GIOCATTOLI PER SIGNORE...
Vibratore, dildo, godmiché, fallo
artificiale, consolatore di vedove, parapilla, samthanse, baubon,
olisbo.
Molti i suoi nomi, le fatture e le dimensioni, i materiali
impiegati a seconda delle epoche (legno, cera, cuoio, metallo, gomma,
galatite, lattice), l'eventuale tecnologia e meccanica applicate (a
batteria, vibrante, a più velocità, anfibio), il design e le
prestazioni più o meno futuribili.
Ma sempre identico l'impiego
del... migliore amico della donna, il sostituto posticcio del membro
maschile che dalla notte dei tempi occupa un ruolo di rilievo nella
storia dell'eros e dei costumi sessuali.
Le prime notizie
sull'impiego del vibratore ci arrivano dalla antica Grecia, una
cultura dalle abitudini sessuali emancipate e piuttosto
permissive.
L'olisbo era un membro virile in pelle o in cuoio
bollito, lungo otto dita (più o meno una ventina di centimetri),
impiegato dalle donne greche per masturbarsi o nei giochi lesbici,
prodotto specialmente nella città di Mileto dove, si dice, non solo
era fiorente l'industria e il commercio di questi proto-vibratori, ma
le abitanti (definite "tribadi e impudiche") ne facevano un
diffuso e accanito impiego.
Il suo uso è testimoniato nell'arte,
nella poesia e nel teatro, sovente con dovizia di partico-lari, ad
esempio da Cratino e soprattutto da Aristofane nella commedia
"Lisistrata", in cui le donne ateniesi e spartane
costringono i loro uomini alla pace con uno "sciopero
dell'amore".
"E non c'è rimasto nemmeno uno straccetto
di ganzo" si lamenta Lisistrata rivolta alle ateniesi. "Poi,
da quando i Milesi ci hanno tradito, non ho visto più nemmeno un
olisbo lungo otto dita, a darci qualche sollievo...di cuoio".
Se
i greci trattano sia nelle arti sia letteratura i vibratori e la
masturbazione femminile con disinvoltura e molta più gentilezza
della gran parte delle culture antiche, i romani manife-stano un
atteggiamento più cauto secondo i dettami del puritanesimo un po'
ipocrita della loro moralità che viene rafforzato dall'incontro con
la filosofia della chiesa cristiana.
Il pudore che teneva in ombra
i piaceri solitari delle donne romane si trasforma progressivamente
in scandalo e poi in condanna aperta in epoca imperiale, quando
Augusto istituzionalizza il disprezzo della religione per l'atto
sessuale fine a se stesso.
Ma allora, vi chiederete, l'idea che
abbiamo della Roma antica tutta orge, lussuria e Messaline è
infondata?
Affatto. Il mondo descritto da Petronio nel "Satyricon"
è un reportage satirico e insieme preciso sulla Roma imperiale
decadente, dissoluta, corrotta e porcellona, ma ben chiarisce
l'atteggiamento contraddittorio e fariseo, da vizi privati e
pubbliche virtù, tipico di una cultura perbenista che accetta sì la
prostituzione, i postriboli, le terme del piacere affrescate con
immagini oscene, ma che considera il sesso in chiave "politica",
secondo rigidi privilegi di casta, e non lo vive con la naturalezza
greca ma anticipando le regole borghesi a venire del "si fa ma
non si dice".
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