sabato 29 ottobre 2022

Oltre i confini dell’Impero: le rotte africane e asiatiche dei Romani

 


Quando pensiamo all’Impero romano, la nostra immaginazione corre subito alle legioni che marciano compatte lungo le strade lastricate d’Europa, ai fori brulicanti di mercanti e senatori, o ai confini segnati dal Reno e dal Danubio. Ma la verità è che Roma non fu soltanto una potenza militare e politica: fu anche una civiltà affamata di conoscenza, beni preziosi e rapporti commerciali. I Romani non si accontentarono di dominare le province conquistate: spinsero la loro curiosità molto più in là, oltre i confini segnati dalle aquile legionarie. Attraverso ambasciatori, mercanti, esploratori e cronisti, arrivarono a lambire terre lontane, dalle sabbie del Sahara fino alle coste dell’India, dalle cataratte del Nilo fino alle misteriose frontiere della Cina.

Il dominio romano in Africa fu solido e duraturo. Dal Marocco all’Egitto, l’Africa settentrionale era parte integrante dell’Impero. Qui fiorirono città come Cartagine, Leptis Magna e Cirene, punteggiate di anfiteatri, terme e fori che nulla avevano da invidiare a quelli di Roma. L’Egitto, conquistato da Augusto nel 30 a.C., divenne il granaio dell’Impero: senza le sue coltivazioni di grano, Roma sarebbe morta di fame.

Ma i Romani non si fermarono al limes africano. Già sotto Augusto, spedizioni come quelle guidate da Cornelio Balbo spinsero gli esploratori nel cuore del deserto libico, verso il regno dei Garamanti, popolo abile a sfruttare le falde acquifere sotterranee del Fezzan. Alcune fonti, tra cui Plinio il Vecchio, attestano che gruppi romani giunsero addirittura verso l’attuale Ciad, aprendo rotte di contatto con l’Africa nera.

Il fiume sacro dell’Egitto rappresentò per i Romani un’autostrada verso il mistero. Spedizioni documentate raggiunsero le cataratte del Nilo e si spinsero fino alla Nubia, nell’attuale Sudan. Qui entrarono in contatto con il regno di Meroe, potente e ricco di ferro. Oro, avorio, animali esotici e soprattutto gli elefanti da guerra affascinavano i mercanti e i generali romani.

Il Periplus Maris Erythraei, scritto da un mercante greco intorno al I secolo d.C., è la nostra guida più preziosa alle rotte commerciali tra il Mar Rosso e l’Oceano Indiano. Da porti come Berenice e Myos Hormos, le navi romane salpavano cariche di vino, vetro e monete d’argento. In cambio, tornavano con spezie, incenso, perle e pietre preziose. I porti africani di Adulis (nell’attuale Eritrea) e le coste somale erano tappe fondamentali. Alcuni indizi archeologici, come frammenti di anfore romane, fanno sospettare che il commercio si spingesse persino fino alla Tanzania.

La proiezione orientale di Roma fu tanto politica quanto commerciale. Conquistando la Siria, la Palestina e a tratti la Mesopotamia, Roma si trovò a un passo dall’antico impero dei Parti e poi dei Sasanidi, rivali implacabili. Nel II secolo d.C. l’imperatore Traiano spinse le legioni fino al Golfo Persico, sognando una nuova “via romana per l’India”. Ma il sogno si infranse: la Mesopotamia si rivelò indifendibile e Roma dovette ritirarsi.

Il mito dell’Arabia Felix, la terra dell’incenso e della mirra, attrasse i Romani fin dal tempo di Augusto. Nel 25 a.C., il prefetto d’Egitto Elio Gallo guidò una spedizione verso lo Yemen, ma il viaggio fu disastroso: malattie, deserti e la resistenza dei popoli locali costrinsero l’esercito a ritirarsi. Tuttavia, il commercio continuò: spezie e aromi arabi erano richiesti a Roma per cerimonie religiose, profumi e banchetti.

Se la conquista militare dell’Oriente fallì, il commercio con l’India conobbe un successo straordinario. Navi romane solcavano l’Oceano Indiano seguendo i monsoni, approdando a Muziris (nell’attuale Kerala) e in altri porti della costa occidentale. Da lì giungevano spezie come pepe e cannella, tessuti di cotone, gemme e perle. Monete auree romane sono state rinvenute in gran numero nei villaggi indiani, segno di uno scambio continuo. Alcune fonti parlano anche di ambasciate inviate a sovrani indiani, segnalando che Roma non era solo un cliente, ma anche un partner diplomatico.

Il limite ultimo dell’immaginazione romana fu la Cina, chiamata nelle fonti Serica o Sinae, “la terra della seta”. Sebbene nessuna legione vi abbia mai messo piede, contatti indiretti esistevano da secoli grazie alla Via della Seta. Le cronache cinesi ricordano un’ambasceria giunta “da Da Qin” (la Grande Roma) nel 166 d.C., sotto Marco Aurelio. Probabilmente erano mercanti romani che cercavano di stabilire contatti diretti. In cambio della seta cinese, i Romani offrivano vetro e metalli lavorati. Anche se il viaggio diretto era impossibile, l’idea di Roma e della Cina come estremi opposti del mondo allora conosciuto rimase viva.

Dietro queste avventure si nascondeva un motore potente: il commercio.
Roma non cercava terre da coltivare, ma beni di lusso da consumare o ostentare. Spezie, sete, gemme, avorio, incensi: merci rare che alimentavano la vita raffinata delle élite romane. Senatori e matrone erano disposti a pagare cifre esorbitanti per un tessuto trasparente indiano o per il pepe che insaporiva i banchetti. Plinio il Vecchio si lamentava che ogni anno Roma spendeva milioni di sesterzi in beni orientali, “svuotando il tesoro dello Stato per profumare le donne e cucinare i piatti”.

Ma non era solo vanità: il commercio a lunga distanza garantiva prosperità alle province portuali, arricchiva mercanti e apriva il mondo romano a nuove idee, religioni e conoscenze. Basti pensare che dal contatto con l’India e l’Oriente entrarono nell’Impero culti come quello di Mitra, spezie usate poi in medicina e nuovi animali esotici per i giochi circensi.

Le spedizioni africane e asiatiche non furono mai sistematiche come le conquiste europee, ma lasciarono un’impronta profonda. Roma non fu mai un impero chiuso: fu un crocevia globale, il cuore pulsante di una rete che collegava l’Atlantico all’Oceano Indiano.

Oggi, le monete d’oro romane trovate in India, i graffiti latini in Egitto o i frammenti di anfore sulle coste africane sono la prova tangibile di un mondo interconnesso già duemila anni fa. Se i Romani non conquistarono mai l’Africa nera né l’Estremo Oriente, riuscirono però a gettare ponti culturali e commerciali che anticipano, in un certo senso, la globalizzazione moderna.

E nel loro slancio verso l’ignoto, lasciarono dietro di sé una lezione che ancora oggi colpisce: che nessun impero può sopravvivere senza guardare oltre i propri confini, senza mettersi in gioco nella ricerca incessante di nuove terre, nuove merci e nuove idee.



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