sabato 8 ottobre 2022

I Romani nel Deserto: scoperti tre accampamenti militari grazie a Google Earth

Una scoperta rivoluzionaria nel cuore dell’Arabia settentrionale rivela le tracce di una campagna militare romana finora ignota, sollevando interrogativi sulle reali modalità di annessione del Regno Nabateo. A guidare la rivelazione: le immagini satellitari e la tenacia dell’archeologia contemporanea.

Con un occhio attento rivolto al passato e uno strumento moderno come Google Earth, un team di archeologi dell’Università di Oxford ha identificato tre accampamenti militari romani nel deserto dell’Arabia settentrionale. La scoperta, pubblicata sulla rivista Antiquity, offre uno squarcio inedito su una possibile campagna militare condotta da Roma all’alba del II secolo d.C., gettando nuova luce su un’epoca considerata, finora, relativamente pacifica nella transizione del potere tra il Regno Nabateo e l’Impero.

Gli accampamenti, scoperti nel corso del progetto Endangered Archaeology in the Middle East and North Africa (EAMENA) e poi documentati fotograficamente da Aerial Archaeology in Jordan (APAAME), sono disposti lungo una direttrice rettilinea che collega l’odierna Bayir, in Giordania, alla città di Dûmat al-Jandal, oggi in Arabia Saudita. Una posizione che non pare casuale. Il tracciato si sviluppa lungo una rotta carovaniera secondaria, scelta apparentemente per eludere il ben più trafficato Wadi Sirhan, e conferisce alla manovra un chiaro carattere strategico, forse finalizzato a cogliere di sorpresa un nemico impreparato.

“Questi accampamenti sono straordinari non solo per la loro conservazione ma per ciò che implicano dal punto di vista storico e militare,” ha dichiarato il dottor Michael Fradley, leader del progetto, che per primo ha individuato le strutture servendosi delle immagini satellitari. “La loro tipica forma a ‘carta da gioco’ — rettangolare, con ingressi opposti su ciascun lato — è un marchio inconfondibile dell’esercito romano.”

Il contesto storico in cui si colloca questa scoperta è particolarmente significativo. Dopo la morte del re nabateo Rabbel II Soter nel 106 d.C., la storiografia romana ha tramandato l’annessione del regno come un evento indolore e diplomaticamente risolto. Ma la presenza di questi accampamenti temporanei, distanziati tra loro tra i 37 e i 44 chilometri, suggerisce tutt’altro: una campagna militare strutturata e tutt’altro che incruenta. “La distanza tra i campi è troppo grande per la fanteria — osserva Fradley —, il che implica l’impiego di unità montate, forse cavalleria o cammellieri, capaci di spostarsi rapidamente nel deserto.”

Un dettaglio non secondario è la notevole differenza dimensionale tra il campo più occidentale e gli altri due: il primo appare significativamente più grande. Per il professor Andrew Wilson, coautore dello studio, questa asimmetria apre scenari ancora inesplorati: “Le forze potrebbero essersi divise? Una metà ha proseguito e l’altra è rimasta come supporto logistico? Oppure l’armata si è riorganizzata per affrontare uno scontro non documentato?” Il campo più grande potrebbe aver funzionato da hub per l’approvvigionamento idrico, cruciale in un ambiente tanto ostile quanto quello desertico.

Il dottor Mike Bishop, studioso delle tattiche militari romane, ha accolto la scoperta con entusiasmo: “I forti ci dicono come Roma ha amministrato i suoi territori. Gli accampamenti temporanei, invece, rivelano come li ha conquistati. Questa scoperta ci costringe a ripensare alla rapidità e alla forza con cui l’Impero si è mosso per assicurarsi un regno strategicamente vitale.”

Ma, come spesso accade nella scienza archeologica, ogni risposta genera nuove domande. La datazione esatta degli accampamenti resta da confermare con indagini sul campo, così come il numero complessivo delle strutture. La regolarità della loro disposizione e le distanze suggeriscono che altri campi potrebbero attendere sotto la sabbia, forse nella zona di Bayir, dove sorge anche una stazione di pozzi di epoca omayyade — un indizio della continuità d’uso della via carovaniera nel tempo.

Al centro della vicenda c’è un paradosso storiografico: Roma ha sempre narrato l’annessione del Regno Nabateo come un affare pacifico. Eppure questi accampamenti, silenziosi e ordinati nella vastità del deserto, sembrano raccontare un’altra storia. Una storia di movimento rapido, di strategie nascoste e, forse, di guerra.

Se confermata, la scoperta costituirebbe una delle più importanti revisioni della storia imperiale romana nel Vicino Oriente degli ultimi decenni. E ancora una volta, a scrivere le nuove pagine della storia non è solo la terra, ma anche il cielo — o meglio, la sua immagine riflessa in pixel da un satellite orbitante. Una moderna via Appia dell’indagine archeologica, dove il mouse e la lente sostituiscono piccone e pennello.

Che altri campi giacciano ancora sepolti sotto la sabbia, o che la storia della campagna romana in Arabia sia stata più cruenta di quanto Roma abbia voluto ricordare, rimane ancora oggetto di indagine. Ma una cosa è certa: il deserto, apparentemente vuoto, ha cominciato a parlare. E la sua voce, amplificata dai satelliti, risuona forte fino ai nostri giorni.



Nessun commento:

Posta un commento