giovedì 18 agosto 2022

Qual è un falso mito su Giulio Cesare?


Molti pensano che Cesare, quando morì, disse "Tu quoque, Brute, fili mi".

In realtà non lo disse. Lo scrittore latino Svetonio (70-126) riferisce che morendo Cesare pronunciò in greco, la lingua dell’élite romana, “Kai su teknon” (“Anche tu, figlio”). La frase (tradotta in seguito in latino con l’aggiunta del nome Bruto) ebbe però successo e divenne indebitamente famosa.

Questa frase, oltre a esprimere lo sgomento di Cesare nel vedere Marco Giunio Bruto tra i congiurati, esprime il dramma universale del tradimento.


mercoledì 17 agosto 2022

Quale replica ad un’accusa fu la più geniale?

Nel 371 a.C. si tenne la battaglia di Leuttra, combattuta tra gli spartani e la Lega beotica, capeggiata da Tebe.



Ebbero la meglio questi ultimi, guidati da Epaminonda.

Egli era riuscito a trasformare Tebe, una polis di secondaria importanza, nella dominatrice assoluta della penisola ellenica, in grado di sconfiggere persino gli spartani!

Eppure Meneclide, un oratore Tebano, lo accusò di essere inetto e presuntuoso, sottolineando come il generale ritenesse di poter gareggiare per gloria bellica persino con il grande Agamennone.

Allora Epaminonda gli rispose:

Meneclide, se pensi che io gareggi con Agamennone, sbagli, perché costui con tutta la Grecia, prese a malapena una sola città in dieci anni; io invece, con questa nostra sola città e in un sol giorno, ho dato la libertà a tutta la Grecia, sgominando gli spartani”.


martedì 16 agosto 2022

Nell’antica Roma il numero di matrimoni era basso

Verso la fine del II secolo a.C. la Repubblica romana vide un drastico calo nel numero dei matrimoni.



Molti cittadini anteponevano i piaceri passeggeri della vita alla costruzione di un legame duraturo.

Questo improvviso crollo di famiglie tradizionali allarmò le autorità statali, che decisero di intervenire per provare a ristabilire l’ordine.

Il censore Metello Numidico si rivolse ai suoi concittadini:

Se noi, cari quiriti, potessimo vivere senza mogli, certamente nessuno accetterebbe questa seccatura. Ma poiché la natura ha voluto da un canto che vivere con le mogli procuri inevitabilmente delle noie, dall’altro che non si possa vivere senza di loro, è necessario preoccuparsi della tranquillità perpetua, invece che del piacere di breve durata”.

Il discorso, sebbene molto apprezzato in epoche future, non ebbe un grande successo e il numero di matrimoni continuò a calare.


lunedì 15 agosto 2022

Nell'Antica Roma, qual era il fenomeno economico che si verificava normalmente?

Uno dei problemi che la moderna teoria economica studia riguardo alle transazioni economiche è quello della selezione avversa, che si verifica quando il venditore possiede informazioni sull'oggetto della transazione - o sulle sue preferenze o tecnologie - che il compratore non ha.



Nell'antica Roma questo fenomeno si verificava, ad esempio, quando il venditore di uno schiavo conosceva il reale stato di salute dello schiavo e se era mai scappato (informazioni molto importanti per l'acquirente).

Il venditore aveva queste informazioni, ma l'acquirente no. È la stessa situazione che affrontiamo oggi quando compriamo un'auto usata. Chi vende conosce bene l'auto, ma chi compra no.

Questa disparità di informazioni viene definita dagli economisti "informazione asimmetrica".

Quando l'informazione asimmetrica si riferisce alla conoscenza privata che il venditore ha del suo oggetto di vendita e alla quale l'acquirente non ha accesso, si parla di "selezione avversa", nel senso che l'acquirente può "selezionare" un oggetto e scoprire in seguito di aver comprato un maiale in camicia.

L'effetto reale della selezione avversa è la riduzione del prezzo dell'oggetto e persino la soppressione spontanea del mercato di quell'oggetto.

Il mercato degli schiavi a Roma non era immune da questo problema. Poiché lo schiavo, più che un bene di consumo, era un bene di capitale, ciò divenne particolarmente grave per lo sviluppo dell'economia romana.


domenica 14 agosto 2022

Cosa credevano gli antichi greci dell'Ade?

 


Per gli antichi greci l'Ade era il regno dell'oltretomba, senza distinzioni tra buoni e cattivi come lo intendiamo noi. I buoni venivano premiati trascorrendo l'eternità in una zona chiamata i Campi Elisi che era una specie di Paradiso mentre gli altri vivevano in un reame di buio e fumo. I mortali che avevano offeso o ingannato gli dèi erano confinati nel Tartaro, una zona dell'Ade dove subivano pene particolari, come Sisifo punito da Zeus per i suoi inganni e costretto dopo la morte a spingere un masso sulla cima di un monte per poi vederlo ogni volta rotolare a valle. Gli uomini piú fortunati, come gli eroi venivano accolti sul monte Olimpo e destinati all'immortalità.


sabato 13 agosto 2022

Il silenzioso suicidio di Roma.

Nel saggio "Gli ultimi giorni dell'impero romano" Michel De Jaeghere indaga le ragioni che portarono al crollo di Roma nel 476. Sottolineando come quello dell'Urbe fu un suicidio più che un tracollo dovuto a fattori esterni.



Roma ascese nel fragore e declinò nel silenzio e negli intrighi. Gli ultimi tempi dell'Impero romano, visti a secoli di distanza, appaiono come una storia complessa e intricata, al cui interno si leggono al tempo stesso intrighi, bassezze, piccole e grandi tragedie umane, sussulti improvvisi e barlumi della gloria che fu dei "figli di Marte". Abbiamo seguito Roma e la sua traiettoria come grande potenza dal momento dell'impresa di Cesare e del suo trionfo, apripista per la trasformazione della Repubblica in impero. L'Urbe ha poi raffinato la sua capacità di leggere con taglio penamente "geopolitico" il contesto internazionale, ma anche la più grande potenza del mondo antico fu destinata al collasso.

La rotta di Adrianopoli è da considerarsi la vera cesura per Roma, ha fatto venire meno l'inerzia favorevole nei confronti delle tribù barbare annullando ogni illusione circa la possibilità di tenere coeso un impero che poco piu' di cent'anni prima di Aureliano, il "restauratore" aveva salvato dall'implosione. Roma ha avuto, come abbiamo visto, precursori e estremi difensori; principi illuminati e comandanti imbelli; eroi e traditori; uomini d'arme e teorici politici.

Anche negli ultimi tempi l'Impero romano d'Occidente, avente come capitale non più un'Urbe relegata a ombra di sé stessa ma Ravenna, tentò di dimostrare al mondo che i suoi tempi non erano finiti. Tentò di farlo, soprattutto, grazie all'estremo tentativo di Ezio, "ultimo dei romani", di opporsi al declino irreversibile dell'Urbe a cavallo tra la prima e la seconda metà del V secolo. Figure come Ezio sono emblematiche della storia che è raccontata nel saggio Gli ultimi giorni dell'impero romano, scritto dal giornalista e saggista storico francese Michel De Jaeghere, direttore del bimestrale Figaro Histoire. De Jaghere separa la storia dalla narrazione, mostra la compresenza tra un declino sistemico dell'Impero romano d'Occidente, sempre meno coeso politicamente, etnicamente e militarmente, e la presenza di poche, luminose figure decise, con il proprio talento o la forza della disperazione, a svolgere il ruolo di katechon, dei poteri frenanti che con la loro visione strategica o con azioni personali hanno potuto influire sulla rapidità con cui si dispiegavano precisi processi storici tesi all'inevitabile declino dell'Urbe.

Per De Jaeghere la caduta dell’Impero Romano d’Occidente più che dall’irruzione ed occupazione di territori imperiali da parte di popoli germanici fu causata da una crisi interna sistemica: l'Impero morì per consunzione e collasso sistemico, non per occupazione militare o distruzione da parte di agenti esterni. Non fu un boato, ma un silenzioso tonfo quanto avvenuto nel 476, anno in cui con la deposizione dell’Imperatore Romolo Augusto (detto “Augustolo” in senso dispregiativo e di piccolezza, se messo a confronto con l’autorità dei suoi predecessori) da parte del comandante Odoacre, secondo le varie fonti di stirpe erula o gotica, de iure scomparve una creatura politica che de facto era da tempo ridotta a un ectoplasma.

De Jaeghere racconta la spirale declinante fatta di un'imposizione esagerata di tasse vessatorie sui cittadini dell'Impero ritenuta vitale per sostenere un apparato militare sempre più multietnico, di una crescente corruzione sistemica, del declino dell'autorità politica culminato nel dispotismo senza regole degli ultimi decenni dell'Impero. L'aumento dell'insicurezza sociale, politica, economica favorì un declino demografico su cui si innestò l'inserimento continuo di tribù barbare chiamate a rimpolpare i ranghi dell'esercito.

Solo in un modo si può estinguere una civiltà, diceva Arnold Toynbee: attraverso il suo suicidio, che avviene quando nessuno crede più all'idea che l'aveva edificata. E questo accadde a Roma. Ove i grandi fari dell'ultimo secolo di storia imperiale, in Occidente, da Teodosio ad Ezio, appaiono come figure tragicamente avulse dalla storia che andava inevitabilmente dispiegandosi. De Jaeghere ha il merito di ricordare storiograficamente che tra le cause del declino non vi fu la diffusione del cristianesimo. La tesi secondo cui i cristiani, con il loro messaggio di amore e di pace, avrebbero reso l'Impero debole di fronte ai barbari - per non risalire a polemisti pagani dei primi secoli come Celso - è stata diffusa dall'Illuminismo, con Voltaire e con lo storico inglese Edward Gibbon.

Ma, come ricorda De Jaeghere, è totalmente fuorviante: innanzitutto, nei primi decenni del quinto secolo i cristiani nell'Impero romano d'Occidente erano solo il dieci per cento della popolazione, risultando la maggioranza nell'Impero d'Oriente, che resisterà alle invasioni e sopravvivrà per mille anni. E soprattutto, il cristianesimo aveva penetrato anche i nuovi entrati nel territorio dell'Urbe. Attraverso il cristianesimo, non a caso, furono i vigorosi e più giovani popoli barbari a portare avanti la nostalgia e il ricordo di una romanità che si era essiccata nel corso dei secoli. Non a caso riproponendo il nome di Roma a fianco di un nuovo Impero, questa volta "Sacro" oltre che "Romano" diversi secoli dopo. Non riuscendo però a costruire che una pallida copia di ciò che seppe diventare l'Urbe nel lungo millennio che la vide assurgere al dominio del Mediterraneo. Prima di spegnersi quasi senza colpo ferire.


Una conoscenza storica che è poco pubblicizzata

Lo sapevate che le piramidi in Egitto erano bianche? Più di 4.000 anni fa, la grande piramide di Giza era molto diversa da come sapevamo.



Dopo molti anni di studi e scavi intorno alla piramide, si scoprì che era ricoperta di calcare, che rifletteva la luce solare.

Cosa che la ha resa ancora più magnificq di quello che è oggi. Inoltre, alcuni studiosi ipotizzano che la parte superiore della piramide fosse stata rivestita di oro.