martedì 25 maggio 2021

Quale era il peggior sacrilegio che avrebbe potuto fare un romano ai tempi della Antica Roma?

Il peggior sacrilegio sarebbe stato "violare" le Vestali, ovvero le sacerdotesse che dedicavano la propria esistenza al tempio di più alto significato per l'Urbe e i suoi abitanti, dedicato alla dea del “focolare pubblico del Popolo Romano”: il Tempio di Vesta.

Attribuito dalla tradizione a re Numa Pompilio (754–673 a.C.), in esso le Vestali custodivano il fuoco sacro perenne, espressione e simbolo della continuità della vita di Roma. Nella parte più interna del tempio erano inoltre conservati oggetti sacri che, secondo la leggenda, Enea avrebbe portato da Troia, come pegno e garanzia dell’impero.



Il tempio di Vesta - che secondo alcuni aveva forma tonda, perché nato come una capanna -, sede del più antico focolare domestico, fu ricostruito l’ultima volta sul finire del II se­c. d.C. da Giulia Domna, moglie dell’Im­peratore Settimio Severo.

Accanto al tempio di Vesta, la Casa delle Vestali era la residenza e la sede ufficiale delle sacerdotesse, incaricate della sorveglianza del fuoco sacro che ardeva nel tempio e dei riti connessi al culto del focolare. Le Vestali erano normalmente sei, entravano nel sacerdozio tra i sei e i dieci anni e vi rimanevano per trent'anni, con obbligo di castità. Erano scelte dal Pontefice Massimo, che sorteggiava le “novizie” tra venti nomi di fanciulle proposte, inizialmente, dalle famiglie patrizie e, successivamente, anche da quelle plebee. Colei che infrangeva il voto di castità, non potendo esser versato il sangue di una Vestale, era sepolta viva in una stanza sotterranea posta nel campo detto "scellerato", prossimo alla porta Collina ed all'incrocio tra l’attuale via XX Settembre (l’antica Alta Semita) e via Piave. Il sangue del complice poteva, invece, essere versato: ed infatti, costui era frustato, fino a morte, nella piazza del Foro.
A causa della sua destinazione d’uso, il tempio andò più volte a fuoco; ogni volta fu ricostruito, ma probabilmente la posizione originaria non è quella attuale. La Casa delle Vestali (non a torto, considerata il prototipo dei conventi moderni) era articolata su due piani attorno ad un ampio cortile. Il cortile era tenuto a giardino e circondato da portici, sui quali s’affacciavano gli ambienti destinati al soggiorno e all'alloggio delle Vestali, ai servizi e al personale ad essi addetto. In tutto autosufficiente, disponeva di una cu­cina, di un mulino e un forno, ancora riconoscibili.






lunedì 24 maggio 2021

Qual era la maggiore fonte di intrattenimento nell'antica Pompei?

A causa del gran numero di bordelli, frequentarli era apparentemente la principale attività ricreativa di Pompei. Ovviamente sappiamo che i romani avevano gare di carri, combattimenti tra gladiatori, cacce di bestie ed esecuzioni pubbliche. Ma c'era una preponderanza di bordelli in quella particolare città.




domenica 23 maggio 2021

Perché non sono mai state ritrovate antiche corone egiziane?

Nessuna corona dei faraoni è mai stata trovata dagli archeologi. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che siano state tramandate da un regnante all'altro, o forse perché erano realizzate con materiali delicati. Gli esperti ritengono che probabilmente fossero fatte in tessuto, pelle o fibre intrecciate come il papiro.



sabato 22 maggio 2021

Cos’è il garum, il condimento più amato dagli antichi romani?

Questa salsa di interiora di pesce, che gli antichi romani utilizzavano come condimento su molti piatti, nell’immaginario di molti rimane una preparazione a base di animali putrefatti. In realtà – come molte testimonianze, seppur frammentarie, attesterebbero – si tratta piuttosto di una tecnica di fermentazione, di origine ancor più antica, già ampiamente diffusa nel Mediterraneo ai tempi di greci e fenici.


COME SI PREPARAVA



Per ottenere questa salsa i romani partivano dalle interiora di acciughe, sgombri e altro pesce povero che poi lasciavano macerare sotto sale per un un tempo abbastanza lungo in piccole anfore. Era poi filtrato, a più livelli, per crearne diverse varianti: c’era la flos floris, di qualità superiore, derivante dalla prima filtrazione; il liquamen, di seconda scelta secondo alcuni studiosi, coincidente con il garum stesso secondo altri; l’allec, una salsa semiliquida ottenuta dalla polpa rimanente.


IL GARUM NELLA LETTERATURA



Richiami molto chiari al garum si trovano in lungo e in largo nella letteratura latina: tra i tanti ne parla chiaramente Apicio nel De Re Coquinaria, raccolta di 10 libri di ricette di cucina romana compilata nel I secolo, in cui fa riferimento all’ampio uso del garum o liquamen come insaporitore di almeno 20 diverse ricette, dalla carne a pesce, dalla frutta alla verdura.



Informazioni più dettagliate le riferisce Plinio il Vecchio nel XXXI libro della Naturalis Historia, in cui parla di “un altro tipo di liquido pregiato, che chiamarono garon, è fatto con intestini di pesci e altre parti che di norma si dovrebbero buttare via, macerati nel sale, sicché quello diventi la feccia di cose in putrefazione”.


UN LIQUIDO PREGIATO DALLE DIVERSE QUALITÀ

Liquido pregiato, dunque, in cui la putrefazione cui fa riferimento lo scrittore poteva sopraggiungere quando il sale non era sufficiente a innescare la fermentazione. È sempre Plinio a chiarire che il garum migliore era il sociorum, fatto con gli sgombri provenienti dalla Spagna, e che si commerciavano anche una specie di garum senza condimenti, il gari flos, e un’altra variante con pesce a scaglie, il garum castimoniale. Il primo, sopratutto, essendo in buona sostanza una salamoia satura in cloruro di sodio in presenza di enzimi proteolitici, si rivelava un buon digestivo e presentava anche qualità disinfettanti, paragonabili a quelle della tintura di iodio e di blandi antiinfiammatori.


I GARUM MODERNI


Tra le preparazioni che più si avvicinano al garum oggi c’è forse la colatura di alici di Cetara, di cui si dice sia l’antenato: questa salsa liquida campana, dal colore ambrato, segue un tradizionale procedimento (e un disciplinare) di maturazione delle alici in una soluzione satura di acqua e sale. Con tutta probabilità, tuttavia, derivano dalle stesse radici latine anche la salsa di pesce orientale e soprattutto il nuoc mam, la versione appartenente alla cucina vietnamita molto diffusa in tutto l’Oriente.


venerdì 21 maggio 2021

Cosa ha fatto di male Gesù Cristo

E' scritto chiaramente nei Vangeli, ma per qualche ragione molti lo ignorano.

Domenica Gesù entra trionfalmente a Gerusalemme (domenica delle Palme). Lo precede un'ottima fama di guaritore, l'aver compiuto dei miracoli e anche prediche ispirate. Insomma tutto bene. Eppure venerdì, dopo soli 5 giorni, è crocefisso dai romani. Perché?

Che è successo in quei 5 giorni? Lunedì o martedì (le fonti divergono), Gesù compie un atto scandaloso, sovversivo e dal significato sia religioso che politico. Un episodio centrale nella sua vita: la cacciata dei mercanti dal Tempio con frusta e parole. Ironico e istruttivo: Gesù ha perdonato tutti nella sua vita, ma i mercanti no.

Non si è messo a predicare, a guarire, a diffondere le sue parabole tra il popolo, come magari si aspettavano in tanti. Macché, ha preso la frusta e ha iniziato a dare botte a destra e a manca nel Tempio.

I romani subito alzano le orecchie: altro che innocuo predicatore, quello era un ribelle sovversivo che minava il centro commerciale ed economico dell'intera regione. E pure con un certo ascendente sul popolo.

Bisognava intervenire. Gesù, che non è uno stupido, capisce che le cose si mettono male e mercoledì c'è l'Ultima Cena. Giovedì con uno stratagemma i Romani lo arrestano e dopo un processo farsa lo condannano a morte (sono conquistatori, non vanno tanto per il sottile) con la pena che infliggono ai ribelli dello stato, la crocefissione, che viene eseguita subito venerdì.

Una pena di morte molto umiliante e dolorosa, che doveva fungere da monito per tutti: se fate i ribelli questa sarà la vostra fine. Il resto, come si suol dire, è storia.



giovedì 20 maggio 2021

Che fine ha fatto Elena di Troia dopo la caduta della città?

 


Dopo la morte di Paride viene data in sposa a Deifobo, uno dei tanti fratelli del troiano. Durante l'assedio di Troia i greci irrompono nel palazzo e la trovano in una camera con quest'ultimo (peraltro ubriaco), che viene ucciso da Menelao, il quale ha anche l'istinto di infierire contro di lei, ma viene dissuaso dalla dea Afrodite che lo esorta a tornare in patria con la moglie ritrovata.

Le versioni sulla sua fine sono controverse.

Nell'Odissea Elena si riconcilia col marito e regnano fino alla fine dei loro giorni su Sparta.

Un'altra versione afferma che dopo la morte di Menelao sia stata portata a Rodi dove Polisso l'avrebbe fatta impiccare per essere stata la causa della morte di tanti eroi sotto le mura di Troia.

Secondo altri miti invece Elena dopo la morte sarebbe stata divinizzata e portata nei Campi Elisi (luogo in cui dimoravano le anime degli eroi particolarmente amati dagli dei)


mercoledì 19 maggio 2021

Quale disciplina aveva l'esercito romano?




L'esercito romano è noto fino ad oggi come esempio di grande disciplina e lavoro di squadra. Per prima cosa, diamo un'occhiata all'addestramento delle reclute romane.
Ciò che distinse i legionari romani era la capacità di muoversi in gruppo e combattere in varie condizioni meteorologiche. Avevano una disciplina di ferro, erano ben equipaggiati, resistenti e perfettamente addestrati. In cosa consisteva il loro allenamento?
Prima di tutto, una recluta romana doveva essere in grado di affrontare lunghe marce: ogni mese i soldati percorrevano 30 chilometri con indosso l'attrezzatura completa. Percorrevano metà della distanza a passo libero e l'altra metà dovevano farsela di corsa.
Poi dovevano imparare ad allestire un campo quindi facevano esercitazioni militari due volte al giorno (ai legionari addestrati bastava una sola volta). Imparavano a scagliare pietre, nuotare ed andare a cavallo. Dovevano essere in grado di saltare su e giù dal cavallo in piena marcia, e da entrambi i lati della monta, il che era una vera impresa, dato che a quel tempo le staffe erano ancora sconosciute. Gli esercizi più importanti, tuttavia, erano quelli che coinvolgevano le armi.
Una pila di sacchi veniva fissata nel terreno, la cui altezza corrispondeva all'altezza di un uomo. Un soldato armato con uno scudo di vimini e una spada di legno, smussata (rudis; dello stesso peso della spada reale, e talvolta anche più pesante) attaccava la pila di sacchi cercando di migliorare la sua precisione. Doveva anche essere in grado di scagliare un pilum (giavellotto) molto pesante. Venivano quindi organizzate finte battaglie e, per evitare che i soldati si ferissero sul serio, venivano poste delle coperture sulla lama della spada e della lancia.


Vale anche la pena ricordare che cosa significava "avere disciplina" nella pratica romana. Di seguito è riportato la testimonianzia di Titus Livius.
Titus Livius afferma che durante la guerra con i Latini, i Volsci e la Campania nel 340 a.C., Tito Manlio Torquato, figlio del console Aulo Manlio Torquato, disobbedì agli ordini del padre. A quel tempo, Roma stava combattendo contro alcune tribù che usavano le loro stesse armi, avevano gli stessi costumi, linguaggio e tattiche.
Al fine di prevenire equivoci e avere un vantaggio sull'avversario, Aulus Manlius Torquatus e il suo console, Decio, capirono che una rigida disciplina doveva diventare un elemento indispensabile della tattica romana. Introdussero quindi un editto che proibiva ai soldati di agire da soli, e prevedeva l'obbligo di seguire tutti gli ordini.
Durante uno dei pattugliamenti, il figlio del console, Tito Manlio Torquato, si presentò con diversi amici davanti ad una piccola squadra di nemici. Il comandante dell'unità nemica era chiamato Geminus Maecius, che, ritrovandosi davanti il figlio dello stesso comandante romano, lo sfidò a duello. Tito, ignorando l'editto del padre, accettò la sfida e sconfisse l'avversario. Quindi, una volta tornato al campo, informò suo padre del duello. Sentendo ciò, il console ordinò di chiamare tutti i soldati. Disse a tutti che, anche se amava suo figlio, non poteva lasciare che gli ordini vincolanti fossero infranti, perciò lo condannò a morte. Tito morì, preso a bastonate di fronte ai soldati. E da qui che proviene il motto: "la disciplina di Manlius".