La maggior parte delle persone oggi
segue una visione degli antichi Spartani come un popolo guerriero che
disdegnava il lusso e si dedicava all'addestramento militare. Gli
Spartani hanno una presenza sostanziale nella cultura popolare
moderna, in parte dovuta al film d'azione fantasy 300
del 2006,
che, distorce notevolmente la vera
storia di Sparta per trasmettere un messaggio profondamente razzista,
misogino, abilista e fascista.
In questo post, però, non voglio
parlare di 300. Invece, voglio trattare alcuni aspetti dell'antica
storia, società e cultura Spartana che vengono, per la maggior
parte, abbastanza tralasciati e che penso dovrebbero essere più
ampiamente conosciuti. Ad esempio, sapevi che ci sono opere
sopravvissute dell'antica poesia Spartana? O sapevi che gli uomini
Spartiati erano conosciuti nell'antichità per tenere i capelli
lunghi con le trecce che arrivavano fino a metà schiena? O sapevi
che altri Greci nell'antichità stereotipavano gli Spartani come
feticisti anali? Di seguito altre informazioni per saperne di più!

Antichi poeti e scrittori Spartani
L'antica Sparta non è generalmente
conosciuta per la sua letteratura, in gran parte a causa del fatto
che ne ha prodotta relativamente poca. Tuttavia, molte persone
saranno sorprese di scoprire che in realtà c'erano alcuni famosi
scrittori Spartani antichi.
Uno dei primi poeti che si dice abbia
vissuto a Sparta è Térpandros, che si dice sia fiorito intorno
all'inizio del VII secolo a.C.. Si dice che sia nato nella città di
Antissa sull'isola di Lésbos e che in seguito sia emigrato a Sparta.
È noto per la sua codificazione degli stili musicali Greci. Sono
sopravvissuti alcuni frammenti poetici attribuiti a lui, ma
probabilmente si tratta di falsificazioni.
Più o meno nello stesso periodo di
Térpandros o forse un po' più tardi, un altro poeta fiorì a Sparta
di nome Alkmán, che era un nativo Spartano. La maggior parte della
poetica di Alkmán è andata perduta, ma i frammenti delle sue opere
sopravvivono. La sua opera più famosa sopravvissuta è il “Louvre
Partheneion”, una poesia che doveva essere cantata da un coro di
giovani donne. Alcune delle sue poesie sono comiche, il ché
suggerisce che Sparta nel VII secolo a.C. non era esattamente la cupa
società guerriera come la immaginiamo oggi. Ad esempio, di seguito è
riportata una poesia che Alkmán scrisse su un vecchio che saltellava
con giovani donne, tradotta da Martin Litchfield West:
«Le mie gambe non possono più
sorreggermi, signorine con voci ammalianti e canti divini!
Ah, se
potessi essere un Martin Pescatore, che vola, blu come il mare, senza
paura, in mezzo a voi Halcyon giù per riposare sulla salamoia!»
Circa una generazione dopo Alkmán,
visse un altro famoso poeta Spartano di nome Tyrtaios, che per lo più
scrisse poesie sulla guerra, esaltando il coraggio militare come la
più alta di tutte le virtù. Tyrtaios compose le sue poesie nel
dialetto Ionico, piuttosto che nel dialetto Dorico nativo che era
normalmente parlato a Sparta. Ciò ha portato alcuni autori
successivi a credere che Tyrtaios fosse un immigrato e non un nativo
Spartano. È molto più probabile, tuttavia, che Tyrtaios fosse in
realtà un nativo Spartano e che scelse semplicemente di comporre le
sue opere in dialetto Ionico a causa del prestigio letterario di tale
dialetto.
Oltre a Térpandros, Alkmán e
Tyrtaios, conosciamo anche i nomi di almeno altri due famosi poeti
che vissero a Sparta e le cui poesie furono ampiamente rappresentate.
Il poeta Spendon sembra essere stato un nativo Spartano, ma non
sappiamo esattamente quando visse e nessuna delle sue poesie sono
giunte a noi. Si dice che il poeta Thaletas sia nato sull'isola di
Creta e sia emigrato a Sparta. Purtroppo però, anche questa volta,
non sappiamo esattamente in che epoca abbia vissuto e nessuna delle
sue poesie sopravvive.
È interessante notare che c'era anche
almeno uno storico Spartano. Il suo nome era Sosibios e visse intorno
alla metà del III secolo a.C.. Sembra che sia nato a Sparta, ma alla
fine lasciò la sua città natale e si recò alla corte Tolemaica in
Egitto, dove scrisse opere sulla storia e sui costumi Spartani.
Sfortunatamente, nulla di ciò che ha scritto è sopravvissuto e la
sua esistenza è nota solo da riferimenti di autori successivi.

Mosaico Romano del III
secolo d.C. raffigurante il famoso poeta Spartano Alkmán.
Gli Iloti
La maggior parte delle persone che
parlano della reputazione degli Spartani come “grandi guerrieri”
non sono consapevoli del fatto che la stragrande maggioranza delle
persone che vivevano nell'antica Sparta erano in realtà membri di
una classe di schiavi noti come Iloti, che era, secondo tutte le
antiche fonti sopravvissute, brutalmente oppressa e maltrattata dai
loro signori Spartiati.
Tyrtaios ha scritto una poesia che
descrive l'oppressione degli Iloti. Ecco cosa sopravvive della sua
descrizione, tradotta da Martin Litchfield West:
«…come asini che soffrono sotto
il peso di carichi pesanti, costretti da una forza dolorosa a portare
ai loro padroni la metà di tutto il raccolto che la terra ha
prodotto.»
Gli Iloti superavano di gran lunga gli
Spartiati. Lo storico Greco Hēródotos di Halikarnāssós (vissuto
tra il 484 e il 425 a.C. circa) registra nelle sue Storie 9.10 che,
nella Battaglia di Platea nel 479 a.C., c'erano sette Iloti per ogni
Spartiato. Di conseguenza, gli Spartiati ricorsero a misure rigide e
persino omicide per tenere sotto controllo la popolazione Ilota.
Il successivo scrittore Greco
Ploútarchos di Chairóneia (vissuto dal 46 d.C. — al 125/127 d.C.)
riassume nella sua opera Life of Lycurgus
28.2-3 come i giovani uomini
Spartiati spesso prestassero servizio in una sorta di forza di
polizia segreta nota come κρυπτεία (krupteía) e membri di
questa forza sgattaiolavano nelle campagne e uccidevano degli Iloti.
Riporta che prendevano di mira soprattutto Iloti che apparivano
troppo forti all'apparenza e che temevano potessero prendere in
considerazione un'eventuale ribellione contro lo Stato Spartano.
Scrive Ploútarchos, come tradotto da Bernadotte Perrin:
«I magistrati di tanto in tanto
inviavano in campagna i più discreti dei giovani guerrieri, muniti
solo di pugnali e di provviste necessarie. Di giorno si disperdevano
in luoghi oscuri e sperduti, dove si nascondevano e giacevano
tranquilli; ma di notte scendevano sulle strade principali e
uccidevano ogni Ilota che catturavano. Spesso, inoltre,
attraversavano i campi dove lavoravano gli Iloti e hanno ucciso i più
robusti e migliori di loro.»
Ploútarchos era un avido laconofilo e
probabilmente lui stesso proprietario di schiavi, ma era comunque
disposto ad ammettere che il modo in cui gli Spartiati trattavano gli
Iloti era davvero orribile.

fotografia di un'anfora
a collo Attica con figure nere del Pittore di Antimene databile tra
il 530 a.C. e il 510 a.C. raffigurante individui (probabilmente
schiavi) che raccolgono olive.
Il folle culto della morte di Sparta
Gli antichi Spartiati erano
ossessionati dalla morte in battaglia sin dall'inizio della loro
storia. Tyrtaios scrisse poesie che glorificano la morte in battaglia
come l'ideale a cui tutti i giovani uomini dovrebbero ambire.
Contrasta la morte in battaglia con la sopravvivenza ignominiosa,
descrivendo coloro che fuggono dalla battaglia per salvare le proprie
vite come codardi che verranno scherniti da tutte le persone per il
resto della loro vita. Ecco un estratto da una di queste poesie,
tradotta da Martin Litchfield West:
«Poiché va bene morire sul fronte,
un uomo coraggioso che combatte per la sua patria, il destino più
doloroso è lasciare la propria città e i fertili campi coltivati
per la vita di un mendicante, vagando con la madre, caro e anziano
padre, con bambini piccoli e con moglie sposata. Non sarà il
benvenuto ovunque vada, inchinandosi al bisogno e alla povertà
miserabile, la sua linea disonorata, il suo bel viso smentito; ogni
umiliazione insegue i suoi passi. Questa è la verità: il vagabondo
viene ignorato e disprezzato, e i suoi figli dopo di lui. Quindi
combattiamo con spirito per la nostra terra, moriamo per i nostri
figli e non risparmiamo più le nostre vite.»
Altre città—stato Greche
glorificavano allo stesso modo la morte in battaglia, ma gli
Spartiati si spinsero oltre più di qualunque altro popolo.
L'assoluta tossicità del culto della morte Spartano è forse meglio
illustrata dal racconto di ciò che accadde al piccolo gruppo di
Spartiati sopravvissuti alla Battaglia delle Termopili nel 480 a.C.
Hēródotos registra nelle sue Storie
7.232 che Leōnídās ordinò ad uno Spartiato di nome Pantìtes di
fungere da messaggero per i Tessali. Come risultato dei suoi servigi,
Pantìtes non era presente alla resistenza finale al passo delle
Termopili e sopravvisse alla battaglia. Tornò a Sparta e, quando
scoprì che gli altri Spartiati erano tutti morti, si vergognò così
tanto di non aver seguito il loro destino che si impiccò.
Allo stesso modo Hēródotos registra
nelle sue Storie 7.229-231 che c'erano due Spartiati di nome
Aristòdemos ed Éurytos che avevano infezioni agli occhi e non
potevano vedere, il ché significa che non potevano combattere.
Leōnídās quindi ordinò loro di fare ritorno a Sparta. Quando
Éurytos seppe che le Forze Greche alle Termopili venivano
fiancheggiate, si voltò e si gettò nella battaglia con sconsiderato
abbandono tale che venne immediatamente ucciso.
Aristòdemos, invece, obbedì agli
ordini di Leōnídās e tornò a Sparta. Gli altri Spartiati lo
detestavano e lo prendevano in giro come un codardo, poiché non si
era suicidato inutilmente come Éurytos. Si rifiutavano di
rivolgergli la parola. Si rifiutavano di dargli la legna per i suoi
falò. Lo chiamavano “Aristòdemos il Tremante”. Alla fine,
Aristòdemos morì nella Battaglia di Platea nell'Agosto del 479
a.C., portando gli Spartiati a rimuovere il disonore dal suo nome.
Rifletti solo a cosa dice questo sulla
società Spartana; gli Spartiati erano così ossessionati dalla morte
in battaglia che letteralmente prendevano in giro le persone come
codardi solo per aver obbedito agli ordini e per non esser morto
senza motivo. È piuttosto incasinato.
Spartiati con i capelli lunghi
La maggior parte delle persone oggi
immagina gli uomini Spartiati come guerrieri spettinati che davano
poca attenzione al loro aspetto fisico. In realtà, è l'esatto
contrario; Gli uomini Spartiati erano notoriamente preoccupati del
loro aspetto fisico, in particolare dei loro capelli. Mentre gli
uomini Greci di altre città—stato spesso portavano i capelli
relativamente corti, gli uomini Spartiati erano noti per i loro
capelli lunghi.
Hēródotos registra nelle sue Storie
7.208-209 che, prima della Battaglia delle Termopili nel 480 a.C.,
l'Imperatore Achemenide Xšayaṛša mandò un esploratore per spiare
i Greci nel loro accampamento e vedere cosa stessero facendo.
Presumibilmente, l'esploratore ha assistito ad un gran numero di
uomini Spartiati che pettinavano e acconciavano ossessivamente i loro
lunghi capelli in preparazione per la battaglia. Di seguito, come
tradotto da Alfred Denis Godley:
«Andando al campo, il cavaliere
guardò ed tenne d'occhio la situazione. Tuttavia, non poteva vedere
l'intero accampamento, perché era impossibile vedere quelli posti
all'interno del muro che avevano ricostruito e che stavano
sorvegliando. Prese nota di coloro che erano fuori, le cui braccia
giacevano davanti al muro, e capitò che a quel tempo i Lacedemoni —
cioè gli Spartani — fossero appostati lì. Vide alcuni degli
uomini che si allenavano nudi ed altri che si pettinavano. Si stupì
dello scenario e prese nota del loro numero. Dopo aver osservato
tutto attentamente, tornò a cavallo con calma, poiché nessuno lo
inseguì o gli prestò alcuna attenzione. Così è tornato e ha detto
a Xšayaṛša tutto ciò che aveva visto.»
Hēródotos non è l'unico scrittore
Greco a menzionare i lunghi capelli degli Spartiati. Il successivo
storico Greco Xenophôn (vissuto intorno al 430—354 a.C.) scrive
nel suo trattato Sulla società Spartana 11.3, come tradotto da Edgar
Cardew Marchant:
«Egli — cioè, il leggendario
legislatore Spartano Lykourgos — ha anche permesso agli uomini che
avevano superato la loro prima giovinezza di portare i capelli
lunghi, credendo che li avrebbe fatti sembrare più alti, più
dignitosi e più terrificanti.»
Ploútarchos di Chairóneia non solo
sottolinea che gli uomini Spartiati erano noti per portare i capelli
lunghi, ma sottolinea anche la cura e l'attenzione che dedicavano ad
essi per assicurarsi che avessero un bell'aspetto prima di andare in
battaglia. Scrive nel suo Life of Lykourgos 22.1, tradotto da Richard
John Alexander Talbert:
«È stato in tempo di guerra che
hanno allentato gli elementi più duri dell'addestramento dei
giovani: non hanno impedito loro di pettinarsi e decorare i loro
vestiti e le loro armi, ma sono stati contenti di vederli come
cavalli che saltellavano e nitrivanno prima di una gara. Così
portavano i capelli lunghi non appena avevano superato l'età della
giovinezza; la curavano in modo particolare di fronte al pericolo,
facendola sembrare liscia e pettinandola. Avevano in mente una delle
affermazioni di Lykourgos sui capelli lunghi, che rendono gli uomini
belli più belli e quelli brutti più spaventosi.»
Allo stesso modo, Ploútarchos registra
un aneddoto nella sua raccolta Sayings of the Spartans, sezione 68,
che qualcuno una volta chiese al Re Spartano Charílaos perché era
consuetudine che gli Spartiati portassero i capelli lunghi.
Presumibilmente, il Re Charílaos rispose:
«Τῶν κόσμων ὁ φυσικὸς
καὶ ἀδάπανος οὗτός ἐστι.»
Che significa:
«Perché questo è il più naturale
e il meno costoso degli ornamenti.»
Probabilmente possiamo fare un'ipotesi
informata su come gli uomini Spartiati indossassero i capelli sulla
base delle rappresentazioni artistiche sopravvissute dell'antica
Grecia di guerrieri maschi con i capelli lunghi, che spesso li
mostrano con quelle che sembrano essere lunghe trecce intricate che
scendono a metà schiena.

dettaglio di una
rappresentazione di un oplita sul cratere di Vix, risalente al 500
a.C. circa. Notare le lunghe trecce che escono da sotto il suo elmo.

Fotografia di un'antica
statua Greca di un guerriero con i capelli lunghi e trecce intricate
che scendono a metà della sua schiena. Questo è senza dubbio il
modo in cui gli uomini Spartiati portavano i loro capelli.
Il presunto feticismo anale
Spartiato
Nei tempi antichi, le persone di altre
città—stato Greche stereotipavano gli Spartiati come
plausibilmente dotati di una inclinazione radicata per il sesso
anale. Il drammaturgo Ateniese Aristophánēs (vissuto tra il 446 e
il 386 a.C. circa) allude a questo stereotipo nella sua commedia
Lysistràtē, rappresentata
per la prima volta ad Atene nel 411 a.C.
Verso la fine dell'opera, un delegato
Ateniese ed un delegato Spartano dividevano territori su una mappa,
che raffiguravano il corpo di una donna. Lo Spartano insisteva nel
rivendicare la città di Pýlos, che raffigura l'ano della donna.
L'Ateniese accetta di lasciargliela finché riesce a prendere la
vagina della donna. Ecco il passaggio dalle righe 1162—1170
dell'opera in Greco originale:
Λάκων:
«ἁμές γε λῶμες, αἴ
τις ἁμὶν τὤγκυκλον λῇ τοῦτ᾽ ἀποδόμεν.»
Λυσιστράτη: «ποῖον
ὦ τᾶν.»
Λάκων: «τὰν Πύλον,
ἇσπερ πάλαι δεόμεθα καὶ βλιμάττομες.»
Ἀθηναῖος: «μὰ τὸν
Ποσειδῶ τοῦτο μέν γ᾽ οὐ δράσετε.»
Λυσιστράτη: «ἄφετ᾽
ὦγάθ᾽ αὐτοῖς.»
Ἀθηναῖος: «κᾆτα
τίνα κινήσομεν.»
Λυσιστράτη: «ἕτερόν
γ᾽ ἀπαιτεῖτ᾽ ἀντὶ τούτου χωρίον.»
Ἀθηναῖος: «τὸ
δεῖνα τοίνυν παράδοθ᾽ ἡμῖν τουτονὶ
πρώτιστα τὸν Ἐχινοῦντα καὶ τὸν
Μηλιᾶ
κόλπον τὸτονὶ.»
Ecco la mia traduzione:
Spartiato: «Da parte nostra,
terremo, finché ci cedi questo piccolo buco che tieni qui.»
Lisistrata: «Quale,
signore?»
Spartiato: «Pylos, che
volevamo e sentivamo disperatamente da così tanto tempo.»
Ateniese: «Per Poseidone,
no! Non lo rivendicherai!»
Lisistrata: «Daglielo,
brav'uomo!»
Ateniese: «Ma allora con
cosa giocheremo?»
Lisistrata: «Almeno chiedi
un posto diverso invece di questo.»
Ateniese: «Hmm… beh,
prima, consegna la vulva Echinous, le natiche Melia e le cosce
Magara.»
La presunta inclinazione degli
Spartiati per il sesso anale, tuttavia, andava oltre le semplici
scene della commedia Ateniese. I Greci hanno persino inventato la
parola oscena κυσολάκων (kysolákōn), che letteralmente
significa “culo—Spartano” ed è un termine peggiorativo per un
uomo che si impegna in un rapporto anale, con un altro uomo o con una
donna. Nel Medioevo, lo studioso Phōtios (vissuto tra l'810 e l'893
d.C.), che servì come patriarca ecumenico di Costantinopoli,
produsse un lessico della lingua Greca, che include una voce per il
termine κυσολάκων (p. 192.12) che recita come segue:
«Κυσολάκων · ὁ Κλεινίας
ὁ τῷ κυσῷ λακωνίζων · τὸ δὲ τοῖς
παιδικοῖς χρῆσθαι λακωνίζειν λακωνίζων
· τὸ δὲ τοῖς παιδικοῖς χρῆσθαι
λακωνίζειν λέγουσντοησησιν · γολς.»
Che significa:
«Kysolakon: le Clinia che hanno
fatto sesso anale in stile Spartano. Dicono che fare sesso con i
ragazzi significhi comportarsi come uno Spartano. Infatti, secondo
Aristotele, Teseo fece sesso con Helénē — di Sparta — in questo
modo.»
I Greci hanno stereotipato le persone
di altre poleis perché hanno anche altre inclinazioni sessuali
varie; non l'hanno fatto solo con gli Spartiati. Ad esempio, ironia
della sorte, gli antichi Greci stereotipavano le persone dell'isola
di Lésbos come presumibilmente inclini alla fellatio e la parola
Greca λεσβιάζω (lesbiázō), che letteralmente significa
“comportarsi come una lesbica”, in realtà significava “eseguire
la fellatio”.

lato A di un cratere a
campana a figure rosse Attico datato tra il periodo 440 a.C. 430
a.C., raffigurante Thēséus che insegue Helénē di Sparta,
apparentemente per fare sesso anale con lei, se si deve credere al
racconto di Phótios.
La bizzarra trappola per turisti che
Sparta divenne durante l'epoca Romana
Forse la cosa più strana dell'antica
Sparta è il modo in cui è diventata alla fine. Sparta fu annessa
all'Impero Romano nel 146 a.C. e, dopo quel periodo, sembra essere
diventata una specie di trappola per turisti. A questo punto, Sparta
era un piccolo villaggio con alcune rovine relativamente
insignificanti. La popolazione locale sembra quindi aver cercato di
incassare l'antica reputazione della loro città nel modo più
scioccante possibile.
A partire dal I secolo a.C. circa, gli
Spartani locali tenevano un festival annuale in cui frustavano
brutalmente ragazzi adolescenti (presumibilmente volontari) sugli
altari di Artemide Orthia. I ragazzi cercavano di mostrare meno
dolore possibile per impressionare gli spettatori per quanto fossero
duri e virili.
Questo festival ha attirato turisti da
tutto l'Impero Romano. L'oratore Romano Marcus Tullius Cicero
(vissuto dal 106 al 43 a.C.) visitò Sparta e vide di persona questo
orribile rituale di flagellazione. Scrive nel suo Tusculanae
disputationes 5.14, tradotto da Charles Duke Yonge:
«I ragazzi di Sparta sono
flagellati al punto che sugli altari il sangue segue in abbondanza la
frusta; anzi, a volte, come sentivo quando ero presente, vengono
frustate anche fino alla morte; e tuttavia nessuno di loro è mai
stato sentito gridare, o anche solo gemere.»
Più tardi, Cicerone nota nelle sue
Dispute Tuscolane 5.27, nella traduzione di Yonge:
«I ragazzi Spartani sopporteranno
che i loro corpi vengano lacerati dalle verghe senza emettere un
gemito. Io stesso ho visto a Sparta truppe di giovani uomini, con
incredibile rigore, contendersi insieme con le mani e i piedi, con i
denti e le unghie, anzi, addirittura pronti a morire, piuttosto che
farsi sottomettere.»
Oltre un secolo dopo, Ploútarchos di
Chairóneia sembra anch'esso aver visitato il festival della
flagellazione Spartana e visto lo spettacolo di persona. Scrive nel
suo Life of Lykourgos 18, tradotto da Richard John Alexander Talbert:
«Questa storia non è certamente
incredibile, a giudicare dai giovani Spartani di oggi. Ho visto molti
di loro morire a suon di frustate che hanno ricevuto all'altare di
Artemis Orthia.»
Fortunatamente, questa usanza sembra
essersi estinta nella tarda antichità. La popolazione di Sparta è
drasticamente diminuita durante il Medioevo. Nel XIII secolo, la sua
popolazione totale era probabilmente solo di poche migliaia. Fu un
villaggio irrilevante per la maggior parte della prima età moderna,
ma, dopo la Guerra d'Indipendenza Greca (durata nel 1821—1829
d.C.), ci fu un Movimento per ricostruire e ripopolare la città.
Oggi, Sparta è la capitale amministrativa dell'unità periferica
Greca della Laconia.

Illustrazione del
famigerato rituale di frustate Spartano dal romanzo del 1911 Il
codardo delle Termopili di Caroline Dale Snedeker née Parke.