“È giunto finalmente amore; vergognoso nasconderlo, più di quanto sarebbe per me infamante rivelarlo ad alcuno. Mi piace peccare: disturba conformare il volto alla reputazione. Si dirà che siamo stati insieme, l’uno degno dell’altra”.
Le fonti che riguardano Sulpicia sono molto risicate. Era figlia di Sergio Sulpicio Rufo e nipote del console Sulpicio, grande amico di Cicerone.
Il fatto di essere la nipote di un uomo tanto influente consentì alla ragazza di esprimere la propria indole poetica e anche di proteggerla dal contenuto dei suoi versi erotici, consentiti unicamente a uomini e alle etere.
La protagonista dei suoi componimenti (undici) è una ragazza che aspira ad essere la “passione ardente” del proprio uomo, senza alcun pudore.
Il suo è un amore prima felice e poi contrastato, quando l’adorato Cerinto inizia a frequentare un’altra fanciulla.
Ma poco importa: i tradimenti non sono altro che contrattempi di scarsa importanza, perché è certa che quell’uomo alla fine tornerà da lei.
Conosciamo il suo lavoro per puro caso: i suoi versi furono attributi a Tibullo e inseriti nel Corpus Tibullianum.
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