ar[a]biam, quae appel[latur] Eudaemon, maximaeque hostium gentis utriusque copiae caesae sunt in acie et complura oppida capta. In Aethiopiam usque ad oppidum Nabata perventumest, cui proxima est Meroe. In Arabiam usque in fines Sabaeorum processit exercitus ad oppidum Mariba.»

(IT)

«26. [...] Per mio comando e sotto i miei auspici due eserciti furono condotti, all'incirca nel medesimo tempo, in Etiopia e nell'Arabia Felice., e grandissime schiere nemiche di entrambe le popolazioni furono uccise in battaglia e conquistate parecchie città. In Etiopia arrivò fino alla città di Napata, di cui è vicinissima Meroe. In Arabia l'esercito avanzò fin nel territorio dei Sabei, raggiungendo la città di Mariba.» 22 a.C.


In seguito ad un nuovo attacco da parte dei Kushiti della regina Candace, il prefetto d'Egitto Petronio fu costretto nuovamente a condurre le proprie armate nel sud del paese. Anche questa volte le forze dei Kushiti furono battute e respinte. La nuova spedizione romana si risolse con un sostanziale successo: i Kushiti furono sufficientemente scoraggiati dal compiere nuove incursioni nella vicina provincia d'Egitto, mentre la regina Candace, costretta da Petronio al pagamento di pesanti tributi, ottenne dallo stesso Augusto, un trattato di pace ed amicizia. Frattanto Petronio lasciava a guardia dei confini meridionali un'unità ausiliaria di 500 armati nella fortezza collinare di Primis (Qasr Ibrim) a circa 200 km a sud di Siene.

La spedizione romana alle sorgenti del Nilo fu promossa da Nerone per scoprire da dove avesse origine il grande fiume africano.

Fu condotta tra il 62 ed il 67 d.C. da un piccolo gruppo di soldati romani, tra cui due centurioni, che risalirono il Nilo verso l'Africa equatoriale. È parte di un insieme di spedizioni, condotte tra il 19 a.C.. e l'86 d.C.., volte all'esplorazione e all'acquisizione del controllo delle vie carovaniere attraverso il Sahara, che garantivano il commercio tra la costa mediterranea e l'Africa subsahariana;.Nel caso delle spedizioni alla scoperta delle sorgenti del Nilo, si sommava, pure un vivido interesse scientifico e geografico di greci e romani, per risolvere il rebus delle sorgenti di questo fiume, che dava vita a una terra altrimenti sterile ( l'Egitto ).. La penetrazione romana nell'Africa subsahariana fu superata solo dall'espansione islamica tra l'VIII e il XV secolo e poi da quella delle potenze europee nel XIX secolo.

Secondo la maggior parte degli studiosi, la spedizione ebbe carattere esplorativo.

Intorno al 62 d.C. Seneca scrisse che Nerone aveva mandato alcuni legionari verso la città di Meroe in Nubia, al fine di esplorare tutto il Nilo a sud di quella capitale. Questa spedizione fu voluta dall'imperatore romano per ottenere informazioni sull'Africa equatoriale sulle sue possibili ricchezze.


Meroiti e cavaliere dell'Egitto romano.


Un'altra spedizione, registrata da Plinio il Vecchio nel 67, era probabilmente finalizzata a raccogliere informazioni per un'eventuale conquista da parte di Nerone di quello che oggi è il Sudan. Comunque, secondo la maggior parte degli studiosi, vi è la concreta possibilità che le due spedizioni siano in realtà state la stessa.Questa spedizione fu la prima nella Storia a partire dall'Europa verso l'Africa equatoriale. Probabilmente durò diversi mesi, oltrepassando prima le paludi sudanesi, chiamate Sudd durante la stagione secca e poi raggiungendo la zona del nord Uganda.

Sia Seneca, sia Plinio accennano, nelle loro opere, a spedizioni inviate da Nerone in Etiopia, nome col quale i romani identificavano tutte le terre a meridione dell'Egitto sul corso del Nilo. Seneca, in particolare, parla di una missione esplorativa volta a raggiungere la sorgente del fiume.

Nelle Natuarales quaestiones (del 65 d.C. circa), Seneca dedica un trattato alla descrizione del corso e delle variazioni di portata del Nilo, il De Nili incremento, nel quarto libro.

È tuttavia nel trattato sui terremoti, De Terrae Motu, presente nel sesto libro, che accenna a una spedizione che Nerone avrebbe inviato nel 61 d.C. per esplorare la sorgente del Nilo (ad investigandum caput Nili). Seneca riporta la testimonianza di due centurioni che parteciparono alla spedizione, che raggiunse una zona con vaste paludi a tratti impenetrabili, percorsa da un fiume di dimensioni considerevoli, da loro identificato con il Nilo, che sgorgava tra le rocce.

A Seneca non sembra interessare se la spedizione abbia identificato o meno la vera sorgente del fiume, ma utilizza la testimonianza resa dai due soldati solo a conferma dell'esistenza delle acque sotterranee, che sta presentando come una delle possibili cause dei terremoti. Afferma infatti che il fiume descritto non possa che sgorgare da un enorme lago sotterraneo.

Seneca fornisce inoltre un secondo dettaglio: la spedizione ricevette aiuto da un re di Etiopia e, attraverso di lui, dai re dei paesi vicini (cum a rege Aethiopiae instructi auxilio commendatique proximis regibus penetrassent ad ulteriorem).

In un articolo del 1996 pubblicato sul mensile Nigrizia, Giovanni Vantini, studioso appartenente all'ordine dei padri comboniani, ha identificato in Meroe la città in cui i romani incontrarono il re di Etiopia e la descrizione della palude resa dai centurioni come un chiaro riferimento al lago No, formato dalla confluenza del Bahr el Hhazal con il Nilo bianco.

Per Vantini inoltre non sarebbe da escludersi che la spedizione sia arrivata anche in territorio ugandese, interpretando come un riferimento alle cascate Murchison, note in passato come Kabalega, il seguente passaggio riportato da Seneca "Abbiamo visto due rocce, dalle quali la forza del fiume fuoriusciva con potenza" (Ibi, inquit, vidimus duas petras, ex quibus ingens vis fluminis excidebat).

Le cascate, con un salto di circa 50 metri, si trovano in prossimità del lago Alberto e sono formate da un ramo del Nilo bianco emissario del lago Vittoria.


Plinio il Vecchio

Dopo alcuni anni, nel 70 d.C.Plinio il Vecchio scrisse di una spedizione di Nerone in vista di una guerra di conquista in Etiopia,richiamando una precedente spedizione inviata da Publio Petronio, prefetto dell'Egitto, durante il regno di Augusto, volta alla conquista della città di Meroe (a 200 km a nord dell'odierna Khartum. Plinio descrive con relativa accuratezza il percorso della spedizione, gli antefatti, le città espugnate e le distanza percorse, permettendo di confrontare la spedizione neroniana con quella augustea. In particolare, alcune informazioni fornite da Seneca trovano conferma nell'opera di Plinio.


Viaggio successivo di Diogene

Il resoconto della spedizione era sicuramente noto ai mercanti greci e romani che risiedevano in Egitto, tant'è che Diogene, un mercante greco-romano vissuto tra il 70 e il 130 d.C., di ritorno da uno dei suoi viaggi, veleggiò lungo il Sinus Arabicus (il Mar Rosso) e, dopo avere toccato Adulis e Rhapta, marciò nell'interno del continente,, fino a due grandi laghi dietro i quali si ergevano le montagne innevate da dove pensò nascesse il Nilo. Egli chiamò rispettivamente "Monti della Luna" le vette innevate dei monti Meru e del Kilimangiaro, "Laghi della Luna" il lago Vittoria, il lago Eyasi ed il lago Natron..Chiamò poi "Altipiani della Luna" i territori corrispondenti all'attuale parco nazionale del Serengeti.

Rotte commerciali in epoca imperiale.


Anche Marino di Tiro raccontò la storia del viaggio di Diogene, così come Claudio Tolomeo, il quale attestò che al centro del continente africano vi erano sicuramente quei grandi laghi alimentati dalle "Montagne della Luna" dai quali usciva il Nilo.

La Geographia di Tolomeo fu tradotta in latino una prima volta in epoca umanistica da Iacopo d'Angelo da Scarperia.

Corso del Nilo.

Mappa medievale realizzata sulla base della descrizione di Tolomeo del Nilo. I laghi e le montagne visti sul fondo erano molto probabilmente influenzati dal racconto di Diogene.


I romani sapevano dell'Africa sud-orientale, che chiamavano Azania. I porti lungo la costa dell'Africa orientale facevano parte di una complessa rete commerciale attraverso l'Oceano Indiano a cui partecipavano i romani. Ma mentre i romani nelle postazioni commerciali sulla costa del Mar Rosso egiziano devono aver saputo che le merci che stavano ricevendo stavano arrivando dall'Azania, rimane la domanda se qualche romano fosse effettivamente arrivato nei luoghi da cui provenivano originariamente.

Tolomeo descrive la testimonianza di un mercante nel commercio nell'Oceano Indiano di nome Diogene che nel 100 d.C. circa naufragò e dopo 25 giorni in mare si trovò in una città commerciale chiamata Rhapta. Secondo il suo resoconto, Rhapta era caratterizzata da un fiume che entrava nell'Oceano Indiano e da un'isola dall'altra parte della costa che formava uno stretto. Sembra un po' come l'attuale Zanzibar in Tanzania, ma potrebbe essere anche l'isola di Pemba (a nord di Zanzibar) o l'isola di Mafia (a sud di Zanzibar). In entrambi i casi, se il racconto di Diogene è vero, allora ci fu un uomo romano/greco che mise piede nell'attuale Tanzania.

Ma la storia di Diogene non finisce qui. Diogene in realtà si avventurò nell'entroterra, attraversando una serie di montagne che gli indigeni chiamavano le "Montagne della Luna" perché le loro cime innevate si stagliavano sullo sfondo della lussureggiante vegetazione della giungla africana. Ancora più importante, c'era acqua che usciva da queste montagne in grandi pozze d'acqua - Diogene era convinto di aver trovato la fonte del Nilo. Ora Diogene potrebbe realisticamente essersi imbattuto in diverse catene montuose nell'Africa orientale - ma la presenza sia delle montagne che di una pozza d'acqua (ovvero un lago) ha una sorprendente somiglianza con le montagne Ruwenzori e il lago Vittoria, che in effetti sono la fonte del Nilo - ciò significa che Diogene avrebbe potuto identificare correttamente la fonte del Nilo quasi due millenni prima che questo fosse fatto per la prima volta nella storia dagli inglesi nel 1854.


La spedizione di Valerio Festo al fiume Niger:

Nel 70 d.C., il legato della III Legione Augusta Valerio Festo aprì un'altra strada verso il territorio dei Garamanti. Sostanzialmente, egli ed il suo séguito ripercorsero la via di Cornelio Balbo. Festo si spinse nel profondo Sud del Sahara, giungendo al fiume Niger da un'altra direzione. Questa antica via doveva essere nota alle guarnigioni romane insediate a Ghadames in Libia.

Plinio il Vecchio elencando i luoghi della spedizione di Festo, cita le medesime località dell'Algeria meridionale toccate da Cornelio Balbo, Alasi, l'antica Abalessa dell'Hoggar e cita anche Balsa, trascrizione del nome in lingua Tamachek (Tuareg) di Ilezy. Poi, però, non attesta i fiumi incontrati da Cornelio Balbo, il che fa supporre che Valerio Festo abbia deviato dal percorso del suo predecessore.

La pista alternativa passa più a sud. Dalla regione algerina di Tamanrasset, con ogni probabilità, i Romani piegarono lungo il Tassili per entrare nell'odierno Niger sul Plateau Djiadò, nel deserto del Tenerè. Si diressero al Massiccio dell'Air, passando per l'attuale Arlit fino all'attuale Agadez, costeggiando la piana di Gadoufaoua, che recentemente s'è rivelata ricca di resti fossili di dinosauroDi qui, proseguirono in linea retta per entrare in Mali, dove incontrarono il "Fiume Girin", che altro non sarebbe se non il "Dasibari" di Cornelio Balbo. L'ipotesi più accreditata vede il nome del fiume derivare dalla frase Tuareg "Gber - n - igheren", "Il fiume dei fiumi", abbreviato in "Ngher", un nome locale utilizzato lungo il medio corso nei pressi di Tombouctou. Vale la pena ricordare che la Tavola Peutingeriana registra un Flumem Girin ("Fiume Girin") con l'annotazione "Hoc Flumen quidam Grin vocant, alii Nilum ricorrente; dicitur enim sub terra Etyopium in Nylum ire Lacum", ovvero: "Questo fiume da alcuni chiamato Grin è da altri chiamato Nilo, si dice infatti che scorra da sotto la terra degli Etiopi [vale a dire gli Africani] nel Lago Nilo".

Il lago Ciad è un lago interno al continente africano, residuo di un lago fossile assai più vasto che, 12000 - 10000 anni or sono, copriva gran parte dei territori degli attuali Ciad e Niger, arrivando a nord fino al massiccio del tassili algerino, ad est fino al Bahr el Ghazal nel Sudan ad ovest fino all'arco del fiume Niger ed a sud fino alla Repubblica Centrafricana. Il lago, che tra il 1963 ed il 2001 si è ridotto del 90 per cento in termini di superficie, passando da 25.000 a meno di 1.500 kilometri quadrati, è compreso tra Ciad, Niger, Canmerun e Nigeria.. Altri quattro paesi, Repubblica Centrafricana, Algeria, Sudan e Libia, condividono il bacino idrologico del lago e sono perciò legati alla sua sorte.

Svetonio Paolino, governatore della Mauretania, (Algeria moderna e Marocco), nel 41 d.C., una delle cui principali preoccupazioni era quella di eliminare i gruppi ribelli che si nascondevano tra le montagne dell'Atlante. Presumibilmente la curiosità ebbe la meglio su di lui in una delle sue campagne, perché nel 41 d.C. decise di portare i suoi legionari in cima e vedere cosa c'era dall'altra parte.

Dopo essere salito su un picco coperto di ghiaccio, per Paolino la vista di un vasto deserto che si stendeva all'orizzonte non fu abbastanza per diminuire il suo appetito per l'esplorazione - e procedette a percorrere le sabbie del Sahara con i suoi legionari. Ora non è chiaro dove siano finiti esattamente Paolino e i suoi uomini. Secondo Plinio il Vecchio, Paolino attraversò "deserti coperti di polvere nera occasionalmente spezzati da proiezioni di roccia che sembravano essere stati bruciati" prima di raggiungere "foreste - che pullulano di elefanti, animali selvaggi e tutti i tipi di serpenti". Ora quest'ultimo potrebbe essere il Senegal o il Mali, ma in entrambi i casi sembra molto probabile che Paolino abbia effettivamente attraversato il Sahara, date le caratteristiche inconfondibili dell'Africa occidentale che sono descritte e suoi uomini probabilmente raggiunsero le rive del fiume Senegal.

Monete romane e ceramiche latine sono state trovate in Mali, ma questo potrebbe anche essere il risultato di uno scambio culturale - le monete con la faccia di Traiano sono state trovate in Congo, ma è plausibile che nessun romano abbia mai messo piede lì.

Al tempo delle spedizioni romane del I secolo d.C., il lago si stimava avesse una superficie ben più vasta di quella attestata negli anni 1960. Per quanto attiene, invece, il deserto libico, attraversato dai Romani per giungere al lago Ciad, esso costituisce uno dei luoghi più aridi e desolati del pianeta. Non per niente il nome "Sahara" deriva dall'arabo "Sah'rà", che significa "spazio vuoto". Ci informa Toloneo,, rifacendosi nuovamente a Marino di Tiro, che attorno al 50 d.C. Settimio Flacco, per punire le popolazioni nomadi dell'interno, che avevano razziato i territori romani della Sirte, era partito dalle coste libiche (probabilmente da Leptis Magna) per recarsi nelle terre dei Garamanti da dove raggiunse in tre mesi "la terra degli Etiopi" che "vivevano sulle rive del lago degli ippopotami".

La spedizione di Flacco potrebbe aver preso la direzione occidentale in direzione di Sebha per giungere a Tmassah Varcato il Tibesti (Tolomeo attesta che ".... il paese di Agisymba, laddove si radunano rinoceronti, gazzelle ed antilopi, è sottomesso al regno dei Garamanti ed è separato da esso da un'elevata catena montuosa"), sarebbe quindi passato per le odierne Aozou e Bardai, per giungere fino a Faya Largeau. Da qui avrebbe in seguito piegato verso la depressione del Bidelè e – dirigendosi ad ovest – avrebbe incontrato prima il lago Ciad e, successivamente i fiumi in cui trovarono ippopotami e coccodrilli e sulle cui rive pascolavano rinoceronti, elefanti, giraffe, zebre, struzzi, antilopi e gazzelle (fiume Bahr Ergigh), fiume Chari e fiume Logone.

Sempre in questi luoghi si ha la spedizione di Giulio Materno, attorno al 90 d.C. con l'intento di penetrare nel favoloso regno dei Pigmei, raggiungono il "Paese dei rinoceronti", come lo descrive il cartografo Claudio Tolomeo, arrivando a stanziare una guarnigione sul "Lago degli ippoppotami", a tre/quattro mesi di cammino (1.500-2.000 km) in direzione sud rispetto al massiccio del Tibesti, al confine tra Libia e Ciad.

Sappiamo dalla stessa fonte che Giulio Materno era partito da Leptis Magna per Garama, dove si era unito al re dei Garamanti per raggiungere "dopo quattro mesi di viaggio la regione d iAgysimba, che è popolata da rinoceronti e nella quale vivevano gli Etiopi". Non si hanno notizie particolareggiate dell'itinerario seguito dai due generali, ma sembra che da Leptis Magna si siano prima diretti a Ghadames presso gli alleati Garamanti. La spedizione di Materno pare che – assieme ai Garamanti – abbia puntato dritto sull'Oasi di Cufra per entrare nell'Ennedi ciadiano. Di qui sarebbe scesa a Fada, all'Oasi di Archei, avrebbe attraversato la piana di Abeché, per raggiungere i fiumi presso i quali erano stanziati elefanti e leoni (fiumeBahr Salamat e Bahr Aouk, al confine con l'attuale Repubblica Centrafricana.

Vie carovaniere dell'Africa occidentale.

Terre africane esplorate dai romani.


Il commercio marittimo tra l'impero romano e l'India.


Impero romano, Parthia e Cina nel II sec. d.C.

Principali basi del commercio del Mar Eritreo ( Oceano Indiano ).


Rotte commerciali terrestre e marittime tra Mediterraneo, Africa e Asia.

Mappa dei fondachi commerciali dei principali agenti nel commercio marittimo con l'Asia.


I Romani non erano un popolo di marinai e il loro impero non si basava sul commercio ( contrariamente a Cartagine, per esempio ), sebbene avessero una loro flotta sin dall'epoca delle guerre puniche, per tanto erano poco propensi a fare spedizioni navali. Non erano particolarmente interessati a trovare nuovi mercati ( sebbene non disdegnassero ciò) soprattutto non era abituati alla navigazione oceanica. Per loro era gia"uno stress" la navigazione della Bretagna. Per tanto rare e contingenti furono le spedizioni marittime romane.Ciononostante si sa che i Romani navigassero fino alle Canarie ( all'epoca dette Isole della Fortuna ), probabilmente avvalendosi delle nozioni geografiche dei popoli a loro sottomessi ( cartaginesi e numidici ), che già frequentavano detti mari.

-Giuba II (48 a.C. – 23/24 d.C,) re vassallo di Roma, effettuò per conto dell'impero romano, nonché per proprio diletto, l'esplorazione delle Canarie e della Costa a sud del Marocco.Fu proprio a seguito della sua spedizione, che l'Isola di Gran Canaria, prese il nome di isola Canaria, poiché sulla sua spiaggia furono trovati dei grandi cani.Pare che marinai al suo servizio si siano spinti fino al Golfo di Guinea.

Recentemente si e' scoperto che almeno una delle isole Canarie fu colonizzata dai romani, che vi istallarono una fattoria per la produzione della porpora. In uno dei suoi scritti Plinio il Vecchio menziona la distanza tra le isole di Capo Verde ( "Gorgades )e le isole di San Tomé, Principe e Fernando Po("Isole delle Signore dell'Ovest").Segno che seppur sporadicamente navi romane debbono aver navigato dalle Canarie o più probabilmente dai porti costieri di Sala Colonia ( presso dell'attuale Rabat ) e di Mogodor (oggi Essouira ), fino al Golfo di Guinea.

Si sa che mercanti greco-romani annualmente dai porti egiziani facevano rotta verso l'India meridionale e Ceylon, e senz'altro facevano scalo in Eritrea, Gibuti e Somalia del Nord ( anticamente nota come Punt ), e forse anche a Zinj el-Barr, "la terra dei negri" ( da cui il nome Zanzibar ), dove sicuramente avevano empori i mercanti sudarabici, in contatto con i mercanti greco-romani del Mar Rosso. Abbiamo molte informazioni circa i traffici romani con l'India, grazie al Periplo del Mar Eritreo ( Oceano Indiano). Il Periplo del Mar Eritreo (latino: Periplus Maris Erythraei, in greco: Περίπλους τῆς Ἐρυθρὰς Θαλάσσης Períplous tês Erythràs Thalássēs) è un antico documento, risalente probabilmente al I secolo, che descrive le rotte di navigazione sul Mar Rosso e, in parte, l'Oceano Indiano e il Golfo Perisco. Lo scrittore del Periplo attribuisce ad Ippalo la scoperta di una rotta diretta che unisce il Mar Rosso all'India attraverso l'Oceano Indiano, tracciando una cartina dell'oceano e posizionando correttamente i porti commerciali lungo la costa indiana. Plinio il Vecchio sostiene invece che Ippalo non fu lo scopritore della rotta ma del monsone, anche chiamato Hippalus, che spira da sud-ovest. Vari storici hanno provato a conciliare le due affermazioni sostenendo che per conoscere i monsoni fosse necessario conoscere la rotta verso l'India, ma lo storico André Tchernia spiega come la connessione tra Ippalo e il monsone fosse basata su un detto comune: in età ellenica il vero nome del vento non era Hippalus, che verrà usato più tardi dai Romani, ma Hypalus. Questo vento era quindi conosciuto già prima di Ippalo ed era utilizzato anche dalle popolazioni semitiche del sud Arabia e dai navigatori indiani che solcavano l'Oceano Indiano.

Per comprendere appieno l'importanza della scoperta di Ippalo è necessario che prima di lui i geografi greci pensavano che le coste indiane andavano da ovest ad est. Ippalo fu forse il primo a riconoscere nelle coste occidentali dell'India un andamento da nord verso sud.

L'utilizzo della rotta di Ippalo contribuì notevolmente al prosperare dei commerci tra la provincia romana d'Egitto e l'India a partire dal I sec.d.C., Da porti sul Mar Rosso, come quello di Berenice, salpavano grosse imbarcazioni che giungevano da re dei Tamil l di Pandya, di Chola e di Chera (gli attuali Kerala e Tamil Nadu).

Secondo Strabone, dal solo porto egiziano di Myos Hormos, sulla costa del Mar Rosso, in epoca romana, salpavano per l'india ogni anno fino a 120 vascelli, mentre in epoca tolemaica solo qualche marinaio particolarmente avventuroso salpava per l'India.

I quattro principali porti romani coinvolti nel commercio con l'oriente furono Alessandria, Arsinoe-Clysma ( Suez ), Berenice e Myos Hormos,.Ben presto Myos Hormos e Berenice, per la loro posizione privilegiata, eclissarono gli altri porti.

Questo commercio fu molto prospero fino all'ascesa della dinastia sassanide, che portò particolare turbolenza nell'Oriente romano, e decadde definitivamente con la perdita da parte dell'Impero Romano d'Oriente dell'Egitto e dei suoi porti, da cui si gestiva il commercio indiano.

Tanto era intenso il commercio con l'Asia ( Arabia, India e Cina ) che si creò rapidamente un enorme disavanzo commerciale dell'impero Romano nel commercio asiatico.

Come riporta Plinio, in Plinio, Historia Naturalis, XII.41.84 "«India, Cina e penisola Araba chiedono cento milioni di sesterzi dal nostro impero ogni anno: tanto ci costano i nostri lussi e le donne. Che percentuale delle importazioni è dedicata ai sacrifici, agli dei o agli spiriti dei defunti?»

In Asia la penetrazione Romana, oltre i confini dell'Impero fu molto inferiore, trovandosi sui confini del mondo Romano, l'ostile regno dei Parti, poi Sassanidi, che si opponeva a ogni penetrazione, sia pur solo commerciale dei Romano, verso Oriente, dato che ciò avrebbe privato la Persia di una delle sue maggiori fonti d'entrata, quella che gli veniva dall'essere intermediaria, nella via terrestre che collegava il mondo del mediterraneo e l'impero in toto, con la Cina e l'India.

Nel 25 a.C. nuovo prefetto d'Egitto, Elio Gallo, fu inviato da Augusto attraverso l'Arabia Felix fino al regno di Saba, con lo scopo di sottomettere i ricchi territori degli Arabi, prendendo così possesso delle vie di comunicazione commerciale con il golfo Persico..

Il viaggio si rivelò, però, pieno di insidie per il mancato aiuto di Silleo, posto a capo degli alleati Nabatei, il quale non fornendo adeguate informazioni sui territori esplorati e le strade da percorrere, costrinse i Romani a soffrire oltremodo fame, sete, stanchezza e numerose malattie.

Gallo commise, inoltre, un primo errore, preferendo costruire grandi navi (navis longae), sebbene non fosse in corso alcuna guerra navale, tanto più che gli Arabi risultavano per nulla abili, sia negli scontri terrestri sia in quelli marittimi. Erano piuttosto dei commercianti. Ma Gallo non se ne curò e fece costruire ai suoi uomini ben 80 imbarcazioni, tra biremi e triremi oltre ad alcune navi più leggere, nei pressi di Cleopatris, località situata vicino al vecchio canale che collegava il Nilo. Ma quando si rese conto dell'errore, fece costruire altre centotrenta navi da carico, sulle quali salpò con circa 10 000 fanti della guarnigione romana d'Egitto, come pure truppe di alleati romani, tra cui 500 ebrei (inviati da Eride) e 1 000 Nabatei (inviati dal re Obodas II).

Dopo un viaggio difficile durato ben 14 giorni di navigazione, giunse sulle coste arabe, nel porto commerciale di Leuké Koma (Haura) nella terra dei Nabatei, avendo perduto molte delle sue imbarcazioni insieme al loro equipaggio, a causa di una navigazione molto difficoltosa, non tanto per colpa di una flotta nemica che lo ostacolasse. Ciò fu causato dal tradimento di Silleo, il quale aveva sostenuto non vi fosse altro modo per un esercito di arrivarvi via terra, sebbene vi fossero, al contrario, numerose vie carovaniere che conducevano dall'Egitto a Petra in tutta sicurezza e facilità.


Guerrieri arabi.


Tutto ciò avvenne perché il re dei Nabatei, Obodas II, non si curava molto degli affari pubblici e, tanto meno di quelli militari (caratteristica sembra di molti re arabi, come ci tramanda Strabone, lasciando tutto il potere nelle mani di Silleo, che risultò l'artefice del tradimento a Gallo. Egli infatti cercò di esplorare il paese insieme con i Romani, lasciando che fossero questi ultimi a distruggere per lui città e popolazioni, per poi affermarsi come unico dominatore sulle nuove genti, dopo aver tolto di mezzo anche gli stessi Romani, provati da fame, fatica e malattie, ed escogitando, quindi, contro di loro il tradimento. E così mentre Gallo si trovava ancora a Leukè Kome, 'l'esercito romano fu messo a dura prova dallo scorbuto e da una sindrome che provocava paralisi alla bocca ed alle gambe, disturbi tipici di questa regione, dovuti ad acqua ed erbe. E così Gallo fu costretto a fermarsi per l'intera estate ed inverno del 25 a.C.., in attesa di recuperare i malati.

Nel 24 a.C. colonna romana si rimise finalmente in marcia,lungo le rotte per l'India attraverso regioni tali da costringere i Romani a trasportare l'acqua sui cammelli, per la scarsa conoscenza dei luoghi da parte della guide. Il viaggio durò ben trenta giorni, ma alla fine furono raggiunti i territori del "re dei Tamudeni", un certoAreta IIIIparente di Obodas II. Areta accolse i Romani in modo amichevole offrendo a Gallo numerosi doni. Il paese successivo che Gallo attraversò, apparteneva a tribù nomadi ed era totalmente desertico. Si chiamava Ararené ed il suo re era un certo Sabos. Impiegò ben cinquanta giorni per attraversarlo, poiché non esistevano strade in quei luoghi. Giunse, quindi, alla città di Negrani (oasi di Najran), il cui territorio era pacifico e fertile, ed il cui re era fuggito, lasciando che la città fosse occupata al primo assalto. Da qui proseguì e raggiunse un fiume dopo sei giorni,dove gli Arabi attaccarono battaglia con i Romani, ma lasciarono sul campo ben 10 000 morti, contro due soli Romani, poiché non avevano armi adeguate e non erano abituati a combattere. Subito dopo Gallo occupò la città chiamata Asca (la Nasca d Plinio nell'attuale Omrân), anche questa abbandonata dal suo re. Da qui si recò in una città chiamata Athrula, che si arrese senza porre alcuna condizione, dove Gallo pose una sua guarnigione al fine di predisporre sufficienti forniture di grano. Proseguì nuovamente la sua marcia, avanzando fino alla città chiamata Marsiaba o Mariaba (l'attuale Ma'rib nello Yemen), che apparteneva alla tribù dei Rhammanitae, il cui re era un certo Ilasarus. La città fu assediata per sei giorni, ma riuscì a resistere, favorita dalla mancanza d'acqua da parte degli assedianti romani.. Gallo fu così costretto a fermarsi a soli due giorni di marcia dal paese che produceva spezie, raggiunto a caro prezzo dopo sei lunghi mesi di marce in territori inospitali, soprattutto a causa della guide corrotte. Accortosi, quindi, del complotto di Silleo, decise di riportare la sua armata, ampiamente decimata, in Egitto. Raggiunse Negrani dopo nove giorni, dove ebbe luogo una nuova battaglia. Poi raggiunse la località di Hepta Phreatae, località che possedeva ben sette pozzi. Da qui, marciando attraverso un paese pacifico, arrivò in un villaggio chiamato Chaalla, e di nuovo in un altro villaggio chiamato Malotha, che si trovava vicino a un fiume. Attraversò un paese deserto con pochi luoghi irrigati, fino ad un villaggio chiamato Egra (o Egracômé), località posta sul mare, nel territorio di Oboda. Ci aveva così messo sessanta giorni di tempo tornando, contro i sei mesi nel recarsi in questi lontani territori. Qui predispose una nuova flotta e attraversò il Mar Rosso raggiungendo prima Myhoshormos dopo undici giorni di navigazione e poi Coptos (attuale Qift), fino a raggiungere Alessandria d'Egitto. Silleo fu, infine, processato e decapitato. Terminava così l'avventura romana nella penisola araba,, dopo aver raggiunto lo Yemen,.

Per i commerci con il lontano oriente i Romani dovettero accontentarsi delle relazioni, intermediate, dei mercanti greco-romani d'Egitto con l'India e, oppure tramite i terminali Romani della Mesopotamia e Mar Nero ( il regno del Bosforo, che fu assoggetato da Roma ).

Durante il regno di Traiano le armate romane raggiunsero il Golfo persico, assoggettando, il regno di Characene. Più a nord assoggettarono il Caucaso da ovest ad est, giungendo al Mar Caspio ( Albania del Caucaso, attuale Azerbaijan) ) e la provincia partica dell'Atropatene, nel cuore dell'Iran..

Più volte i cinesi, mandarono missioni diplomatiche verso Occidente, perché desideravano stabilire relazioni dirette con i signori dell'Occidente ( Da Qin ), ma senza successo..Attorno al 97 d.C. un certo Gan Ying arrivò fino al Mar Nero, ma fu convinto dai persiani dal desistere dalla missione di raggiungere Roma Vedasi.

Con l'espansione dell'Impero romano nel Medio Oriente, durante il II se. a.C.., i romani raggiunsero la capacità di sviluppare i trasporti marittimi e il commercio nell'Oceano Indiano. Parecchi Romani probabilmente viaggiarono fino all'Estremo Oriente con navi romane, indiane o cinesi.

Tramite Marino di Tiro, si sa di un mercante macedone, Maues Titianus, che, approfittando di una pausa nella guerra tra Trajano e i Parti, riuscì, con un gruppo di mercanti a viaggiare lungo la Via della Seta, raggiungendo la Torre di Pietra, Tashkurgan, situata in Pamir. Non si sa nulla di questo mercante, tranne la breve citazione nella Geografia di Tolomeo, derivata dalla fonte intermedia di Marino di Tiro"

«Marino dice che un certo macedone di nome Maen, chiamato anche Titian, figlio di un mercante, e mercante lui stesso, misurò la lunghezza del suo viaggio [alla Torre di Pietra], nonostante non raggiunse lui stesso i Sera ( cinesi ) ma vi mandò altri.»

Nel 120, provenienti dal regno di Burma ( Birmania ), giungono alla corte della dinstia Han acrobati e circensi che dichiarano di essere greci provenienti da Oltre il mare occidentale, ma non si sa se ciò corrisponde a verità, o se magari erano ellenisti originari dell'India o Asia centrale.

La prima ambasciata romana in Cina fu registrata nel 166 d.C., sessant'anni dopo le spedizioni del generale Ban Chao. L'ambasciata giunse all'imperatore cinese Huan da parte di "Antun" (Antonino Pio ), "re di Da Qin " (Roma), probabilmente Marco Aurelio. Non si sa se l'ambasceria fosse stata inviata direttamente dall'imperatore, o se magari si trattasse di scaltri mercanti greco-romani, che si finsero ambasciatori imperiali, per ricevere un miglior trattamento in Cina. La missione arrivò da sud, probabilmente seguendo la via marina, ed entrò in Cina alla frontiera del Jinan (Tonkino ). Portava in dono corni di rinoceronte, avorio, carapaci di tartarughe, probabilmente acquistati nel sud dell'Asia. Nello stesso periodo, e forse proprio per mezzo di questa ambasceria, i Cinesi ottennero un trattato di astronomia dall'Impero romano.

La Cina era ben conosciuta dai cartografi romani dell'epoca. Il suo nome e la sua posizione sono descritti nella Geografia di Tolomeo che è datata c. 150. La Cina viene situata al di là dell'Aurea Chersonesus ("Penisola d'oro") e si riferisce alla penisola indocinese ed è descritta come adiacente al Magnus Sinus ("Mare grande") che corrisponde all'area allora conosciuta del Mar cinese occidentale,. Il commercio attraverso l'Oceano Indiano fu molto intenso a partire dal II secolo e sono stati identificati numerosi porti commerciali romani, attraverso i quali deve essere passata la missione diplomatica.

Altre ambasciate romane sono state mandate dopo questo primo incontro ma non furono registrate fino a quando apparve una traccia che parlava di regali inviati all'inizio del III secolo dall'Imperatore romano all'imperatore Cào Rui del regno di Wei (regnò dal 227 eal 239 nel nord della Cina). I doni consistevano in articoli di vetro in svariate colorazioni. L'ambasciata può essere stata inviata da uno dei numerosi imperatori che si susseguirono nel periodo,Alessandro Severo, Massimino Trace, Gordiano I, Gordiano II, Pupieno,,Balbino e Gordiano III.

Un'altra ambasciata da Roma è registrata nell'anno 284. Viene descritta come portatrice di "tributi" all'Impero cinese. Questa missione deve essere stata inviata dall'imperatore Marco Aurelio Caro ( 282–283), il cui breve regno fu occupato dalla guerra con la Persia.

Grazie soprattutto a informazioni avute da mercanti e viaggiatori dell'Asia centrale e Persia anche i cinesi avevano una qualche conoscenza della geografia dell'Impero Romano, almeno sui suoi territori più orientali, - Lo storiografo cinese Sima Qian (145-86 a.C. circa) nel suo Shiji fornisce descrizioni dei paesi dell'Asia centrale e dell'Asia occidentale. Il linguista e storico Edwin G. Pulleyblank spiega che gli storici cinesi consideravano Daqin una sorta di "contro-Cina" situata all'estremità opposta del loro mondo conosciuto. Secondo Pulleyblank, "la concezione cinese di Dà Qín fu confusa fin dall'inizio con le antiche nozioni mitologiche del lontano ovest".Le storie cinesi collegavano esplicitamente Daqin e Lijian (anche "Li-kan", o Siria) come appartenenti allo stesso paese; secondo Yule, D. D. D. Leslie, e K. H. G. G. Gardiner, le prime descrizioni di Lijian negli Shiji lo distinguevano come l'Impero seleucide di epoca ellenistica.Pulleyblank fornisce alcune analisi linguistiche per contestare la loro proposta, sostenendo che Tiaozhi (條支) negli Shiji era molto probabilmente l'Impero seleucide e che Lijian, sebbene ancora poco compreso, poteva essere identificato sia con Hyrcania in Iran che con Alessandria d'Egitto. Il Weilüe di Yu Huan (c. 239-265 d.C.), conservato nelle annotazioni ai Registri dei Tre Regni (pubblicato nel 429 d.C. da Pei Songzhi), fornisce anche dettagli sulla parte più orientale del mondo romano, compresa la menzione del Mar Mediterraneo- Per l'Egitto romano, il libro spiega la posizione di Alessandria, le distanze di viaggio lungo il Nilo e la divisione tripartita del Delta del Nilo, Heptanomis e Tebaide. Nel suo Zhu Fan Zhi, l'ispettore doganale dell'era Song-era Quanzhou Zhao Rugua (1170-1228 d.C.) descrive l'antico Faro di Alessandria. Sia il Libro degli Han successivi che il Weilüe menzionano il ponte di barche "volante" (飛橋) sull'Eufrate a Zeugma, Commagene nell'Anatolia romana. I Weilüe elencavano anche quelli che consideravano i più importanti stati vassalli dipendenti dell'Impero Romano, fornendo indicazioni di viaggio e stime delle distanze tra di loro (in miglia cinesi, li). Friedrich Hirth (1885) identificò le località e gli stati dipendenti di Roma denominati nei Weilüe; alcune delle sue identificazioni sono state contestate. Hirth ha identificato Si-fu (汜復) come Emesa; John E. Hill (2004) usa prove linguistiche e situazionali per sostenere che si trattasse di Petra nel Regno Nabateo, che fu annesso da Roma nel 106 d.C. durante il regno di Traiano.

Una eventuale corrispondenza tra Roma e l'Impero cinese avrebbe potuto sconvolgere completamente gli equilibri geopolitici mondiali. Le immense distanze dell'Asia centrale scongiuravano ogni possibile minaccia militare reciproca tra le due superpotenze, che, d'altro canto erano accomunate dall'interesse di eliminare ogni intermediario nella più importante via commerciale dell'antichità, cioè la Via della seta.

La Persia basava le sue fortune proprio sulla posizione strategica intermedia lungo le rotte mercantili euro-asiatiche, comprando le merci orientali dalla Cina e rivendendole a prezzo maggiorato nell'Impero romano e viceversa. Grazie ad una abilissima diplomazia riuscì sempre ad attuare una politica estera molto accorta ed ambigua stringendo alleanze o dichiarando guerra ai nemici separatamente in modo che fra Oriente ed Occidente non avvenisse mai un contatto diretto.

I Parti comprendevano che se fosse avvenuto sarebbero stati tagliati fuori dal gigantesco affare della seta, venendo meno di conseguenza del flusso di ricchezze essenziale per la sopravvivenza dello stato persiano perché gli garantiva la possibilità di creare un esercito in grado di fronteggiate le invincibili legioni romane e le numerosissime armate cinesi che incombettero costantemente sui confini fino al IV secolo d.C.

La concreta possibilità ci fu solo durante il I secolo, quando a Roma governava Traiano e le frontiere dei rispettivi imperi si erano espanse a tal punto da non rendere più impossibile un contatto via terra, tra Romani e Cinesi, almeno in Asia centrale, con i Romani affacciati sulla costa ovest del Caspio e i cinesi poco oltre a oriente ( Protettorato delle terre Occidentali").

Per poche miglia i due eserciti non s'incontrarono, mancando così un'opportunità epocale che non si ripresenterà più. Solo gli esploratori dei rispettivi eserciti si scontrarono in combattimenti singoli, in seguito i pochi scout Romani e Cinesi vennero considerati dispersi dai rispettivi eserciti e abbandonati, se gli scout fossero ritornati a fare rapporto ci sarebbero state molte probabilità di un incontro diretto. Di lì a poco, infatti, con l'avvento di Adriano i Romani si ritirarono lungo il limes siriano, mentre i Cinesi abbandonarono i loro avamposti militari in Persia limitandosi da allora a controllare i traffici fino al Ferghana.

Col senno di poi, considerando gli avvenimenti che accaddero in seguito, la collaborazione tra Roma e Xian avrebbe sortito notevoli benefici ad entrambe le potenze, trovatesi di fronte ad un nemico comune, gli Unni, combattuto separatamente, e a problemi economici, che di fatto ne causarono la rovina, almeno per l'impero romano, rimandabile anche ad una drastica riduzione dei commerci internazionali, dovuta alla cronica instabilità politica dell'Asia centrale, ovviamente evitabile solo con la presenza di una solida compagine statale, che una "spartizione" del continente avrebbe assicurato. Senz'altro poter creare un contatto stabile tra Roma e Cina, sebbene non si sa in che maniera, con certezza, avrebbe modificato la storia del mondo.


Carta del mondo antico nella quale si vedono i due grandi imperi che dominano l'Occidente ( Roma ) e l'Oriente ( la Cina ) e nel mezzo la Parthia.




domenica 12 giugno 2022

La cosa più stupida che un imperatore romano abbia mai fatto?

Citerò due grandi stupidaggini di due imperatori romani diversi, ma entrambi del V secolo:

L'ASSASSINIO DI STILICONE: Stilicone era il miglior generale dell'Impero Romano d'Occidente all'inizio del V secolo. Sconfisse il visigoto Alarico nel 402 e 403. Sconfisse l'ostrogoto Radagaiso nel 406. Ma la sua ascendenza barbarica e la sua fede ariana suscitarono odio e sospetti, finché l'imperatore Onorio ordinò la morte di Stilicone nel 408. Senza il suo miglior generale, l'Impero d'Occidente era indifeso: nel 410 la città di Roma fu saccheggiata da Alarico.

L'ASSASSINIO DI AEZIO la storia si ripeté poco dopo. Come Stilicone, Aezio era un grande genio militare. Sconfisse i Goti nel 438 e gli Unni di Attila nel 451 (battaglia dei Campi Catalaunici). La popolarità di Aezio suscitò i timori dell'imperatore Valentiniano III, che lo fece assassinare nel 454. Senza il suo miglior generale, Roma era indifesa contro i barbari.

L'imperatore Valentiniano III, a destra con un mantello di porpora, assassina il generale Ezio con l'aiuto di un servo.


sabato 11 giugno 2022

Un personaggio dell’antica Grecia che è morto in una maniera assurda

Gela, 456 a.C.

Il sessantanovenne Eschilo, padre della tragedia greca, passeggia sereno per le strade della città.



Ad un certo punto, vede planare sul suo capo un’aquila alla ricerca di una roccia su cui scagliare la tartaruga che stringe tra gli artigli, in modo da spaccarne il guscio.

Probabilmente il rapace scambia la testa calva di Eschilo per una roccia e lascia cadere la tartaruga sull’uomo, che uccide sul colpo il drammaturgo.

Come se non bastasse, a rendere la vicenda ancor più tragicomica, i suoi amici ricordano come alcuni anni prima un oracolo aveva profetizzato che Eschilo sarebbe morto per un colpo piovuto dal cielo.


venerdì 10 giugno 2022

C'erano altri gruppi religiosi nell'Impero Romano che erano anch'essi perseguitati in modo simile dalle autorità, o i cristiani sono unici in questo senso?

Assolutamente no. I cristiani furono perseguitati in quanto, oltre a fare molto proselitismo (a differenza degli ebrei, con i quali erano spesso confusi) erano una religione molto diversa (almeno dalle origini) dal sincretismo romano-ellenistico-orientale che era già diventato il pantheon imperiale del I^ secolo.

In linea di massima i Romani tendevano ad assorbire i popoli sottomessi e prendere il meglio di loro, ivi comprese le divinità, come nel rituale dell'evocatio, quando, in prossimità di assediare una città nemica, si invitavano gli déi presenti nei templi di uscirne per prendere possesso di analoghi templi costruiti dai Romani.

Appena entravano in contatto con religioni diverse valutavano di volta in volta se quei riti potevano anche adattarsi alla loro mentalità o meno.

Con la conquista della Grecia non ci fu nessun problema: già nella Penisola italica erano presenti molte colonie greche con le quali i Romani erano già entrati in contatto. Perciò non fu difficile identificare ben presto la maggior parte (non tutti) i propri déi con quelli greci o etruschi, nella maggior parte dei casi assorbendone anche la relativa mitologia.

L'operazione però risultò più difficile con altre culture e relative divinità che furono osteggiate se non perseguitate.

Qualche esempio.

Il culto di Cibele (ridenominata "Magna Mater") fu osteggiato inizialmente dai Romani. I suoi sacerdoti (definiti Galli) erano castrati e pertanto fu assolutamente proibito ai cittadini romani farne parte.

A Roma il rapporto con la Grande Madre frigia sembra quindi esser stato articolato e complesso: caratterizzato, almeno nel periodo repubblicano, in parte da una tendenza all’assimilazione e alla “romanizzazione” in parte da un profondo disagio e rifiuto nei confronti dei riti violenti ed orgiastici propri del culto frigio della dea (e collegati in particolare all’ambigua figura del suo sposo eunuco, Attis) che eludevano qualsiasi controllo da parte della classe dirigente. Questi riti erano quindi confinati entro l’area del santuario palatino della dea, così da sottrarli agli occhi (e alle coscienze) dei cittadini romani, ai quali sembra che fosse proibito di prendere parte alle cerimonie celebrate.

Anche Iside ebbe non poca difficoltà a imporsi. Più volte furono distrutti i suoi templi e perseguitati sacerdoti e fedeli. L'odio verso la dea egizia aumentò dopo la sconfitta di Cleopatra e Marco Antonio. L'imperatore Tiberio fece gettare nel Tevere la statua della dea e crocifiggere i suoi sacerdoti.

Il druidismo (diffuso presso le popolazione celtiche di Gallie e Britannia) fu completamente sradicato dall'Impero.
Secondo Svetonio, Augusto fece dei passi per proibire la "religio Druidarum" a chi era divenuto cittadino romano; Plinio riferisce che sotto Tiberio un decreto del senato fu emanato contro i druidi gallici ("e tutta quella razza di indovini e guaritori". Svetonio ripete che Claudio nel 54 d. C. "abolì completamente la religione barbara e inumana dei druidi nella Gallia".
L'ultima resistenza druidica avvenne sotto il principato di Nerone nell'Isola di Mona (Anglesey) dove tutti i druidi furono uccisi.



Lo stesso ebraismo venne più tollerato che ammirato. Il dio degli Ebrei era diverso dagli altri, non solo era Uno ma non ammetteva di venire chiamato o identificato con lo stesso nome degli altri.
Inoltre gli Ebrei stessi, per via della loro religione, non potevano mischiarsi troppo coi pagani, non potevano mangiare certi cibi, dovevano rispettare il risposo assoluto nello Shabbath: cose che i Romani facevano fatica ad accettare.
Le rivolte giudaiche furono la ciliegina sulla torta.
Episodi ripetuti di malgoverno da parte dei prefetti romani in Giudea diedero modo a zeloti e sicari (le sette religiose-politiche meno disposte ai compromessi coi Romani) di ribellarsi all'impero.
L'esito fu la distruzione (involontaria) del Tempio di Gerusalemme e la riduzione della Giudea a una provincia come le altre.


Quando, sotto Adriano, ci fu una nuova guerra. le conseguenze furono ancora più tragiche per gli ebrei. Adriano proibì loro di tornare a Gerusalemme che divenne una città ellenistica sotto il nome di Aelia Capitolina e decapitò completamente la classe religiosa ebraica.

Anche i Samaritani non erano visti di buon occhio dai Romani.
Sotto il procuratore Ponzio Pilato molti di essi furono uccisi in occasione di una loro adunata sul monte Garizim proibita da Pilato, e a questa strage è attribuita la destituzione del procuratore e il suo invio a Roma a giustificarsi presso Tiberio (Antichità, XVIII, 4,1-2).

Durante la I^ Guerra Giudaica molti Samaritani si adunarono sul Garizim per opporre resistenza ai Romani: Vespasiano inviò contro di loro Cereale comandante la Legione V, che li assalì uccidendone 11.600 (Guerra giud., III, 7, 32).

Questi sono solo alcuni esempi. I Romani accettavano le religioni vicine alla loro, ma furono sempre diffidenti a dir poco con quelle troppo diverse dalla loro indole e che per di più potevano portare a gravi problemi sociali e politici.

Il Cristianesimo aveva tutte le premesse per essere rifiutato. Intanto perché era una costola dell'Ebraismo (e pertanto ne ereditò tutte le antipatie), faceva anche un proselitismo mai visto e voleva, almeno inizialmente, cambiare la Società Romana così come era costituita.

Ovvio che i Romani non lo potevano permettere e pertanto nacquero le cosiddette persecuzioni. In verità, tranne alcune davvero sanguinose, non ci furono persecuzioni vere e proprie solo per il fatto di essere cristiani, quanto dal comportarsi come tali.

Senza dimenticare che spesso tra una persecuzione e l'altra ci furono a volte anche molti anni di relativa tolleranza, dove i cristiani poterono praticare i loro culti in maniera quasi ufficiale.

In seguito, quando il Cristianesimo divenne, prima "religio licita" e poi, con Teodosio, l'unica religione ufficiale dell'Impero, furono a loro volta i cristiani a perseguitare gli altri culti. Soprattutto le religioni "pagane", una volta assorbito ciò che si poteva di loro assorbire e riconvertiti i tempi in chiese cristiane (come il Pantheon), tutto il resto venne eradicato.
Anche l'ebraismo non se la passò troppo bene anche se, rispetto ai pagani, a loro venne perlomeno concesso di professare la loro fede, sia pure con molte limitazioni.


giovedì 9 giugno 2022

Gli antichi Romani scrivevano in corsivo?

Sebbene nelle lettere, epigrafi e documenti informali il corsivo è sempre assente, ciò non vuol dire che nei documenti informali gli antichi Romani non lo usassero.



Ne esistevano di due tipi:

- la più antica, “capitale corsiva”;

- la “minuscola corsiva” del III secolo, usata fino all’Alto Medioevo.

In entrambe, i caratteri assumevano una forma inclinata e le singole lettere cominciavano a legarsi tra loro.

Le testimonianze archeologiche in corsivo sono rare a causa dei materiali deperibili su cui erano vergate.


mercoledì 8 giugno 2022

Perché nella cultura egizia si mummificavano i defunti?

 


Perchè per accedere all'altra vita si doveva avere il corpo integro. Secondo il Libro dei morti si nasceva con due anime: il Ba ed il Ka. Il Ka restava col corpo nella tomba, mentre il Ka viaggiava verso l'altro mondo dove avrebbe ricevuto il giudizio finale da Osiride, dopo che Anubi avesse pesato il cuore del deunto. Se questo era più leggero della piuma di Maat la vita del morto era giudicata buona e Osiride lo avrebbe accompagnato nel regno dei cieli, altrimenti sarebbe stato lasciato ad Ammut che lo avrebbe divorato. Il risultato della pesata era attentamente registrato da Toth.