venerdì 12 agosto 2022
Quale fu l'atto che pose fine all'Impero Romano?
giovedì 11 agosto 2022
Annibale era bianco o nero?
mercoledì 10 agosto 2022
I popoli barbarici furono davvero così "barbari"?
Sono Rubidio figlio di Caio Semprinio oggi a Roma è una bellissima giornata, oggi 410 anni dopo la nascita del Salvatore Gesù detto il Cristo, è domenica, dopo aver acquistato il pane azzimo e passato la mattina in osteria vado alla celebrazione eucaristica.
Le mie vesti della domenica sono intarsiate in finto oro, ho una camicia di lino, un pantalone colore verde bellissimo, un bracciale di rame decorato, un cappello venuto da Capri.
Ma cosa succede!? Suonano le trombe di emergenza, i cittadini fuggono, truppe di pretoriani armati vanno verso il porto, bellissimo con le loro armature d'acciaio !
Ma cosa succede?i forni chiudono, il Vescovo passa pregando e le donne rifuggono in casa.
Vedo la porta Ostia cadere in un rombo assordante. Fumo, fiamme e da lì entrano…centinaia..migliaia di barbari, vestiti da straccioni, con le mazze, i coltellacci, la bava spumante nella bocca sdentata, sono orribili!
Ma come si permettono, questa è Roma, dove sono le Legioni ! Maledetti andatevene siete orrendi.
Dieci di loro con le fiaccole e i piccini spaccano tutto, perché questo odio.
Vado verso di loro, urlo, grido, andatevene!
Un barbuto, mi vede, si avvicina, in un latino che non capisco bene, sputacchia e dice: Roma è morta e con lei Te! Muori maledetto romano, brucia te con i tuoi libri, rinnega i tuoi dei, Roma brucerà e con te la civiltà che avete creato, noi porteremo la morte e la rinascita!
Muori maledetto…ma non ha fatto in tempo, il mio pugnale lo trafigge alla gola! Roma muore ma te non lei.
Roma è eterna maledetto barbaro.
martedì 9 agosto 2022
Gli antichi romani usavano cani in battaglia?
Le origini del cane da combattimento sembra siano sono antichissime. I cani inviati in battaglia venivano protetti con armature o collari chiodati con la finalità di attaccare il nemico. Questa strategia fu usata da varie civiltà, come egizi, greci, persiani, sarmati, alani, slavi, britannici e romani.
Uno dei primi usi militari prevedeva che i cani fossero messi in servizio di sentinella. Proprio come oggi i cani vennero utilizzati per difendere accampamenti, o altre aree prioritarie, giorno e notte. I cani abbaiavano o ringhiavano per allertare le guardie della presenza di uno sconosciuto.
Gli archeologi congetturano che gli
umani abbiano usato cani in guerra dal momento che gli animali sono
stati addomesticati per la prima volta più di 15.000 anni fa. Con il
progredire della guerra, gli scopi dei cani sono cambiati
notevolmente.
Si sa che nel 4000 a.c. gli Egizi usavano i cani in
guerra, e comunque è certo che vennero impiegati nel XVIII secolo
a.c. dagli
Hyksos
durante l'invasione dell'Egitto.
Approfittando delle lotte intestine egiziane, gli Hyksos invasero il
regno grazie alla loro superiorità militare, portatori del cavallo
da guerra, del carro da guerra e
del cane da guerra.
E’ sufficientemente documentato che
contemporaneamente, e successivamente, popoli guerrieri mesopotamici,
siriaci e indiani fecero uso di cani in battaglia.
Secondo Erodoto
di Alicarnasso (Le
Storie, tra il 440
a.C. e il 429 a.C.) la spedizione di Serse, re dei persiani, era
formata da centinaia di migliaia di soldati:
"Il
numero totale delle donne addette alle cucine, delle concubine e
degli eunuchi non si poteva contare. Il numero totale delle
bardature, dei capi di bestiame e dei cani indiani non poteva essere
determinato perché erano troppi. Non è quindi sorprendente che
alcuni fiumi fossero prosciugati, anzi, è straordinario che essi
riuscissero a trovare cibo a sufficienza (...) E non calcolo il cibo
per le donne, gli eunuchi, i capi di bestiame e i cani, cani da
caccia e da protezione che furono presi in India a quel tempo".
Solo per sfamare i cani da guerra dell'Assiria, divenuta una satrapia, ossia una provincia persiana, si ricorreva alla produzione delle terre di quattro interi villaggi, che per questo venivano esentati dalle tasse.
MOLOSSO DA GUARDIA ROMANO
Dal V al II sec. a.c., popolazioni greche e balcaniche usarono in guerra cani da pastore e da caccia tra cui le razze "molosso lacone", hellenikos poimenikos, skilos tou Pyrrou, skilos tou Alexandrou, molosso d'Epiro, metchkar, qen ghedje, sylvan e in seguito il discendente charplanina.
Nel "De Natura Animalium"
Claudio Eliano narra come nella battaglia di Maratona (490 a.c.)
alcuni Greci abbiano combattuto eroicamente a fianco dei loro cani,
come nel caso di un ateniese, ricompensato insieme al suo cane per il
valore dimostrato. Ambedue furono raffigurati nello
Stoà Pecile, i colonnati
dell'Agorà di Atene decorati con dipinti che celebravano le Guerre
Persiane.
Nel III sec. a.c. Alessandro Magno invece utilizzò i
Molossi nelle battaglie campali per seminare il panico tra i ranghi
nemici. Fu così che “Periles”, il suo molosso favorito, morì
combattendo.
Un altro compito del molosso presso
diversi popoli antichi, fu quello di giustiziare i nemici od i
colpevoli di particolari reati che venivano buttati in fosse dove i
cani, tenuti affamati, li sbranavano. L’espressione “gettare in
pasto ai cani” discenderebbe appunto dalla pratica di procurare
carne umana ai cani per far loro superare la paura dell’uomo
stimolandone l’istinto predatorio
Nel 281 a.c., Lisimaco (uno
dei successori di Alessandro Magno) fu ucciso durante la battaglia di
Corupedium e il suo corpo fu scoperto sul campo di battaglia,
vigilato dal suo fedele animale.
Nel 231 a.c., il console romano Marco
Pomponio Matho guidò la Legio Romano attraverso l'isola di Sardegna.
Usando "cani dall'Italia" per dare la caccia ai nativi che
si difendevano con azioni di guerriglia continua.
Nel
120 a.c., Bituit(o), re degli Arvernii, attaccò una piccola
forza di Romani guidata dal Console Quinto Fabio Massimo Allobrogico
usando solo i cani che aveva nel suo esercito.
A volte i cani
prestavano servizio come staffette per inviare messaggi: i messaggi
venivano inseriti nel collare, assicurati tra il cuoio e il metallo
dello stesso.
L'anno 55 a.c. vide Giulio Cesare sbarcato in Britannia scontrasi coi guerrieri celtici e i loro cani.
Lo storico Claudius Aelianus (Preneste, 165/170 circa – 235 d.c.), filosofo e scrittore romano in lingua greca, scrive:
"Gli abitanti di Magnesia sul Meandro combattendo contro gli abitanti di Efeso, ciascuno dei cavalieri recava seco un cane da caccia che lo coadiuvasse in combattimento, ed un servo che lanciasse giavellotti. Quando era il momento della mischia i cani, lanciandosi in avanti portavano scompiglio nelle schiere, oltre che terribili e feroci si dimostravano anche implacabili.".
I Romani nella loro straordinaria,
pragmatica capacità di assimilazione e integrazione di usi e
costumi, migliorarono costantemente le prestazioni di cose, uomini e
animali; così impararono ad usare i cani da guerra incrociandoli per
migliorarli e, soprattutto, li addestrarono.
Del resto la
predominanza dei Romani nei combattimenti era dovuta,
sostanzialmente, alla disciplina e al loro straordinario
addestramento: così anche con i cani usarono la stessa pratica.
Il
cane
doveva vivere con tutta la
coorte, abituandosi a distinguere gli amici dai nemici,
dall'odore di vesti e delle armature. Apprendeva ad ubbidire agli
ordini verbali, diversamente dai cani da guerra “barbari” che
assalivano indiscriminatamente:
i cani romani obbedivano agli
ordini come fossero soldati.
Il
molosso romano o canis pugnax
è il progenitore dell'odierno
mastino napoletano.
Tuttavia, il
canis pugnax
era meno pesante e grande di
quest'ultimo e assomigliava maggiormente all'attuale cane corso.
Il
canis pugnax, diffuso in
tutta Europa, ma in parte in Asia ed Africa, nei territori facenti
parti dell’Impero Romano, venne incrociato, e in parte si incrociò
da solo, con tante razze.
MASTINO NAPOLETANO DI DERIVAZIONE DEL MOLOSSO ROMANO
Il canis pugnax era potente, combattivo, coraggioso ma anche agile, veloce e in grado di percorrere giornalmente distanze notevoli, sia in pianura che in montagna, e di sopportarne i climi. La legione romana detiene a tutt'oggi il record di spostamento a piedi: mediamente circa 35 km. al giorno.
Il legionario romano (mediamente un essere umano di circa 150/160 cm d’altezza, robusto) pesantemente affardellato era in grado di sostenere le velocità di marcia che ci sono state tramandate - soprattutto da Flavio Vegezio Renato (noto per il trattato Epitoma rei militaris - e da Cesare; tali marce consistevano sostanzialmente in iter justum -circa 30 km. al giorno - e iter magnum -circa 36 km. al giorno-; tuttavia lo stesso Cesare nella campagna contro Vercingetorige guida 20.000 legionari in una marcia di andata e ritorno di 75 km. in poco più di 27 ore durante le quali riesce persino ad affrontare gli Edui e a disarmarli: in pratica mosse le truppe al doppio della massima velocità giornaliera prevista dall'iter magnum. Durante la marcia i soldati avevano pure il tempo di spianare un ampio terreno e costruire dal nulla un castrum per passarvi la notte: nel frattempo i cani, di sentinella, badavano che nessuno si avvicinasse al campo. La costruzione del campo, infatti, rappresentava uno dei momenti più critici per i legionari, momento opportuno per attaccarli, così come era pericolosa la fase di smontaggio del castrum, quando occorreva smontare le tende, gli arredi e lo steccato, affardellare tutto, caricare i carri, nutrire le bestie e le persone, essendo impossibile in marcia, se non mangiando qualche galletta o focaccia.
(anche Napoleone si dice sostenesse che: “la vittoria sta nelle gambe dei soldati”).
Altra pratica comune nell’uso bellico
dei cani da parte dei soldati romani fu quella di fissare recipienti
di liquido infiammabile (generalmente olio) sul dorso dei cani da
guerra ( in questo caso chiamati
piriferi
- "portatori di fuoco",
letteralmente - e dirigerli verso le prime linee nemiche, o a
scompaginare la cavalleria nemica facendo imbizzarrire i cavalli.
Da
segnalare che durante l’Impero Romano a Capua esistevano le
principali
scholae
ove individui provenienti da tutto
il mondo allora conosciuto si addestravano a diventare
gladiatori; e proprio a
Capua prosperarono allevamenti di cani da guerra e da
combattimento
(arena), venduti in tutto
l’impero. Capua rappresentò il centro di addestramento più
importante del mondo. Lì confluivano cani di tutte le razze, non
solo addestrati ma anche selezionati e incrociati per migliorarne le
prestazioni. Se ne curava e studiava l’alimentazione più adatta,
le tipologie di armature protettive e offensive, in funzione del loro
impiego tattico: come già detto i Romani usarono ampiamente i cani
da guerra, aizzandoli in branchi contro la fanteria e la cavalleria
nemiche. Allo scopo esemplari di grandi dimensioni, più adatti a
sostenere anche il peso di una vera e propria armatura, selezionati
in base all'aggressività e all'insensibilità alle ferite venivano,
in genere, protetti da con armature in cuoio, talvolta rinforzate con
lamelle metalliche. Dal VII sec. a.c. al V sec. d.c. i romani
impiegarono in guerra
canes pugnaces: il molosso
d'Epiro, discendenti del cane corso, il mastino napoletano, i perros
de presa iberici, i vucciriscu, il dogo sardesco e il mastino
fonnese. Altre razze come il maremmano-abruzzese furono usate in
attività di supporto.
CANE CORSO
Perro de presa canario
Si riscontrano notizie di canis pugnax nel 231 a.c., in occasione della repressione romana dei Nuragici, in Sardegna, rifugiatisi in zone montagnose.
Nel 123 a.c., nell'invasione e nelle guerre romane in Gallia contro gli Arverni di Bituit(o) che i Romani sconfissero. Il loro capo e i suoi ambasciatori si presentarono chiedendo la pace accompagnati da enormi cani da guerra che furono offerti ai vincitori. Diverse centinaia di questi cani costituivano una sorta di cavalleria di sfondamento, con il vantaggio di essere difficilmente raggiungibili da frecce e giavellotti a causa dell'agilità, della mobilità, e per le dimensioni ridotte, rispetto a quelle di un cavallo. Uno di questi casi occorse nel 101 a.c, nella battaglia dei Campi Raudii - conosciuta anche come battaglia di Vercelli - combattuta fra un esercito della Repubblica romana - comandato dal console Gaio Mario - e un corpo di spedizione formato da tribù germaniche dei Cimbri, vicino all'insediamento di Vercellae, nel territorio di quella che a quel tempo era la Gallia Cisalpina (o a Cimbriolo, nel mantovano, secondo un’altra recente ipotesi). I Cimbri furono letteralmente distrutti, con più di 140.000 morti e 60.000 prigionieri, compresi moltissimi fra donne e bambini. Una gran parte del merito di questa vittoria fu attribuito a Lucio Cornelio Silla, legato del proconsole Quinto Lutazio Catulo, che comandava la cavalleria romana e quella degli alleati italici.
Un altro caso di uso di cani da guerra si registra con l'invasione e la conquista romana della Britannia, nel I secolo.
Risale, invece, al V sec. d.c . la comparsa dei pugnaces Britanniae. I progenitori degli attuali irish wolfhound e deerhound. Animali allevati come cane da guerra dagli antichi Celti, in seguito passati nelle mani degli abitanti delle terre di Irlanda, continuarono ad essere addestrati alla guerra, imparando anche a fare il cane da guardia, per proteggere la casa e gli allevamenti. Utilizzati in battaglia misero in difficoltà le legioni romane.
Anche l’esercito della Roma imperiale
tenne in grande considerazione il cane; si sviluppò, in particolare,
la figura del
procurator cinegeti (o
zooarco): un esperto professionista di cani da combattimento,
selezionatore di cani delle varie razze, in base alle qualità
dimostrate nell’arena ed in battaglia. si sviluppò così quel
molosso
che fu impiegato per diversi
scopi, quali:
- combattente in battaglia;
- compagno delle
avanguardie nel percepire la presenza di eventuali nemici
appostati;
- guardia insieme alle sentinelle per evitare
incursioni nemiche e attacchi ai castra;
- combattente nelle arene
contro belve;
- combattente nelle arene contro gladiatori;
-
cacciatore di fuggitivi;
- “guastatore” atto creare scompiglio
tra le fila nemiche;
- portaordini;
- guardiano di edifici
pubblici,
- guardiano di case e di ville patrizie;
- ausiliario
nella caccia grossa.
IL MOLOSSO ROMANO
Il Molosso Romano, (Canis pugnax), Il Molosso da guerra fu un efficace strumento di morte; molto aggressivo, bardato con un collare irto di punte di ferro, addestrato ad attaccare il nemico e ad ucciderlo azzannandolo alla gola. Per ottenere una simile “macchina bellica”, i Romani utilizzarono il materiale genetico del luogo. Risultò essere un cane funzionalmente completo e nelle terre conquistate dalle legioni Romane dette origine a cani che poi vennero utilizzati per funzioni similari: ad esempio, in Spagna originò il Perro da presa spagnolo e in Francia il Dogue de Bordeaux.
Plinio il Vecchio stesso riporta che i cani “…erano gli ausiliari più fedeli e più economici”.
D’altra parte sarà bene ricordare
che sebbene la leggenda della fondazione di Roma assunse la forma che
conosciamo solo in epoca tarda, quando ormai i Romani avevano esteso
la loro egemonia su tutta la penisola, essi, tuttavia, vollero
celebrare la loro origine scegliendo la lupa quale animale
totemico
e ne fecero campeggiare l’immagine
sulle insegne dei legionari, simbolo della sua combattività e di
Roma tutta.
Molti
imperatori Romani sono rimasti famosi per la crudeltà con cui
facevano svolgere i giochi circensi. Negli anfiteatri romani, durante
i “ludi gladiatori”, si affrontavano in combattimenti all’ultimo
sangue belve, molossi e gladiatori. Migliaia di orsi furono catturati
ed impiegati nelle arene. L’imperatore Caligola, nel I sec. d.c.
organizzò un feroce combattimento tra ben 400 orsi e un manipolo di
gladiatori affiancati dai loro cani da combattimento.
Strabone
scrive che per fronteggiare un
leone occorrevano quattro molossi. Le doti di combattente del molosso
emergevano anche negli spettacoli di tauromachia in cui i tori
combattevano fra di loro, contro altri animali, o anche contro gli
uomini. D’altronde le cacce (venationes) taurine era diffuse in
tutta l’area mediterranea.
A seguito dei movimenti connessi con
le conquiste delle legioni romane, il molosso
contribuì alla formazione di
altri cani che ora fanno parte d’altre razze europee, quali il
Komondor, l’Old English Mastiff, il San Bernardo, il cane dei
Pirenei, il Bovaro Svizzero ecc.
lunedì 8 agosto 2022
Perché Marco Porcio Catone è un personaggio così importante nella storia di Roma?
Catone fu un politico, un generale e uno scrittore romano, soprannominato "il Censore" (Censor), Sapiens, Priscus, o maior (l'anziano), per distinguerlo da Catone il giovane, il suo bis-nipote.
LE ORIGINI
Marco Porcio Catone, ovvero Marcus Porcius Cato, nelle epigrafi M·PORCIVS·M·F·CATO, nacque a Tusculum nel 234 a.c. da un'antica famiglia plebea, che si era fatta notare per qualche servizio militare, ma che aveva rifiutato, ovvero non era riuscita a ottenere, alte cariche civili. E' considerato il fondatore della Gens Porcia.
Fu allevato, secondo la tradizione latina, perché divenisse agricoltore, attività che egli amò e a cui si dedicò costantemente quando non fu impegnato nel servizio militare. Trascorse la sua adolescenza controllando un’azienda agricola di sua proprietà, poi prestò servizio appena diciassettenne durante la seconda guerra punica. Ma, avendo attirato l'attenzione di Lucio Valerio Flacco, fu condotto a Roma, divenendo questore nel 204, edile nel 199, pretore nel 198 in Sardegna, donde portò a Roma il poeta Ennio, e console nel 195; nel 184 divenne infine censore insieme al suo vecchio protettore Flacco. Insomma un cursus honorum rapido e completo.
Ebbe due mogli. La prima fu Licinia, una aristocratica della Gens Licinia, da cui ebbe come figlio Marco Porcio Catone Liciniano. La seconda, Salonia, figlia di un suo liberto, sposata in tarda età dopo la morte di Licinia, da cui ebbe Marco Porcio Catone Saloniano, nato quando Catone aveva 80 anni.
LA RIGIDITA' MORALE
Durante i suoi primi anni di carriera si oppose all'abrogazione della lex Oppia, emanata durante la seconda guerra punica per contenere il lusso delle donne. Ma presto cambiò idea perchè nel 204 a.c. prestò servizio in Africa, come questore con Scipione l'Africano ma lo abbandonò dopo un litigio a causa delle sue idee innovative, e soprattutto per la libertà che gli Scipioni accordavano alle loro mogli, sia come lusso che come organizzatrici di ricevimenti tra donne.
L'EDUCAZIONE DI CATONE BAMBINO
In Sardegna, potè invece estrinsecare la sua rigidissima moralità pubblica, e così in Spagna, che egli assoggettò con metodi molto duri, guadagnandosi la fama di trionfatore nel 194 a.c.
Nel 191 a.c. divenne tribuno militare nell'esercito di Manio Acilio Glabrione nella guerra contro Antioco III di Siria, e si distinse nella battaglia delle Termopili, che segnò la fine dell'invasione seleucide della Grecia.
La sua reputazione militare era indiscutibile, ma da quel momento preferì servire lo stato a casa, controllando la condotta morale dei candidati alle cariche pubbliche e dei generali sul campo. Egli credeva che il lusso, in cui la classe dirigente era orami avvezza a vivere, fosse la principale causa della degenerazione dei costumi, in particolare della perdita degli antichi valori. Catone esaltava al contrario la parsimonia, la moderatezza, l’esperienza della campagna, il disinteresse nell’esercizio delle cariche pubbliche, la resistenza al lavoro e alla fatica.
Spirito pratico e buon agricoltore, amministrò i suoi interessi con un senso dell'economia che sconfinava nell'avarizia, col principio che il proprietario deve vendere più che comprare, come lasciò scritto nel trattato sull'Agricoltura. Catone fu infatti l'unico padrone a permettere, tra i suoi schiavi, rapporti sessuali a pagamento intascandone il prezzo, cosa che non trovava affatto dsdicevole per un moralista come lui.
Pur non coinvolto nel processo per
corruzione contro gli Scipioni (l'Africano e l'Asiatico), guidò però
l'attacco contro di loro. Scipione l'Africano, rifiutandosi di
rispondere all'accusa, esclamò:
"Romani, questo è il giorno
in cui io sconfissi Annibale", e Scipio che aveva salvato più
volte Roma, pur venendo assolto per acclamazione, si autoesiliò
nella sua villa a Liternum. L'ostilità di Catone risaliva alla
campagna d'Africa quando discusse con Scipione per l'eccessiva
generosità di Scipione nella distribuzione del bottino tra le
truppe, e la vita sfarzosa di lui. Più tardi radiò dal senato
parecchi nobili, tra cui Lucio Scipione, fratello dell'altro
Scipione.
Catone ebbe alcuni meriti nella conduzione dei suoi offici:
fece riparare gli acquedotti, pulire le fognature,
impedì a soggetti privati di deviare le acque pubbliche per il loro uso personale,
fece demolire gli edifici che ostruivano le vie pubbliche,
costruì la prima basilica nel foro vicino alla Curia,
aumentò la somma dovuta allo stato dai pubblicani che riscuotevano le tasse,
diminuì il prezzo contrattuale per la realizzazione di lavori pubblici,
revisionò la lista dei senatori e degli equites, cacciando gli indegni, sia per la moralità ma anche per la mancanza dei requisiti economici. L'espulsione di Lucio Quinto Flaminio per ingiustificata crudeltà fu un esempio della sua giustizia, ma anche della sua cecità, visto che anch'egli era a volte spietato e crudele.
Ma ebbe anche numerosi demeriti:
si oppose al diffondersi della cultura ellenistica, che riteneva minacciasse di distruggere i costumi romani. Strano, perchè i costumi greci erano molto severi, ma ciò che lo infastidiva era la mania di pensare e di cercare la bellezza artistica.
Cercò di limitare il lusso, ma non per ragioni economiche, come fece ad esempio Augusto, ma perchè giudicato immorale, ponendo tra l'altro una forte tassa sugli abiti e gli ornamenti personali, specialmente delle donne, e sui giovani schiavi comprati come concubini o favoriti domestici, giudicata non immorale come pratica per l'abuso ma perchè voluttuaria.
Nel 181 a.c. appoggiò la lex Orchia che poneva limiti al numero di ospiti in un ricevimento, e nel 169 a.c. la lex Voconia, uno dei provvedimenti che intendevano impedire l'accumulo di un'eccessiva ricchezza nelle mani delle donne. Di sicuro Catone temette fortemente la libertà femminile e vi si oppose con protervia.
Preoccupato dalla diffusione dei riti misterici dei Baccanali, che egli attribuì alla nefasta influenza grecs, fece espellere dei filosofi greci di grande valore, come Carneade, Diogene lo Stoico e Critolao, giunti come ambasciatori da Atene, temendo la pericolosa influenza che avevano le loro idee.
Odiava anche i medici, che erano principalmente greci. Ottenne il rilascio di Polibio, lo storico, e dei suoi compagni prigionieri, chiedendo sprezzante perché il senato non avesse niente di più importante da discutere se qualche greco doveva morire a Roma o nella loro terra.
Quasi ottantenne ebbe il suo primo contatto con la letteratura greca, sebbene dopo aver esaminato i suoi scritti si pensa avesse già letto delle opere greche per gran parte della sua vita.
Il suo ultimo impegno pubblico fu di spronare i suoi compatrioti alla III guerra punica e la distruzione di Cartagine. Nel 157 a.c. fu uno dei delegati mandati a Cartagine per arbitrare tra i cartaginesi e Massinissa, re di Numidia. La missione fu fallimentare e i commissari tornarono a casa. Ma Catone fu colpito dalla prosperità dei cartaginesi si da convincersi che la sicurezza di Roma dipendesse dalla distruzione di Cartagine. Da quel momento egli continuò a ripetere in Senato: "Ceterum censeo Carthaginem esse delendam." (Per il resto ritengo che Cartagine debba essere distrutta. - Plutarco, Vita di Catone). Ripetendo la frase alla conclusione di ogni suo discorso.
Dalla sua carica di censore, nel 184 a.c. alla sua morte nel 149, Catone non occupò altre cariche pubbliche, teso soprattutto a far valere la sua influenza in senato come feroce oppositore di ogni innovazione.
LA VISIONE DELLA VITA
Per Catone la vita individuale era un continuo auto-disciplinarsi, nel privato e nel pubblico. Riteneva il pater come dominatore della famiglia, e la famiglia la base dello stato. Attraverso una rigida organizzazione del suo tempo egli realizzò un'enorme quantità di lavoro; pretese altrettanto dai suoi dipendenti, e si dimostrò un marito e un padre severo e spietato, e con gli schiavi un inflessibile e crudele padrone.
Ci fu apparentemente poca differenza,
nel modo in cui trattava sua moglie e i suoi schiavi; prestò più
attenzione ai figli ma solo per fargli la morale.
Nella lotta
contro il dilagare del lusso e la degenerazione dei costumi, egli
esaltò la frugalità, la parsimonia, l’impegno politico, che
dovrebbero essere proprie di ogni buon cittadino e che egli sostenne
di possedere.
Dai romani fu sempre rispettato e considerato come un esempio tradizionale degli antichi e costumi romani. Livio ad esempio descrive Catone senza alcuna parola di biasimo per la rigida disciplina della sua condotta domestica.
LE OPERE
Fu tra le principali personalità della letteratura latina arcaica, come oratore, storiografo e saggista. Scrisse una vasta raccolta di manuali tecnico-pratici, tesi a difendere i valori tradizionali romani contro le tendenze ellenizzanti dell'aristocrazia legata agli Scipioni. Scrisse un'opera indirizzata al figlio Marco, i Libri ad Marcum filium o Praecepta ad Marcum filium, di cui si conserva per intero soltanto il Liber de agri cultura. tesa a trasmergli rigidamente i suoi valori di onestò ma anche di scarsa sensibilità e di grettezza. Ancora sul tema dei valori tradizionali romani scrisse un Carmen de moribus di cui abbiamo pochissimi frammenti.
Fin dalla giovinezza si dedicò, inoltre, all'attività oratoria: pronunciò in tutta la sua vita oltre 150 orazioni, di cui si possiedono frammenti di circa 80 orazioni diverse, di cui orationes deliberativae, ovvero discorsi in senato a favore o contro una proposta di legge, e orationes iudiciales, discorsi giudiziari di accusa o difesa.
Aveva uno stile oratorio semplice e disadorno; l’organizzazione delle frasi aveva chiari riferimenti ai modelli arcaici. Per Catone non era importante tanto l’aspetto esteriore di un testo, quanto il contenuto. Lo stile doveva essere suggestivo, denso di significato, e gli artifici di un discorso non erano volti a renderlo più elegante, ma soprattutto a inculcarlo nella mente degli ascoltatori.
Fu inoltre autore in vecchiaia della prima opera storiografica in lingua latina, le Origines, cioè la storia romana dalla leggendaria fondazione fino al II sec. a.c., di cui si conservano però scarsi frammenti.
Elogiata da Cicerone, che definì il censore primo grande oratore romano, la sua opera perse di interesseper riaffacciarsi nel II sec. d.c., Aulo Gellio e Marco Cornelio Frontone ne tramandarono molti frammenti, e l'imperatore Adriano dichiarò di preferire Catone anche allo stesso Cicerone.
A partire dal IV sec. d.c. l'opera di Catone decadde nuovamente. Grande diffusione ebbero, invece, le raccolte di proverbi in esametri erroneamente attribuite a Catone e denominate Disticha Catonis e Monosticha Catonis, ma composte probabilmente nel III secolo d.c.
Per quanto probo e buon oratore e scrittore, Catone fu un animo gretto, spesso affetto da invidia, come verso il carismatico e giovane Scipione, cui Roma doveva tutto. Inoltre trattò la moglie e i figli come forza lavoro senza accordare loro alcun diritto e alcuna libertà. Si diceva che per Catone i figli, la moglie, gli schiavi e gli animali avevano tutti lo stesso valore, cioè per ciò che producevano e per come obbedivano, senza alcuna attenzione di ordine affettivo.
LE CITAZIONI
- Fuggi le chiacchiere, per non essere
reputato un loro fomentatore: a nessuno nuoce aver taciuto, nuoce
aver parlato.
Rumores fuge, ne incipias novus auctor haberi: nam
nulli tacuisse nocet, nocet esse locutum.
- I ladri di beni
privati passano la vita in carcere e in catene, quelli di beni
pubblici nelle ricchezze e negli onori.
Fures privatorum furtorum
in nervo atque in compedibus aetatem agunt, fures publici in auro
atque in purpura.
- Non credere sempre a chi ti dà
notizie: bisogna avere poca fiducia in chi parla molto.
Noli tu
quaedam referenti credere semper: exigua est tribuenda fides, qui
multa locuntur.
- Pianta alberi, che gioveranno in
un altro tempo.
Serit arbores, quae alteri saeclo prosint.
- Se padroneggi l'argomento, le
parole seguiranno.
Rem tene, verba sequentur.
- Non vergognarti di volere che ti sia
insegnato ciò che non sai. Saper qualcosa è fonte di lode, mentre è
una colpa non voler imparare nulla.
Ne pudeat quae nescieris, te
velle doceri. Scire aliquid laus est, culpa est nihil discere velle.
- Per il resto ritengo che Cartagine
dev'essere distrutta.
Ceterum censeo Carthaginem esse delendam
anche come Carthago delenda est.
- Mai l'uomo è così attivo come quando non fa nulla, mai meno solo di quando è in compagnia di se stesso.
- Non bisogna mai ritornare dove si è stati felici.
- È davvero strano che un indovino non rida quando incontra un indovino.
- Le avversità domano e insegnano che cosa convenga fare; la buona sorte, invece, suole impedire di riflettere e di agire adeguatamente.
- Meglio che gli uomini chiedano perché non ho una statua, piuttosto che chiedano perché ne ho una.
- Pensa sempre a quanto è lungo l'inverno.
- Per il companatico degli schiavi si abbia cura di conservare le olive cadute dall'albero e quelle raccolte, che rendono poco olio; e si badi che durino a lungo.
- Quello che ti manca chiedilo in prestito a te stesso.
- Uomo di valore ed esperto nel
dire.
Vir
bonus, dicendi peritus.
domenica 7 agosto 2022
Come furono puniti i senatori romani che uccisero Giulio Cesare
sabato 6 agosto 2022
I soldati denigravano scherzosamente i propri comandanti
Nella Roma del I secolo d.C., i legionari intonavano i carmina triumphalia.
Si trattava di canti in cui i comandanti venivano sia elogiati che presi in giro, evitando così eccessi di superbia.
Tra gli esempi più scherzosi citiamo quelli che provengono dal trionfo di Giulio Cesare del 46 d.C.
“Cittadini, sorvegliate le vostre donne, vi portiamo l’adultero calvo. In Gallia, o Cesare, hai dissipato con le donne il denaro che qui hai preso in prestito”.
I legionari ricordarono in un altro carmine la presunta relazione tra il loro generale e il re di Bitinia:
“Cesare, hai sottomesso le Gallie, ma Nicomede ti ha sottomesso. Ecco colui che ha sottomesso le Gallie che ora trionfa, ma Nicomede, che ha sottomesso Cesare, non riporta nessun trionfo.