
Bruto e Cassio, subito dopo l'omicidio
di Cesare si aspettavano che il popolo romano li avrebbe acclamati
come eroi e liberatori, ma non andò così: Cesare era molto popolare
e la notizia del suo assassinio sconvolse la popolazione e gettò la
città nel panico.
Non avendo incontrato il favore della
folla, i congiurati decisero di riunirsi in Campidoglio per discutere
cosa fare, fu un errore perché nel frattempo Marco Antonio e gli
altri seguaci di Cesare passato lo shock per la sua morte si
riorganizzarono. Antonio provò a scendere a patti con Bruto, per
garantire l'ordine e non scatenare una guerra civile.
In realtà Antonio aveva le idee
chiare. Al funerale di Cesare, Marco Antonio fu molto abile ad
aizzare la folla contro Bruto e gli altri congiurati: mostrò alla
folla i vestiti insanguinati di Cesare e perfino un manichino di
Cesare fatto di cera, con tanto di ferite. Antonio lesse il
testamento di Cesare in cui lasciava al popolo molte delle sue
ricchezze.
Le parole di Antonio scatenarono la
furia del popolo, che commosso iniziò a dare la caccia a Bruto e al
resto dei congiurati per linciarli. Bruto e gli altri furono
costretti a lasciare la città.
Insomma, ne seguirono due anni di
guerra civile, terminati con la Battaglia di Filippi, in Grecia nel
quale le truppe di Marco Antonio e Ottaviano ebbero la meglio e Bruto
si suicidiò per non essere catturato.
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