Le famose sconfitte schiaccianti subite
contro i germani (Teutoburgo) e i persiani (Carre), in pratica si
spiegano con ragioni che non avevano a che fare con la forza della
legione, bensì con la inettitudine dei comandanti, due politici: il
primo con scarsa dimestichezza della materia militare (Varo) e
l’altro completamente privo (Crasso).
Di fatto non ci fu nessun popolo
all’epoca che non finì, alla fine vinto dai Romani. I famosi
Caledoni delle Highlands scozzese, riuniti sotto
Il Duce Calgano, vennero
infine vinti dal generale romano Agricola, nella battaglia del Monte
Graupio; sennonché erano così povere le
Highlands
che si decise abbandonarle una volta
vinta l’ultima resistenza dei Caledoni.

Per la medesima ragione non fu occupata
l’Ibernia, dove ci si limito a creare un sistema di forti (di
sorveglianza) nell’area dove oggi sorge Dublino.
Stessa cosa avvenne in Germania: poiché
la civiltà romana aveva un costo e per tanto non era economicamente
sostenibile estenderla a terre completamente sterili. Infatti,
sebbene i non addetti ai lavori non ne siano a conoscenza, non è
vero che i romani dopo il massacro di Teutoburgo si ritirarono
bastonati dalla Germania: sarebbe stato impossibile lasciare il
vincitore di un match vittorioso. Ciò avrebbe avuto serie
ripercussioni sui rapporti tra “Roma Invicta” e i barbari. Quindi
si organizzò subito dopo una rivincita, durante la quale i Romani
distrussero tutte le popolazioni germaniche che avevano preso parte
all’imboscata di Teutoburgo. In una serie di scontri — culminati
nelle grandi battaglie di
Idistaviso e del Vallo degli
Angrivari — i Romani annichilirono tutti i germani a Est del
Reno. Rinunciarono tuttavia a trasformare la Germania Magna in
provincia, delegando il governo a principi clienti, poiché
economicamente non vantaggiosa.
In quanto ai persiani, dopo Carre i
Romani ebbero modo di rifarsi con numerose vittorie (tra gli altri
Trajano, Lucio Vero e Settimo Severo che espugnarono la capitale dei
persiani) di cui due vittorie totali, nelle quali fu distrutto
l’intero esercito persiano, e la Persia si affidò alla
misericordia del vincitore. La prima volta se l’impero persiano non
fu trasformato in provincia Romana — come proposto dal Cesare
Galerio — si deve alla mitezza di Diocleziano, che vedeva come non
gestibile un estensione dei confini Romani sino all’India; la
seconda volta, a seguito della battaglia di Ninive, la Persia divenne
un protettorato romano (lo scia Siroe, noto come
Kavadh II, morente fa
dell’imperatore Eraclio I
il tutore del giovane scià). Ma
il beneficio durò poco, dato che arrivarono i maomettani, che
conquistarono la Persia e molte province romane.
L’unico condottiero che sia mai
riuscito a sconfiggere le
vere
legioni romane (non gli eserciti
barbarici al servizio di Roma del tardo Impero) fu
Annibale. La sua abilità
di stratega gli permetteva sconfiggere quel rullo compressore che era
la fanteria pesante legionaria; anzi riusciva a utilizzarne la
forza per poi accerchiarli (dato che frontalmente nessuno riusciva a
contrastarli).
Sui persiani poche volte i Romani
ottenevano vittorie decisive, in quanto i Persiani raramente
accettavano lo scontro campale, preferendo la tecnica della
guerriglia o gli attacchi seguiti da ritirate ad opera degli arceri a
cavalli.
I Romani, invece in quanto a cavalleria
erano scarsi e non la usavano quasi mai in battaglia. Per combattere
coi Persiani istituirono squadroni di cavalleria, spesso presi tra i
barbari della steppa.