venerdì 12 agosto 2022

Quale fu l'atto che pose fine all'Impero Romano?


La risposta noiosa a questo è la deposizione dell'ultimo imperatore romano occidentale Romulus Augustulus il 4 settembre 476. Fu sostituito da un re germanico, Odoacre, che decise di non nominare alcun burattino imperiale per "governare" l'Occidente (che a quel punto era solo l'Italia) e divenne invece il primo re d'Italia, sottomettendosi come vassallo nominale all'autorità imperiale sopravvissuta in Oriente.


Illustrazione del XIX secolo raffigurante Romolo Augusto che cede la sua corona al nuovo re d'Italia, Odoacre
I capi delle curiosità potrebbero darti la risposta leggermente più contraria, che sarebbe l'assassinio di Giulio Nepos, il penultimo imperatore dell'Occidente, che fu deposto nel 474 e che aveva vissuto in esilio in Dalmazia, il tutto ancora rivendicando al titolo di imperatore romano. Se la sua richiesta è accettata, l'Impero Romano d'Occidente si è effettivamente concluso in un pomeriggio di maggio del 480.
La mia risposta è diversa Questo è stato il momento in cui è morta l'ultima speranza per l'impero occidentale. Se questo evento non si fosse verificato, l'impero occidentale sarebbe probabilmente sopravvissuto per almeno diversi decenni.
È l'anno 457. Due anni fa, la Città Eterna, Roma, fu saccheggiata per la seconda volta in cinquant'anni. Questo secondo sacco era molto peggio: così grave che i colpevoli vandalici sono ora fissati in modo permanente alla parola vandalo, il che significa che deturpa e distrugge. Roma è alle sue ultime zampe e l'autorità imperiale è uno scherzo. I signori della guerra barbari gestiscono lo spettacolo in tutte le sue antiche province. Con la Gallia in rivolta e la Hispania e l'Africa perse, l'autorità imperiale occidentale sta praticamente per dissolversi.
In questo clima di totale shock e trauma sale al trono un giovane e promettente generale romano. Proveniente da un lungo lignaggio dell'aristocrazia militare romana, Majorian è il romano a guidare Roma, una marcata rottura dal dominio del magistrato
barbarico milita
come Stilicho ed Eetius dei decenni precedenti.
È competente nelle battaglie, audace nella sua visione strategica e rapido nelle azioni decisive.
Majorian prima consolida la sua posizione sull'Italia sconfiggendo un altro raid vandalico nel sud Italia. Quindi riunisce enormi eserciti, composti principalmente da mercenari barbari, per condurre campagne di riconquista.
Le campagne procedono senza intoppi. L'esercito di Majorian conquista vittorie schiaccianti su e Borgognoni in Gallia, riportando la regione sotto il controllo romano. Entrambe le tribù sono costrette a rinunciare alla propria indipendenza e ad essere
nuovamente fedeli dell'Impero romano.
Il prossimo Majoriano si trasferisce in Hispania, trovando poca resistenza a parte le tribù che resistono nelle regioni settentrionali. Ristabilisce l'autorità romana nelle città dell'Hispania, facendo un giro dei suoi nodi prominenti e terminando il suo viaggio nel porto di Illicitanus, dove una grande flotta è attraccata per iniziare l'invasione e la riconquista del territorio vandalo nel Nord Africa.


Una mappa raffigurante le campagne di Majorian; guarda quanto Majorian è riuscito a realizzare in soli quattro anni.
Fa anche notevoli sforzi per riformare l'economia imperiale. Fa funzionare le zecche imperiali ad alta capacità, coniando più monete con tassi più elevati di metalli preziosi rispetto agli imperatori in decenni e rivitalizzando l'economia con un nuovo afflusso di conio. Cambia anche le politiche fiscali per contrastare la corruzione, fornire una riduzione del debito e garantire che una maggiore quantità di denaro finisca nelle casse dell'amministrazione imperiale. Potrebbe anche essere l'imperatore che abbassa le tasse: una mossa intelligente per invogliare le élite a pagare le tasse piuttosto che accumulare e attendere la cancellazione delle tasse da parte di nuovi imperatori.
Nel 460, tre anni dopo la sua ascesa al trono, Majorian è in attesa dell'assemblea del suo esercito e del completamento della costruzione della sua flotta nel sud della Spagna. Questa armada è pronta a salpare per l'Africa e distruggere per sempre il potere vandalico, riconquistando il Nord Africa per l'impero. Il significato di questa riconquista non può essere sopravvalutato: il Nord Africa è un importante fornitore di grano e un centro redditizio per il commercio. Inoltre, la pirateria vandalica ha strangolato il commercio in tutto il Mediterraneo; la sua sconfitta significherà il ritorno della pace e della prosperità a Mare Nostrum.
Genseric, il re dei Vandali, teme molto il Majorian, e per una buona ragione. Finora Majorian ha raggiunto rapidamente ciascuno dei suoi obiettivi militari e politici, e le dimensioni schiaccianti del suo esercito e della sua flotta riuniti indicano ampiamente che i Vandali non saranno diversi. Genseric arriva al punto di distruggere l'infrastruttura e il terreno agricolo delle sue stesse province per impedire ai romani di vivere al di fuori della terra.

Genseric Sacking Rome (1836), Karl Briullov

Majorian si sta rivelando il prossimo Aureliano, il nuovo Restoritor Orbis: Restorer of the World.
Ma mentre si affaccia sul molo, un po 'di fumo sale dall'estremità occidentale. Forse sono semplicemente i marinai che hanno un falò o qualcosa del genere. Ma inizia a salire anche da altre navi.
Il fumo diventa più denso e più nero. Altre navi iniziano a elencarsi di lato, cadendo a pezzi mentre le assi colpiscono l'acqua. Il rigging è tagliato. Le fiamme si alzano dall'acqua.

The Burning of the Ships (2004), Ted Nasmith, una scena del Signore degli anelli di JRR Tolkien

La flotta è persa. Si sentono centinaia di marinai che urlano e si agitano mentre nuotano a riva.
I sabotatori di Genseric hanno fatto un lavoro perfetto. Majorian, privo delle risorse finanziarie per ricostruire l'intera flotta, fa una riluttante pace con i Vandali e torna a Roma.
Un anno dopo, è morto. Un generale barbaro governa di nuovo su Roma. Le province cadono lentamente via. Uno sforzo finale da parte di Occidente e Oriente combinato per attaccare nuovamente i Vandali fallisce a causa del sabotaggio. Quindici anni dopo la morte di Majorian, l'impero romano d'occidente non esiste più.
Probabilmente Majorian non avrebbe potuto salvare l'Occidente, ma se fosse stato in grado di lanciare la sua campagna e distrutto il regno dei Vandali mentre riconquistava il Nord Africa, sarebbe stato libero di regnare saggiamente e giustamente, riformando ulteriormente le istituzioni dell'impero e ricostruendo la sua economia e esercito. Se gli fossero stati concessi ben trenta anni sul trono anziché solo quattro, l'impero occidentale sarebbe sopravvissuto per almeno altri decenni.
Ma quando la sua flotta affondò nel porto quel giorno nel 460, l'Impero Romano d'Occidente fu finalmente finito.


Un solido coniato da Majorian, l'ultimo veramente grande imperatore di Roma a ovest.


giovedì 11 agosto 2022

Annibale era bianco o nero?


Sfatiamo un mito: Annibale non era africano subsahariano, quindi non avrebbe avuto le fattezze del ceppo negroide come Martin Luther King, Morgan Freeman, Samuel Lee Jackson o Seedorf.
Annibale era berbero, gruppo etnico autoctono dell'Africa del nord, di cui tutt'ora - pur con le dovute ibridazioni dovute a conquiste successive - resta una grande percentuale di discendenti.
I berberi erano di tipo europoide o caucasoide, quindi con tratti somatici e forma del cranio uguali alle popolazioni europee e mediorientali. La loro pelle poteva essere bianchissima o molto scura, i capelli potevano variare dal biondo, al rosso, al bruno; addirittura si stima che i capelli biondi fossero molto comuni tra i berberi fino all'epoca precedente alle conquiste arabe.




Queste foto di berberi odierni, e come si può vedere, se non fosse per i tipici copricapi e per il contesto, i loro volti sarebbero simili a quelli di qualunque contadino mediterraneo col volto bruciato dal sole e seccato dal vento.
Annibale molto probabilmente aveva fattezze simili. Potrebbe somigliare a un palestinese, a un israeliano, ma anche a un siciliano.
Anche culturalmente Annibale aveva poco da spartire con l'Africa propriamente detta. Cartagine era influenzata dalla cultura ellenica, e il maestro e mentore di Annibale fu un greco. Immaginare Cartagine come un regno africano abitato da popolazioni come Bantu, Pigmei e affini è storicamente errato: Cartagine era una città molto più vicina alla nostra immagine di città romana, greca, tirrenica.
Spesso Annibale e i cartaginesi vengono strumentalizzati per fini politici, ma si tratta di propaganda e, in quanto tale, pregna di falsità.


mercoledì 10 agosto 2022

I popoli barbarici furono davvero così "barbari"?

Sono Rubidio figlio di Caio Semprinio oggi a Roma è una bellissima giornata, oggi 410 anni dopo la nascita del Salvatore Gesù detto il Cristo, è domenica, dopo aver acquistato il pane azzimo e passato la mattina in osteria vado alla celebrazione eucaristica.

Le mie vesti della domenica sono intarsiate in finto oro, ho una camicia di lino, un pantalone colore verde bellissimo, un bracciale di rame decorato, un cappello venuto da Capri.

Ma cosa succede!? Suonano le trombe di emergenza, i cittadini fuggono, truppe di pretoriani armati vanno verso il porto, bellissimo con le loro armature d'acciaio !

Ma cosa succede?i forni chiudono, il Vescovo passa pregando e le donne rifuggono in casa.

Vedo la porta Ostia cadere in un rombo assordante. Fumo, fiamme e da lì entrano…centinaia..migliaia di barbari, vestiti da straccioni, con le mazze, i coltellacci, la bava spumante nella bocca sdentata, sono orribili!

Ma come si permettono, questa è Roma, dove sono le Legioni ! Maledetti andatevene siete orrendi.

Dieci di loro con le fiaccole e i piccini spaccano tutto, perché questo odio.

Vado verso di loro, urlo, grido, andatevene!

Un barbuto, mi vede, si avvicina, in un latino che non capisco bene, sputacchia e dice: Roma è morta e con lei Te! Muori maledetto romano, brucia te con i tuoi libri, rinnega i tuoi dei, Roma brucerà e con te la civiltà che avete creato, noi porteremo la morte e la rinascita!

Muori maledetto…ma non ha fatto in tempo, il mio pugnale lo trafigge alla gola! Roma muore ma te non lei.

Roma è eterna maledetto barbaro.



martedì 9 agosto 2022

Gli antichi romani usavano cani in battaglia?

Le origini del cane da combattimento sembra siano sono antichissime. I cani inviati in battaglia venivano protetti con armature o collari chiodati con la finalità di attaccare il nemico. Questa strategia fu usata da varie civiltà, come egizi, greci, persiani, sarmati, alani, slavi, britannici e romani.

Uno dei primi usi militari prevedeva che i cani fossero messi in servizio di sentinella. Proprio come oggi i cani vennero utilizzati per difendere accampamenti, o altre aree prioritarie, giorno e notte. I cani abbaiavano o ringhiavano per allertare le guardie della presenza di uno sconosciuto.

Gli archeologi congetturano che gli umani abbiano usato cani in guerra dal momento che gli animali sono stati addomesticati per la prima volta più di 15.000 anni fa. Con il progredire della guerra, gli scopi dei cani sono cambiati notevolmente.
Si sa che nel 4000 a.c. gli Egizi usavano i cani in guerra, e comunque è certo che vennero impiegati nel XVIII secolo a.c. dagli Hyksos durante l'invasione dell'Egitto. Approfittando delle lotte intestine egiziane, gli Hyksos invasero il regno grazie alla loro superiorità militare, portatori del cavallo da guerra, del carro da guerra e del cane da guerra.

E’ sufficientemente documentato che contemporaneamente, e successivamente, popoli guerrieri mesopotamici, siriaci e indiani fecero uso di cani in battaglia.
Secondo Erodoto di Alicarnasso (Le Storie, tra il 440 a.C. e il 429 a.C.) la spedizione di Serse, re dei persiani, era formata da centinaia di migliaia di soldati:
"Il numero totale delle donne addette alle cucine, delle concubine e degli eunuchi non si poteva contare. Il numero totale delle bardature, dei capi di bestiame e dei cani indiani non poteva essere determinato perché erano troppi. Non è quindi sorprendente che alcuni fiumi fossero prosciugati, anzi, è straordinario che essi riuscissero a trovare cibo a sufficienza (...) E non calcolo il cibo per le donne, gli eunuchi, i capi di bestiame e i cani, cani da caccia e da protezione che furono presi in India a quel tempo".

Solo per sfamare i cani da guerra dell'Assiria, divenuta una satrapia, ossia una provincia persiana, si ricorreva alla produzione delle terre di quattro interi villaggi, che per questo venivano esentati dalle tasse.


MOLOSSO DA GUARDIA ROMANO


Dal V al II sec. a.c., popolazioni greche e balcaniche usarono in guerra cani da pastore e da caccia tra cui le razze "molosso lacone", hellenikos poimenikos, skilos tou Pyrrou, skilos tou Alexandrou, molosso d'Epiro, metchkar, qen ghedje, sylvan e in seguito il discendente charplanina.

Nel "De Natura Animalium" Claudio Eliano narra come nella battaglia di Maratona (490 a.c.) alcuni Greci abbiano combattuto eroicamente a fianco dei loro cani, come nel caso di un ateniese, ricompensato insieme al suo cane per il valore dimostrato. Ambedue furono raffigurati nello Stoà Pecile, i colonnati dell'Agorà di Atene decorati con dipinti che celebravano le Guerre Persiane.
Nel III sec. a.c. Alessandro Magno invece utilizzò i Molossi nelle battaglie campali per seminare il panico tra i ranghi nemici. Fu così che “Periles”, il suo molosso favorito, morì combattendo.

Un altro compito del molosso presso diversi popoli antichi, fu quello di giustiziare i nemici od i colpevoli di particolari reati che venivano buttati in fosse dove i cani, tenuti affamati, li sbranavano. L’espressione “gettare in pasto ai cani” discenderebbe appunto dalla pratica di procurare carne umana ai cani per far loro superare la paura dell’uomo stimolandone l’istinto predatorio
Nel 281 a.c., Lisimaco (uno dei successori di Alessandro Magno) fu ucciso durante la battaglia di Corupedium e il suo corpo fu scoperto sul campo di battaglia, vigilato dal suo fedele animale.

Nel 231 a.c., il console romano Marco Pomponio Matho guidò la Legio Romano attraverso l'isola di Sardegna. Usando "cani dall'Italia" per dare la caccia ai nativi che si difendevano con azioni di guerriglia continua.
Nel 120 a.c., Bituit(o), re degli Arvernii, attaccò una piccola forza di Romani guidata dal Console Quinto Fabio Massimo Allobrogico usando solo i cani che aveva nel suo esercito.
A volte i cani prestavano servizio come staffette per inviare messaggi: i messaggi venivano inseriti nel collare, assicurati tra il cuoio e il metallo dello stesso.

L'anno 55 a.c. vide Giulio Cesare sbarcato in Britannia scontrasi coi guerrieri celtici e i loro cani.

Lo storico Claudius Aelianus (Preneste, 165/170 circa – 235 d.c.), filosofo e scrittore romano in lingua greca, scrive:

"Gli abitanti di Magnesia sul Meandro combattendo contro gli abitanti di Efeso, ciascuno dei cavalieri recava seco un cane da caccia che lo coadiuvasse in combattimento, ed un servo che lanciasse giavellotti. Quando era il momento della mischia i cani, lanciandosi in avanti portavano scompiglio nelle schiere, oltre che terribili e feroci si dimostravano anche implacabili.".

I Romani nella loro straordinaria, pragmatica capacità di assimilazione e integrazione di usi e costumi, migliorarono costantemente le prestazioni di cose, uomini e animali; così impararono ad usare i cani da guerra incrociandoli per migliorarli e, soprattutto, li addestrarono.
Del resto la predominanza dei Romani nei combattimenti era dovuta, sostanzialmente, alla disciplina e al loro straordinario addestramento: così anche con i cani usarono la stessa pratica.
Il cane doveva vivere con tutta la coorte, abituandosi a distinguere gli amici dai nemici, dall'odore di vesti e delle armature. Apprendeva ad ubbidire agli ordini verbali, diversamente dai cani da guerra “barbari” che assalivano indiscriminatamente: i cani romani obbedivano agli ordini come fossero soldati.
Il molosso romano o canis pugnax è il progenitore dell'odierno mastino napoletano. Tuttavia, il canis pugnax era meno pesante e grande di quest'ultimo e assomigliava maggiormente all'attuale cane corso.
Il canis pugnax, diffuso in tutta Europa, ma in parte in Asia ed Africa, nei territori facenti parti dell’Impero Romano, venne incrociato, e in parte si incrociò da solo, con tante razze.


MASTINO NAPOLETANO DI DERIVAZIONE DEL MOLOSSO ROMANO


Il canis pugnax era potente, combattivo, coraggioso ma anche agile, veloce e in grado di percorrere giornalmente distanze notevoli, sia in pianura che in montagna, e di sopportarne i climi. La legione romana detiene a tutt'oggi il record di spostamento a piedi: mediamente circa 35 km. al giorno.

Il legionario romano (mediamente un essere umano di circa 150/160 cm d’altezza, robusto) pesantemente affardellato era in grado di sostenere le velocità di marcia che ci sono state tramandate - soprattutto da Flavio Vegezio Renato (noto per il trattato Epitoma rei militaris - e da Cesare; tali marce consistevano sostanzialmente in iter justum -circa 30 km. al giorno - e iter magnum -circa 36 km. al giorno-; tuttavia lo stesso Cesare nella campagna contro Vercingetorige guida 20.000 legionari in una marcia di andata e ritorno di 75 km. in poco più di 27 ore durante le quali riesce persino ad affrontare gli Edui e a disarmarli: in pratica mosse le truppe al doppio della massima velocità giornaliera prevista dall'iter magnum. Durante la marcia i soldati avevano pure il tempo di spianare un ampio terreno e costruire dal nulla un castrum per passarvi la notte: nel frattempo i cani, di sentinella, badavano che nessuno si avvicinasse al campo. La costruzione del campo, infatti, rappresentava uno dei momenti più critici per i legionari, momento opportuno per attaccarli, così come era pericolosa la fase di smontaggio del castrum, quando occorreva smontare le tende, gli arredi e lo steccato, affardellare tutto, caricare i carri, nutrire le bestie e le persone, essendo impossibile in marcia, se non mangiando qualche galletta o focaccia.

(anche Napoleone si dice sostenesse che: “la vittoria sta nelle gambe dei soldati”).

Altra pratica comune nell’uso bellico dei cani da parte dei soldati romani fu quella di fissare recipienti di liquido infiammabile (generalmente olio) sul dorso dei cani da guerra ( in questo caso chiamati piriferi - "portatori di fuoco", letteralmente - e dirigerli verso le prime linee nemiche, o a scompaginare la cavalleria nemica facendo imbizzarrire i cavalli.
Da segnalare che durante l’Impero Romano a Capua esistevano le principali scholae ove individui provenienti da tutto il mondo allora conosciuto si addestravano a diventare gladiatori; e proprio a Capua prosperarono allevamenti di cani da guerra e da combattimento (arena), venduti in tutto l’impero. Capua rappresentò il centro di addestramento più importante del mondo. Lì confluivano cani di tutte le razze, non solo addestrati ma anche selezionati e incrociati per migliorarne le prestazioni. Se ne curava e studiava l’alimentazione più adatta, le tipologie di armature protettive e offensive, in funzione del loro impiego tattico: come già detto i Romani usarono ampiamente i cani da guerra, aizzandoli in branchi contro la fanteria e la cavalleria nemiche. Allo scopo esemplari di grandi dimensioni, più adatti a sostenere anche il peso di una vera e propria armatura, selezionati in base all'aggressività e all'insensibilità alle ferite venivano, in genere, protetti da con armature in cuoio, talvolta rinforzate con lamelle metalliche. Dal VII sec. a.c. al V sec. d.c. i romani impiegarono in guerra canes pugnaces: il molosso d'Epiro, discendenti del cane corso, il mastino napoletano, i perros de presa iberici, i vucciriscu, il dogo sardesco e il mastino fonnese. Altre razze come il maremmano-abruzzese furono usate in attività di supporto.


CANE CORSO


Perro de presa canario


Si riscontrano notizie di canis pugnax nel 231 a.c., in occasione della repressione romana dei Nuragici, in Sardegna, rifugiatisi in zone montagnose.

Nel 123 a.c., nell'invasione e nelle guerre romane in Gallia contro gli Arverni di Bituit(o) che i Romani sconfissero. Il loro capo e i suoi ambasciatori si presentarono chiedendo la pace accompagnati da enormi cani da guerra che furono offerti ai vincitori. Diverse centinaia di questi cani costituivano una sorta di cavalleria di sfondamento, con il vantaggio di essere difficilmente raggiungibili da frecce e giavellotti a causa dell'agilità, della mobilità, e per le dimensioni ridotte, rispetto a quelle di un cavallo. Uno di questi casi occorse nel 101 a.c, nella battaglia dei Campi Raudii - conosciuta anche come battaglia di Vercelli - combattuta fra un esercito della Repubblica romana - comandato dal console Gaio Mario - e un corpo di spedizione formato da tribù germaniche dei Cimbri, vicino all'insediamento di Vercellae, nel territorio di quella che a quel tempo era la Gallia Cisalpina (o a Cimbriolo, nel mantovano, secondo un’altra recente ipotesi). I Cimbri furono letteralmente distrutti, con più di 140.000 morti e 60.000 prigionieri, compresi moltissimi fra donne e bambini. Una gran parte del merito di questa vittoria fu attribuito a Lucio Cornelio Silla, legato del proconsole Quinto Lutazio Catulo, che comandava la cavalleria romana e quella degli alleati italici.

Un altro caso di uso di cani da guerra si registra con l'invasione e la conquista romana della Britannia, nel I secolo.

Risale, invece, al V sec. d.c . la comparsa dei pugnaces Britanniae. I progenitori degli attuali irish wolfhound e deerhound. Animali allevati come cane da guerra dagli antichi Celti, in seguito passati nelle mani degli abitanti delle terre di Irlanda, continuarono ad essere addestrati alla guerra, imparando anche a fare il cane da guardia, per proteggere la casa e gli allevamenti. Utilizzati in battaglia misero in difficoltà le legioni romane.

Anche l’esercito della Roma imperiale tenne in grande considerazione il cane; si sviluppò, in particolare, la figura del procurator cinegeti (o zooarco): un esperto professionista di cani da combattimento, selezionatore di cani delle varie razze, in base alle qualità dimostrate nell’arena ed in battaglia. si sviluppò così quel molosso che fu impiegato per diversi scopi, quali:
- combattente in battaglia;
- compagno delle avanguardie nel percepire la presenza di eventuali nemici appostati;
- guardia insieme alle sentinelle per evitare incursioni nemiche e attacchi ai castra;
- combattente nelle arene contro belve;
- combattente nelle arene contro gladiatori;
- cacciatore di fuggitivi;
- “guastatore” atto creare scompiglio tra le fila nemiche;
- portaordini;
- guardiano di edifici pubblici,
- guardiano di case e di ville patrizie;
- ausiliario nella caccia grossa.


IL MOLOSSO ROMANO


Il Molosso Romano, (Canis pugnax), Il Molosso da guerra fu un efficace strumento di morte; molto aggressivo, bardato con un collare irto di punte di ferro, addestrato ad attaccare il nemico e ad ucciderlo azzannandolo alla gola. Per ottenere una simile “macchina bellica”, i Romani utilizzarono il materiale genetico del luogo. Risultò essere un cane funzionalmente completo e nelle terre conquistate dalle legioni Romane dette origine a cani che poi vennero utilizzati per funzioni similari: ad esempio, in Spagna originò il Perro da presa spagnolo e in Francia il Dogue de Bordeaux.

Plinio il Vecchio stesso riporta che i cani “…erano gli ausiliari più fedeli e più economici”.

D’altra parte sarà bene ricordare che sebbene la leggenda della fondazione di Roma assunse la forma che conosciamo solo in epoca tarda, quando ormai i Romani avevano esteso la loro egemonia su tutta la penisola, essi, tuttavia, vollero celebrare la loro origine scegliendo la lupa quale animale totemico e ne fecero campeggiare l’immagine sulle insegne dei legionari, simbolo della sua combattività e di Roma tutta.
Molti imperatori Romani sono rimasti famosi per la crudeltà con cui facevano svolgere i giochi circensi. Negli anfiteatri romani, durante i “ludi gladiatori”, si affrontavano in combattimenti all’ultimo sangue belve, molossi e gladiatori. Migliaia di orsi furono catturati ed impiegati nelle arene. L’imperatore Caligola, nel I sec. d.c. organizzò un feroce combattimento tra ben 400 orsi e un manipolo di gladiatori affiancati dai loro cani da combattimento.
Strabone scrive che per fronteggiare un leone occorrevano quattro molossi. Le doti di combattente del molosso emergevano anche negli spettacoli di tauromachia in cui i tori combattevano fra di loro, contro altri animali, o anche contro gli uomini. D’altronde le cacce (venationes) taurine era diffuse in tutta l’area mediterranea.
A seguito dei movimenti connessi con le conquiste delle legioni romane, il molosso contribuì alla formazione di altri cani che ora fanno parte d’altre razze europee, quali il Komondor, l’Old English Mastiff, il San Bernardo, il cane dei Pirenei, il Bovaro Svizzero ecc.



lunedì 8 agosto 2022

Perché Marco Porcio Catone è un personaggio così importante nella storia di Roma?

Catone fu un politico, un generale e uno scrittore romano, soprannominato "il Censore" (Censor), Sapiens, Priscus, o maior (l'anziano), per distinguerlo da Catone il giovane, il suo bis-nipote.


LE ORIGINI

Marco Porcio Catone, ovvero Marcus Porcius Cato, nelle epigrafi M·PORCIVS·M·F·CATO, nacque a Tusculum nel 234 a.c. da un'antica famiglia plebea, che si era fatta notare per qualche servizio militare, ma che aveva rifiutato, ovvero non era riuscita a ottenere, alte cariche civili. E' considerato il fondatore della Gens Porcia.

Fu allevato, secondo la tradizione latina, perché divenisse agricoltore, attività che egli amò e a cui si dedicò costantemente quando non fu impegnato nel servizio militare. Trascorse la sua adolescenza controllando un’azienda agricola di sua proprietà, poi prestò servizio appena diciassettenne durante la seconda guerra punica. Ma, avendo attirato l'attenzione di Lucio Valerio Flacco, fu condotto a Roma, divenendo questore nel 204, edile nel 199, pretore nel 198 in Sardegna, donde portò a Roma il poeta Ennio, e console nel 195; nel 184 divenne infine censore insieme al suo vecchio protettore Flacco. Insomma un cursus honorum rapido e completo.

Ebbe due mogli. La prima fu Licinia, una aristocratica della Gens Licinia, da cui ebbe come figlio Marco Porcio Catone Liciniano. La seconda, Salonia, figlia di un suo liberto, sposata in tarda età dopo la morte di Licinia, da cui ebbe Marco Porcio Catone Saloniano, nato quando Catone aveva 80 anni.


LA RIGIDITA' MORALE

Durante i suoi primi anni di carriera si oppose all'abrogazione della lex Oppia, emanata durante la seconda guerra punica per contenere il lusso delle donne. Ma presto cambiò idea perchè nel 204 a.c. prestò servizio in Africa, come questore con Scipione l'Africano ma lo abbandonò dopo un litigio a causa delle sue idee innovative, e soprattutto per la libertà che gli Scipioni accordavano alle loro mogli, sia come lusso che come organizzatrici di ricevimenti tra donne.



L'EDUCAZIONE DI CATONE BAMBINO

In Sardegna, potè invece estrinsecare la sua rigidissima moralità pubblica, e così in Spagna, che egli assoggettò con metodi molto duri, guadagnandosi la fama di trionfatore nel 194 a.c.

Nel 191 a.c. divenne tribuno militare nell'esercito di Manio Acilio Glabrione nella guerra contro Antioco III di Siria, e si distinse nella battaglia delle Termopili, che segnò la fine dell'invasione seleucide della Grecia.

La sua reputazione militare era indiscutibile, ma da quel momento preferì servire lo stato a casa, controllando la condotta morale dei candidati alle cariche pubbliche e dei generali sul campo. Egli credeva che il lusso, in cui la classe dirigente era orami avvezza a vivere, fosse la principale causa della degenerazione dei costumi, in particolare della perdita degli antichi valori. Catone esaltava al contrario la parsimonia, la moderatezza, l’esperienza della campagna, il disinteresse nell’esercizio delle cariche pubbliche, la resistenza al lavoro e alla fatica.

Spirito pratico e buon agricoltore, amministrò i suoi interessi con un senso dell'economia che sconfinava nell'avarizia, col principio che il proprietario deve vendere più che comprare, come lasciò scritto nel trattato sull'Agricoltura. Catone fu infatti l'unico padrone a permettere, tra i suoi schiavi, rapporti sessuali a pagamento intascandone il prezzo, cosa che non trovava affatto dsdicevole per un moralista come lui.

Pur non coinvolto nel processo per corruzione contro gli Scipioni (l'Africano e l'Asiatico), guidò però l'attacco contro di loro. Scipione l'Africano, rifiutandosi di rispondere all'accusa, esclamò:
"Romani, questo è il giorno in cui io sconfissi Annibale", e Scipio che aveva salvato più volte Roma, pur venendo assolto per acclamazione, si autoesiliò nella sua villa a Liternum. L'ostilità di Catone risaliva alla campagna d'Africa quando discusse con Scipione per l'eccessiva generosità di Scipione nella distribuzione del bottino tra le truppe, e la vita sfarzosa di lui. Più tardi radiò dal senato parecchi nobili, tra cui Lucio Scipione, fratello dell'altro Scipione.

Catone ebbe alcuni meriti nella conduzione dei suoi offici:

  • fece riparare gli acquedotti, pulire le fognature,

  • impedì a soggetti privati di deviare le acque pubbliche per il loro uso personale,

  • fece demolire gli edifici che ostruivano le vie pubbliche,

  • costruì la prima basilica nel foro vicino alla Curia,

  • aumentò la somma dovuta allo stato dai pubblicani che riscuotevano le tasse,

  • diminuì il prezzo contrattuale per la realizzazione di lavori pubblici,

  • revisionò la lista dei senatori e degli equites, cacciando gli indegni, sia per la moralità ma anche per la mancanza dei requisiti economici. L'espulsione di Lucio Quinto Flaminio per ingiustificata crudeltà fu un esempio della sua giustizia, ma anche della sua cecità, visto che anch'egli era a volte spietato e crudele.

Ma ebbe anche numerosi demeriti:

  • si oppose al diffondersi della cultura ellenistica, che riteneva minacciasse di distruggere i costumi romani. Strano, perchè i costumi greci erano molto severi, ma ciò che lo infastidiva era la mania di pensare e di cercare la bellezza artistica.

  • Cercò di limitare il lusso, ma non per ragioni economiche, come fece ad esempio Augusto, ma perchè giudicato immorale, ponendo tra l'altro una forte tassa sugli abiti e gli ornamenti personali, specialmente delle donne, e sui giovani schiavi comprati come concubini o favoriti domestici, giudicata non immorale come pratica per l'abuso ma perchè voluttuaria.

  • Nel 181 a.c. appoggiò la lex Orchia che poneva limiti al numero di ospiti in un ricevimento, e nel 169 a.c. la lex Voconia, uno dei provvedimenti che intendevano impedire l'accumulo di un'eccessiva ricchezza nelle mani delle donne. Di sicuro Catone temette fortemente la libertà femminile e vi si oppose con protervia.

  • Preoccupato dalla diffusione dei riti misterici dei Baccanali, che egli attribuì alla nefasta influenza grecs, fece espellere dei filosofi greci di grande valore, come Carneade, Diogene lo Stoico e Critolao, giunti come ambasciatori da Atene, temendo la pericolosa influenza che avevano le loro idee.

  • Odiava anche i medici, che erano principalmente greci. Ottenne il rilascio di Polibio, lo storico, e dei suoi compagni prigionieri, chiedendo sprezzante perché il senato non avesse niente di più importante da discutere se qualche greco doveva morire a Roma o nella loro terra.

Quasi ottantenne ebbe il suo primo contatto con la letteratura greca, sebbene dopo aver esaminato i suoi scritti si pensa avesse già letto delle opere greche per gran parte della sua vita.

Il suo ultimo impegno pubblico fu di spronare i suoi compatrioti alla III guerra punica e la distruzione di Cartagine. Nel 157 a.c. fu uno dei delegati mandati a Cartagine per arbitrare tra i cartaginesi e Massinissa, re di Numidia. La missione fu fallimentare e i commissari tornarono a casa. Ma Catone fu colpito dalla prosperità dei cartaginesi si da convincersi che la sicurezza di Roma dipendesse dalla distruzione di Cartagine. Da quel momento egli continuò a ripetere in Senato: "Ceterum censeo Carthaginem esse delendam." (Per il resto ritengo che Cartagine debba essere distrutta. - Plutarco, Vita di Catone). Ripetendo la frase alla conclusione di ogni suo discorso.

Dalla sua carica di censore, nel 184 a.c. alla sua morte nel 149, Catone non occupò altre cariche pubbliche, teso soprattutto a far valere la sua influenza in senato come feroce oppositore di ogni innovazione.



LA VISIONE DELLA VITA

Per Catone la vita individuale era un continuo auto-disciplinarsi, nel privato e nel pubblico. Riteneva il pater come dominatore della famiglia, e la famiglia la base dello stato. Attraverso una rigida organizzazione del suo tempo egli realizzò un'enorme quantità di lavoro; pretese altrettanto dai suoi dipendenti, e si dimostrò un marito e un padre severo e spietato, e con gli schiavi un inflessibile e crudele padrone.

Ci fu apparentemente poca differenza, nel modo in cui trattava sua moglie e i suoi schiavi; prestò più attenzione ai figli ma solo per fargli la morale.
Nella lotta contro il dilagare del lusso e la degenerazione dei costumi, egli esaltò la frugalità, la parsimonia, l’impegno politico, che dovrebbero essere proprie di ogni buon cittadino e che egli sostenne di possedere.

Dai romani fu sempre rispettato e considerato come un esempio tradizionale degli antichi e costumi romani. Livio ad esempio descrive Catone senza alcuna parola di biasimo per la rigida disciplina della sua condotta domestica.


LE OPERE

Fu tra le principali personalità della letteratura latina arcaica, come oratore, storiografo e saggista. Scrisse una vasta raccolta di manuali tecnico-pratici, tesi a difendere i valori tradizionali romani contro le tendenze ellenizzanti dell'aristocrazia legata agli Scipioni. Scrisse un'opera indirizzata al figlio Marco, i Libri ad Marcum filium o Praecepta ad Marcum filium, di cui si conserva per intero soltanto il Liber de agri cultura. tesa a trasmergli rigidamente i suoi valori di onestò ma anche di scarsa sensibilità e di grettezza. Ancora sul tema dei valori tradizionali romani scrisse un Carmen de moribus di cui abbiamo pochissimi frammenti.

Fin dalla giovinezza si dedicò, inoltre, all'attività oratoria: pronunciò in tutta la sua vita oltre 150 orazioni, di cui si possiedono frammenti di circa 80 orazioni diverse, di cui orationes deliberativae, ovvero discorsi in senato a favore o contro una proposta di legge, e orationes iudiciales, discorsi giudiziari di accusa o difesa.

Aveva uno stile oratorio semplice e disadorno; l’organizzazione delle frasi aveva chiari riferimenti ai modelli arcaici. Per Catone non era importante tanto l’aspetto esteriore di un testo, quanto il contenuto. Lo stile doveva essere suggestivo, denso di significato, e gli artifici di un discorso non erano volti a renderlo più elegante, ma soprattutto a inculcarlo nella mente degli ascoltatori.

Fu inoltre autore in vecchiaia della prima opera storiografica in lingua latina, le Origines, cioè la storia romana dalla leggendaria fondazione fino al II sec. a.c., di cui si conservano però scarsi frammenti.

Elogiata da Cicerone, che definì il censore primo grande oratore romano, la sua opera perse di interesseper riaffacciarsi nel II sec. d.c., Aulo Gellio e Marco Cornelio Frontone ne tramandarono molti frammenti, e l'imperatore Adriano dichiarò di preferire Catone anche allo stesso Cicerone.

A partire dal IV sec. d.c. l'opera di Catone decadde nuovamente. Grande diffusione ebbero, invece, le raccolte di proverbi in esametri erroneamente attribuite a Catone e denominate Disticha Catonis e Monosticha Catonis, ma composte probabilmente nel III secolo d.c.

Per quanto probo e buon oratore e scrittore, Catone fu un animo gretto, spesso affetto da invidia, come verso il carismatico e giovane Scipione, cui Roma doveva tutto. Inoltre trattò la moglie e i figli come forza lavoro senza accordare loro alcun diritto e alcuna libertà. Si diceva che per Catone i figli, la moglie, gli schiavi e gli animali avevano tutti lo stesso valore, cioè per ciò che producevano e per come obbedivano, senza alcuna attenzione di ordine affettivo.


LE CITAZIONI

- Fuggi le chiacchiere, per non essere reputato un loro fomentatore: a nessuno nuoce aver taciuto, nuoce aver parlato.
Rumores fuge, ne incipias novus auctor haberi: nam nulli tacuisse nocet, nocet esse locutum.
- I ladri di beni privati passano la vita in carcere e in catene, quelli di beni pubblici nelle ricchezze e negli onori.
Fures privatorum furtorum in nervo atque in compedibus aetatem agunt, fures publici in auro atque in purpura.



- Non credere sempre a chi ti dà notizie: bisogna avere poca fiducia in chi parla molto.
Noli tu quaedam referenti credere semper: exigua est tribuenda fides, qui multa locuntur.

- Pianta alberi, che gioveranno in un altro tempo.
Serit arbores, quae alteri saeclo prosint.

- Se padroneggi l'argomento, le parole seguiranno.
Rem tene, verba sequentur.

- Non vergognarti di volere che ti sia insegnato ciò che non sai. Saper qualcosa è fonte di lode, mentre è una colpa non voler imparare nulla.
Ne pudeat quae nescieris, te velle doceri. Scire aliquid laus est, culpa est nihil discere velle.

- Per il resto ritengo che Cartagine dev'essere distrutta.
Ceterum censeo Carthaginem esse delendam anche come Carthago delenda est.

- Mai l'uomo è così attivo come quando non fa nulla, mai meno solo di quando è in compagnia di se stesso.

- Non bisogna mai ritornare dove si è stati felici.

- È davvero strano che un indovino non rida quando incontra un indovino.

- Le avversità domano e insegnano che cosa convenga fare; la buona sorte, invece, suole impedire di riflettere e di agire adeguatamente.

- Meglio che gli uomini chiedano perché non ho una statua, piuttosto che chiedano perché ne ho una.

- Pensa sempre a quanto è lungo l'inverno.

- Per il companatico degli schiavi si abbia cura di conservare le olive cadute dall'albero e quelle raccolte, che rendono poco olio; e si badi che durino a lungo.

- Quello che ti manca chiedilo in prestito a te stesso.

- Uomo di valore ed esperto nel dire.
Vir bonus, dicendi peritus.


domenica 7 agosto 2022

Come furono puniti i senatori romani che uccisero Giulio Cesare



Sì.
Bruto e Cassio furono i due principali cospiratori — nonostante ce ne fossero altri.
Storicamente e secondo le opere di Shakespeare, Bruto e Cassio si aspettavano di riprendere il controllo della Repubblica, mentre, Marco Antonio con il suo famoso discorso
"Nobili romani! Amici, concittadini romani! Prestatemi orecchio. Sono venuto a seppellire Cesare, non a farne l’elogio…."
infiammò la folla contro di loro, e furono così costretti a fuggire per salvare le proprie vite.
Ma questi erano ricchi senatori, e potevano permettersi di formare degli eserciti personali. Comunque, Marco Antonio era al comando di numerosissimi legionari, tutti ancora fedeli a Giulio Cesare…e nella battaglia contro Bruto e Cassio, furono proprio quest'ultimi a perire; infatti, ciascuno di loro si suicidò o fu lasciato a morire.


Inoltre, è molto interessante notare che la punizione definitiva, giunse proprio nell'immaginario dell'Inferno di Dante. In quest'opera il viaggio attraverso l'Inferno termina proprio nel nono cerchio, dove i più grandi peccatori di tutti i tempi vengono mangiati da Satana.
Ed i 3 più grandi peccatori che si trovano qui sono:


Giuda Iscariota (traditore di Gesù Cristo)
Bruto e Cassio (traditori di Giulio Cesare)


sabato 6 agosto 2022

I soldati denigravano scherzosamente i propri comandanti

Nella Roma del I secolo d.C., i legionari intonavano i carmina triumphalia.



Si trattava di canti in cui i comandanti venivano sia elogiati che presi in giro, evitando così eccessi di superbia.

Tra gli esempi più scherzosi citiamo quelli che provengono dal trionfo di Giulio Cesare del 46 d.C.

Cittadini, sorvegliate le vostre donne, vi portiamo l’adultero calvo. In Gallia, o Cesare, hai dissipato con le donne il denaro che qui hai preso in prestito”.

I legionari ricordarono in un altro carmine la presunta relazione tra il loro generale e il re di Bitinia:

Cesare, hai sottomesso le Gallie, ma Nicomede ti ha sottomesso. Ecco colui che ha sottomesso le Gallie che ora trionfa, ma Nicomede, che ha sottomesso Cesare, non riporta nessun trionfo.