Catone fu un politico, un generale e uno scrittore romano, soprannominato "il Censore" (Censor), Sapiens, Priscus, o maior (l'anziano), per distinguerlo da Catone il giovane, il suo bis-nipote.
LE ORIGINI
Marco Porcio Catone, ovvero Marcus Porcius Cato, nelle epigrafi M·PORCIVS·M·F·CATO, nacque a Tusculum nel 234 a.c. da un'antica famiglia plebea, che si era fatta notare per qualche servizio militare, ma che aveva rifiutato, ovvero non era riuscita a ottenere, alte cariche civili. E' considerato il fondatore della Gens Porcia.
Fu allevato, secondo la tradizione latina, perché divenisse agricoltore, attività che egli amò e a cui si dedicò costantemente quando non fu impegnato nel servizio militare. Trascorse la sua adolescenza controllando un’azienda agricola di sua proprietà, poi prestò servizio appena diciassettenne durante la seconda guerra punica. Ma, avendo attirato l'attenzione di Lucio Valerio Flacco, fu condotto a Roma, divenendo questore nel 204, edile nel 199, pretore nel 198 in Sardegna, donde portò a Roma il poeta Ennio, e console nel 195; nel 184 divenne infine censore insieme al suo vecchio protettore Flacco. Insomma un cursus honorum rapido e completo.
Ebbe due mogli. La prima fu Licinia, una aristocratica della Gens Licinia, da cui ebbe come figlio Marco Porcio Catone Liciniano. La seconda, Salonia, figlia di un suo liberto, sposata in tarda età dopo la morte di Licinia, da cui ebbe Marco Porcio Catone Saloniano, nato quando Catone aveva 80 anni.
LA RIGIDITA' MORALE
Durante i suoi primi anni di carriera si oppose all'abrogazione della lex Oppia, emanata durante la seconda guerra punica per contenere il lusso delle donne. Ma presto cambiò idea perchè nel 204 a.c. prestò servizio in Africa, come questore con Scipione l'Africano ma lo abbandonò dopo un litigio a causa delle sue idee innovative, e soprattutto per la libertà che gli Scipioni accordavano alle loro mogli, sia come lusso che come organizzatrici di ricevimenti tra donne.
L'EDUCAZIONE DI CATONE BAMBINO
In Sardegna, potè invece estrinsecare la sua rigidissima moralità pubblica, e così in Spagna, che egli assoggettò con metodi molto duri, guadagnandosi la fama di trionfatore nel 194 a.c.
Nel 191 a.c. divenne tribuno militare nell'esercito di Manio Acilio Glabrione nella guerra contro Antioco III di Siria, e si distinse nella battaglia delle Termopili, che segnò la fine dell'invasione seleucide della Grecia.
La sua reputazione militare era indiscutibile, ma da quel momento preferì servire lo stato a casa, controllando la condotta morale dei candidati alle cariche pubbliche e dei generali sul campo. Egli credeva che il lusso, in cui la classe dirigente era orami avvezza a vivere, fosse la principale causa della degenerazione dei costumi, in particolare della perdita degli antichi valori. Catone esaltava al contrario la parsimonia, la moderatezza, l’esperienza della campagna, il disinteresse nell’esercizio delle cariche pubbliche, la resistenza al lavoro e alla fatica.
Spirito pratico e buon agricoltore, amministrò i suoi interessi con un senso dell'economia che sconfinava nell'avarizia, col principio che il proprietario deve vendere più che comprare, come lasciò scritto nel trattato sull'Agricoltura. Catone fu infatti l'unico padrone a permettere, tra i suoi schiavi, rapporti sessuali a pagamento intascandone il prezzo, cosa che non trovava affatto dsdicevole per un moralista come lui.
Pur non coinvolto nel processo per
corruzione contro gli Scipioni (l'Africano e l'Asiatico), guidò però
l'attacco contro di loro. Scipione l'Africano, rifiutandosi di
rispondere all'accusa, esclamò:
"Romani, questo è il giorno
in cui io sconfissi Annibale", e Scipio che aveva salvato più
volte Roma, pur venendo assolto per acclamazione, si autoesiliò
nella sua villa a Liternum. L'ostilità di Catone risaliva alla
campagna d'Africa quando discusse con Scipione per l'eccessiva
generosità di Scipione nella distribuzione del bottino tra le
truppe, e la vita sfarzosa di lui. Più tardi radiò dal senato
parecchi nobili, tra cui Lucio Scipione, fratello dell'altro
Scipione.
Catone ebbe alcuni meriti nella conduzione dei suoi offici:
fece riparare gli acquedotti, pulire le fognature,
impedì a soggetti privati di deviare le acque pubbliche per il loro uso personale,
fece demolire gli edifici che ostruivano le vie pubbliche,
costruì la prima basilica nel foro vicino alla Curia,
aumentò la somma dovuta allo stato dai pubblicani che riscuotevano le tasse,
diminuì il prezzo contrattuale per la realizzazione di lavori pubblici,
revisionò la lista dei senatori e degli equites, cacciando gli indegni, sia per la moralità ma anche per la mancanza dei requisiti economici. L'espulsione di Lucio Quinto Flaminio per ingiustificata crudeltà fu un esempio della sua giustizia, ma anche della sua cecità, visto che anch'egli era a volte spietato e crudele.
Ma ebbe anche numerosi demeriti:
si oppose al diffondersi della cultura ellenistica, che riteneva minacciasse di distruggere i costumi romani. Strano, perchè i costumi greci erano molto severi, ma ciò che lo infastidiva era la mania di pensare e di cercare la bellezza artistica.
Cercò di limitare il lusso, ma non per ragioni economiche, come fece ad esempio Augusto, ma perchè giudicato immorale, ponendo tra l'altro una forte tassa sugli abiti e gli ornamenti personali, specialmente delle donne, e sui giovani schiavi comprati come concubini o favoriti domestici, giudicata non immorale come pratica per l'abuso ma perchè voluttuaria.
Nel 181 a.c. appoggiò la lex Orchia che poneva limiti al numero di ospiti in un ricevimento, e nel 169 a.c. la lex Voconia, uno dei provvedimenti che intendevano impedire l'accumulo di un'eccessiva ricchezza nelle mani delle donne. Di sicuro Catone temette fortemente la libertà femminile e vi si oppose con protervia.
Preoccupato dalla diffusione dei riti misterici dei Baccanali, che egli attribuì alla nefasta influenza grecs, fece espellere dei filosofi greci di grande valore, come Carneade, Diogene lo Stoico e Critolao, giunti come ambasciatori da Atene, temendo la pericolosa influenza che avevano le loro idee.
Odiava anche i medici, che erano principalmente greci. Ottenne il rilascio di Polibio, lo storico, e dei suoi compagni prigionieri, chiedendo sprezzante perché il senato non avesse niente di più importante da discutere se qualche greco doveva morire a Roma o nella loro terra.
Quasi ottantenne ebbe il suo primo contatto con la letteratura greca, sebbene dopo aver esaminato i suoi scritti si pensa avesse già letto delle opere greche per gran parte della sua vita.
Il suo ultimo impegno pubblico fu di spronare i suoi compatrioti alla III guerra punica e la distruzione di Cartagine. Nel 157 a.c. fu uno dei delegati mandati a Cartagine per arbitrare tra i cartaginesi e Massinissa, re di Numidia. La missione fu fallimentare e i commissari tornarono a casa. Ma Catone fu colpito dalla prosperità dei cartaginesi si da convincersi che la sicurezza di Roma dipendesse dalla distruzione di Cartagine. Da quel momento egli continuò a ripetere in Senato: "Ceterum censeo Carthaginem esse delendam." (Per il resto ritengo che Cartagine debba essere distrutta. - Plutarco, Vita di Catone). Ripetendo la frase alla conclusione di ogni suo discorso.
Dalla sua carica di censore, nel 184 a.c. alla sua morte nel 149, Catone non occupò altre cariche pubbliche, teso soprattutto a far valere la sua influenza in senato come feroce oppositore di ogni innovazione.
LA VISIONE DELLA VITA
Per Catone la vita individuale era un continuo auto-disciplinarsi, nel privato e nel pubblico. Riteneva il pater come dominatore della famiglia, e la famiglia la base dello stato. Attraverso una rigida organizzazione del suo tempo egli realizzò un'enorme quantità di lavoro; pretese altrettanto dai suoi dipendenti, e si dimostrò un marito e un padre severo e spietato, e con gli schiavi un inflessibile e crudele padrone.
Ci fu apparentemente poca differenza,
nel modo in cui trattava sua moglie e i suoi schiavi; prestò più
attenzione ai figli ma solo per fargli la morale.
Nella lotta
contro il dilagare del lusso e la degenerazione dei costumi, egli
esaltò la frugalità, la parsimonia, l’impegno politico, che
dovrebbero essere proprie di ogni buon cittadino e che egli sostenne
di possedere.
Dai romani fu sempre rispettato e considerato come un esempio tradizionale degli antichi e costumi romani. Livio ad esempio descrive Catone senza alcuna parola di biasimo per la rigida disciplina della sua condotta domestica.
LE OPERE
Fu tra le principali personalità della letteratura latina arcaica, come oratore, storiografo e saggista. Scrisse una vasta raccolta di manuali tecnico-pratici, tesi a difendere i valori tradizionali romani contro le tendenze ellenizzanti dell'aristocrazia legata agli Scipioni. Scrisse un'opera indirizzata al figlio Marco, i Libri ad Marcum filium o Praecepta ad Marcum filium, di cui si conserva per intero soltanto il Liber de agri cultura. tesa a trasmergli rigidamente i suoi valori di onestò ma anche di scarsa sensibilità e di grettezza. Ancora sul tema dei valori tradizionali romani scrisse un Carmen de moribus di cui abbiamo pochissimi frammenti.
Fin dalla giovinezza si dedicò, inoltre, all'attività oratoria: pronunciò in tutta la sua vita oltre 150 orazioni, di cui si possiedono frammenti di circa 80 orazioni diverse, di cui orationes deliberativae, ovvero discorsi in senato a favore o contro una proposta di legge, e orationes iudiciales, discorsi giudiziari di accusa o difesa.
Aveva uno stile oratorio semplice e disadorno; l’organizzazione delle frasi aveva chiari riferimenti ai modelli arcaici. Per Catone non era importante tanto l’aspetto esteriore di un testo, quanto il contenuto. Lo stile doveva essere suggestivo, denso di significato, e gli artifici di un discorso non erano volti a renderlo più elegante, ma soprattutto a inculcarlo nella mente degli ascoltatori.
Fu inoltre autore in vecchiaia della prima opera storiografica in lingua latina, le Origines, cioè la storia romana dalla leggendaria fondazione fino al II sec. a.c., di cui si conservano però scarsi frammenti.
Elogiata da Cicerone, che definì il censore primo grande oratore romano, la sua opera perse di interesseper riaffacciarsi nel II sec. d.c., Aulo Gellio e Marco Cornelio Frontone ne tramandarono molti frammenti, e l'imperatore Adriano dichiarò di preferire Catone anche allo stesso Cicerone.
A partire dal IV sec. d.c. l'opera di Catone decadde nuovamente. Grande diffusione ebbero, invece, le raccolte di proverbi in esametri erroneamente attribuite a Catone e denominate Disticha Catonis e Monosticha Catonis, ma composte probabilmente nel III secolo d.c.
Per quanto probo e buon oratore e scrittore, Catone fu un animo gretto, spesso affetto da invidia, come verso il carismatico e giovane Scipione, cui Roma doveva tutto. Inoltre trattò la moglie e i figli come forza lavoro senza accordare loro alcun diritto e alcuna libertà. Si diceva che per Catone i figli, la moglie, gli schiavi e gli animali avevano tutti lo stesso valore, cioè per ciò che producevano e per come obbedivano, senza alcuna attenzione di ordine affettivo.
LE CITAZIONI
- Fuggi le chiacchiere, per non essere
reputato un loro fomentatore: a nessuno nuoce aver taciuto, nuoce
aver parlato.
Rumores fuge, ne incipias novus auctor haberi: nam
nulli tacuisse nocet, nocet esse locutum.
- I ladri di beni
privati passano la vita in carcere e in catene, quelli di beni
pubblici nelle ricchezze e negli onori.
Fures privatorum furtorum
in nervo atque in compedibus aetatem agunt, fures publici in auro
atque in purpura.
- Non credere sempre a chi ti dà
notizie: bisogna avere poca fiducia in chi parla molto.
Noli tu
quaedam referenti credere semper: exigua est tribuenda fides, qui
multa locuntur.
- Pianta alberi, che gioveranno in
un altro tempo.
Serit arbores, quae alteri saeclo prosint.
- Se padroneggi l'argomento, le
parole seguiranno.
Rem tene, verba sequentur.
- Non vergognarti di volere che ti sia
insegnato ciò che non sai. Saper qualcosa è fonte di lode, mentre è
una colpa non voler imparare nulla.
Ne pudeat quae nescieris, te
velle doceri. Scire aliquid laus est, culpa est nihil discere velle.
- Per il resto ritengo che Cartagine
dev'essere distrutta.
Ceterum censeo Carthaginem esse delendam
anche come Carthago delenda est.
- Mai l'uomo è così attivo come quando non fa nulla, mai meno solo di quando è in compagnia di se stesso.
- Non bisogna mai ritornare dove si è stati felici.
- È davvero strano che un indovino non rida quando incontra un indovino.
- Le avversità domano e insegnano che cosa convenga fare; la buona sorte, invece, suole impedire di riflettere e di agire adeguatamente.
- Meglio che gli uomini chiedano perché non ho una statua, piuttosto che chiedano perché ne ho una.
- Pensa sempre a quanto è lungo l'inverno.
- Per il companatico degli schiavi si abbia cura di conservare le olive cadute dall'albero e quelle raccolte, che rendono poco olio; e si badi che durino a lungo.
- Quello che ti manca chiedilo in prestito a te stesso.
- Uomo di valore ed esperto nel
dire.
Vir
bonus, dicendi peritus.
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