Nella Roma antica la prostituzione era un’attività fiorente e per nulla scandalosa: si stima che nel I secolo d.C. le donne dedite al mestiere più antico del mondo, regolarmente registrate e soggette al pagamento delle tasse, fossero svariate migliaia. Un numero certamente inferiore alla realtà, vista la sicura presenza di molte altre che esercitavano “liberamente”, per eludere il fisco.
La maggioranza delle prostitute erano schiave o liberte, anche se non mancavano donne libere ridotte in miseria, magari dalla vedovanza, o aristocratiche, chiamate famosae, che esercitavano per voglia di trasgressione o solo per il gusto di destare scandalo
Di solito, chi andava in cerca di sesso a pagamento a basso costo frequentava i numerosi bordelli, oppure poteva andare in cerca delle postribulae, le più povere tra le tante donne costrette a vendersi per denaro.
Tra loro, le ambulatae appartenevano a una delle categorie più infime, donne che esercitavano il mestiere per strada, aspettando i clienti nei pressi dei più costosi bordelli, vicino ai circhi e alle arene dei gladiatori.
Peggio di loro, nella considerazione sociale, c’erano solo le bustuariae, che esercitavano di notte all’interno dei cimiteri. Solitamente il primo approccio con i clienti avveniva durante un funerale, visto che la maggioranza di esse di giorno lavorava come prefica e piangeva per morti sconosciuti.
Secondo il poeta romano Marziale erano i vedovi recenti ad essere attratti dalle bustuariae, per quel loro modo lugubre e lamentoso di gemere durante l’amplesso.
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