Chi era Spartacus?
Spartaco, il gladiatore ribelle.
Spartaco, ovvero Spartacus, (Tracia,
circa 109 a.c. – Lucania, 71 a.c.) fu un famoso gladiatore romano
che capeggiò una rivolta di schiavi, la più impegnativa delle
guerre servili che fece tremare Roma, per cui Spartacus è
soprannominato "lo schiavo che sfidò l'impero".
Plutarco
(46-125 d.c.), dopo più di un secolo, scrisse le ultime vicende di
Spartaco ma non precisò il luogo della morte del gladiatore ribelle.
Si dice che nascesse in Tracia nel 109 a.c. da un'umile famiglia di
pastori della tribù dei Maedi; fece il pastore come il padre ma
ridotto in miseria, oppure in cerca di fortuna, si arruolò
nell'esercito romano, con cui combatté in Macedonia col grado di
milite ausiliario.
Però il fatto non è certo, si sa che
veniva soprannominato il
Thraex, che però potrebbe
derivare dallo stile al quale era addestrato per i giochi
gladiatorii. Forse era un prigioniero di guerra. Fatto sta che la
dura disciplina cui era obbligato e magari la discriminazione in
quanto milite straniero lo spinsero a disertare, reato punibile
presso i Romani con la morte.
La condanna venne però cambiata in
schiavitù, forse a causa del fisico prestante. Nel 75 a.c., fu
venduto a Lentulo Battiato, un lanista (cioè organizzatore di
spettacoli circensi) che possedeva una scuola di gladiatori a Capua.
Ma spesso anche i prigionieri di guerra diventavano gladiatori.
Spartaco fu comunque obbligato a combattere contro belve feroci e
contro altri gladiatori.
Spartaco, esasperato dalle inumane
condizioni che Lentulo riservava a lui ed agli altri gladiatori,
decise di ribellarsi e nel 73 a.c. scappò dall'anfiteatro, seguito
da altri 70 gladiatori con cui fuggì verso il Vesuvio. Sembra si
impossessarono di attrezzi da cucina, e con questi si aprirono le
armerie della scuola, con armi e armature per gladiatori.
Gli
schiavi fuggiaschi furono capaci di sconfiggere un piccolo
contingente di truppe inviato da Capua, e si impadronirono
dell'equipaggiamento militare sottratto ai nemici aggiungendolo alle
loro armi da gladiatore. Le fonti si contraddicono riguardo i fatti
immediatamente successivi alla fuga, ma concordano sul saccheggio
della zona intorno a Capua, arruolando altri schiavi e
asserragliandosi in una posizione più difendibile sul Vesuvio.
Il
Senato di Roma inviò, in rapida successione, due pretori, prima Caio
Clodio Glabro e poi Publio Varinio, in Campania per reprimere la
rivolta. Glabro arruolò strada facendo, una legione improvvisata di
3000 soldati, fatta di uomini inesperti e non addestrati; infatti
Roma non possedette fino alla tarda Repubblica (con l'eccezione della
riforma militare di Caio Mario attuata nel 107 a.c.) un esercito
professionale permanente, bensì si arruolavano le legioni in
occasione delle campagne militari.
Va specificato che i patrizi Romani
quando c'era una minaccia ai confini si offrivano volontari,
soprattutto per il buon nome della loro gens, insomma per la gloria e
l'amor patrio. Servire la patria per ogni buon patrizio era un dovere
e un onore, per sé e per la sua famiglia. Però stavolta la rivolta
non sembrava una minaccia, nè appariva onorevole battersi con
gladiatori, schiavi e disertori, perchè di questi era costituito
l'esercito di Spartaco.
Nemmeno i plebei legionari, che non
avevano in questo caso prospettive di bottini di guerra, né speranze
di saccheggio, né di premio di congedo, presero la cosa sul serio,
per cui si arruolarono solo i disperati.
Quando Glabro cinse d’assedio la
posizione sulla quale si erano asserragliati Spartaco ed i suoi,
questi, profittando dell’oscurità, aggirarono l’accerchiamento
senza che le sentinelle romane se ne accorgessero, per cui riuscirono
a circondare l’accampamento romano e l’attaccarono, sterminando
gran parte dei legionari e facendo fuggire gli altri.
Si dice che
Spartaco e i suoi vincessero benché armati di soli attrezzi agricoli
di cui si erano impossessati nella caserma della scuola gladiatoria,
ma nella caserma c'era sempre una scorta di armi, come si è visto
dai mosaici, e non attrezzi agricoli, a parte i tridenti gladiatori.

La schiavitù nell'antica Roma forniva
una forza lavoro a bassissimo costo, elemento importante
nell'economia della Repubblica romana. Gli schiavi erano ottenuti con
l'acquisto da mercanti stranieri o delle popolazioni conquistate in
battaglia. A seguito delle guerre di conquista del II e I sec. a.c.,
decine o forse centinaia di migliaia di schiavi furono introdotti
come servi e artigiani, ma soprattutto nelle miniere e nelle colture
agricole della Sicilia e dell'Italia meridionale.
Solo una minima
parte erano schiavi provenienti dalla Grecia o da colonie greche
italiche che riuscivano, grazie alla loro cultura, a ottenere la
liberazione e a raggiungere una posizione sociale abbastanza elevata.
Nel resto d'Europa la cultura non esisteva e l'artigianato era
rozzo.
Gli schiavi, durante il periodo repubblicano, avevano un
trattamento duro, anche se l'uccisione di uno schiavo era un evento
raro, in quanto eliminazione di forza lavoro produttiva. Ma l'elevata
concentrazione e il trattamento oppressivo portò varie ribellioni.
Nel 135 a.c. e nel 104 a.c., scoppiarono la I e la II guerra servile
in Sicilia, dove bande di ribelli trovarono decine di migliaia di
seguaci. Sebbene fossero gravi sommosse e richiedessero anni di
interventi militari, non furono ritenute minacciose per la
Repubblica, come avvenne invece nella III guerra servile, quella
contro la rivolta di Spartacus. Floro e Appiano affermano che gli
schiavi si ritirarono sul Vesuvio, mentre Plutarco, nel racconto
dell'assedio dell'accampamento degli schiavi da parte di Glabro,
parla di una collina.
Lo storico romano Lucio Floro:
"La ribellione di Erdonio che
fece scorrere fiumi di sangue in mezzo alla stessa Roma; le inaudite
crudeltà che il fiero Ennio, fingendosi invaso dal Furor Divino ed
istruito ai misteri della Dea Siria, aveva esercitato nelle
principali Città della Sicilia, accompagnandosi a gente facinorosa
ed ad una folla di schiavi; la recente sollevazione di Arenione che,
con gli avanzi delle bande di Emo, aprì le prigioni di tutta l’isola
e formò un esercito così potente che sconfisse più volte i Pretori
e prese gli alloggi di Servilio; l’ammutinamento giornaliero degli
schiavi di Roma, che erano numerosissimi, risvegliarono l’attenzione
dei principali cittadini che reclamarono un Senato-consulto, che
ordinava sotto pene severe, l’imprigionamento dei medesimi nella
notte e le catene durante il giorno".
Di
certo però poterono usufruire delle armi da guerra e delle armature
dei soldati romani caduti. Spartaco fu eletto a capo dei ribelli
insieme ai galli Enomao e Crixus (detto anche Crisso o Crixio) e si
rifugiarono ai piedi del vulcano per riorganizzarsi, e aumentare le
proprie forze, accogliendo altri schiavi ed addestrandoli alla
battaglia.
Dunque presso il Vesuvio, Spartacus battè il pretore
Claudio e lo stesso Varino, che, come scrisse Sallustio, era arrivato
con 60000 uomini in soccorso di Claudio, senza averli potuto
impegnare in alcun combattimento contro Spartaco, che continuò a
combattere contro i consoli Gallio Publicola e Caio Lenzuolo
sbaragliandoli.

Il primo scontro, detto la "battaglia
del Vesuvio", fu vinto dai ribelli. Alla notizia del successo
militare accorsero tra le fila dell'esercito di Spartacus un enorme
numero degli schiavi fuggitivi, pastori e contadini poveri dei
dintorni del Vesuvio, sicché la cinta d’assedio posta intorno al
Vesuvio fu spezzata e più legioni romane finirono per essere
successivamente e nettamente sconfitte in Campania.
Il successo
militare più eclatante ottenuto dai rivoltosi fu quello conseguito
contro il pretore Publio Varinio ed i suoi legati propretori, Furio e
Cossinio: Spartaco non solo sconfisse i soldati, ma s'impadronì dei
cavalli, delle insegne delle legioni e dei fasci littori del
pretore.
Cossinio si fece cogliere di sorpresa mentre faceva il
bagno a Saline, una località tra Herculaneum e Pompei, e a stento
riuscì a salvarsi dal colpo di mano dei ribelli. Successivamente
dopo un inseguimento, Spartaco operò l’assalto finale nel quale
perirono moltissimi legionari e lo stesso legato.
Quindi, venne il
turno di Varinio, con parte dei legionari ammalata mentre la parte
superstite si era ammutinata, per l’incapacità militare di
Varinio, e per il duro trattamento ai soldati, che si vide costretto
ad inviare il questore Caio Toranio, al far rapporto al Senato sulle
operazioni.
Evidentemente, i consoli Gaio Cassio Longino e Marco
Terenzio Varrone Lucullo sottovalutarono il pericolo di Spartaco
permettendo così l’espandersi del conflitto, che causò molte
perdite umane ed economiche.
Accontentando i suoi compagni galli e
germani Spartacus fuggì verso il nord, dove, presso Modena, dove
batté anche il pretore Manlio, dopodichè decise di tornare al sud,
per arrivare in Sicilia e fuggire nella Tracia, sua patria. Per
tornare a sud, secondo Sallustio, con la guida di un certo loro
prigioniero Picentino, presero la via interna e sarebbero arrivati
sul Pollino, dato che, per la fonte sallustiana, passarono attraverso
la Naris Lucanas, (Nerulum Rotonda?), e, nella località Anni forum,
si dettero a saccheggi e stupri, senza che Spartaco riuscisse a
fermarli.
Intanto Spartaco marciò in direzione di Cuma, svernando
nel 73-72 a.c. indisturbati, anzi razziando tutte le campagne e le
cittadine, compiendo inutili massacri sulla popolazione, stuprando,
incendiando le case e depredando tutto. Ne conseguì infatti uno
svuotamento della Campania, la gente fuggì e si rifugiò altrove, i
più ricchi tornando alle domus della capitale, i più poveri
sparpagliandosi nelle campagne. Era come un'invasione di barbari.

Come scrisse ancora Plutarco, Spartaco
con i suoi seguaci aveva già raggiunto il Bruzio e aveva ingaggiato
i Cilici per fuggire in Sicilia e di là salpare nella sua Tracia.
Ma
i Cilici lo tradirono, intascarono il prezzo della fuga e lo
abbandonarono ai Romani, costringendolo ad accamparsi vicino Reggio,
bloccato da un vallo, che Grasso costruì sul vicino istmo
Jonio-Tirreno.
Egli e i suoi compagni, però, secondo Plutarco, in
una notte di bufera, evasero dall'accerchiamento e, secondo
Giordanelli, sul precedente esempio di Annibale, si diressero verso
Thurii, che nel 94 a.c. era diventata oppidum romano nonchè confine,
tra Bruzio e Lucania.
A Thurii, fu inseguito da Grasso ed egli di
nuovo fuggì al nord, per raggiungere la Campania che ormai
conosceva.
Il seme della discordia invase però il campo di
Spartaco: i ribelli Galli e Germani, capeggiati da Crisso ed Enomao,
volevano attaccare ancora le legioni romane, mentre Spartaco era
contrario. Si decise infine di estendere la rivolta anche a Sud della
Campania, occupando Calabria e Lucania, corrispondente oggi a quasi
tutta la Basilicata, esclusa la zona di Melfi, e gran parte
dell'attuale provincia di Salerno.
In queste zone, contro il
volere di Spartaco, i ribelli Galli e Germani si abbandonarono ad
ogni sorta di violenza, saccheggio, devastazione: villaggi bruciati,
donne stuprate e assassinate, bestiame depredato, sulla Campania si
era abbattuta una grande calamità. Tutti i tentativi di Spartaco
d’impedire questi eccidi furono vani, tanto che iniziò ad
attirarsi l’odio dei suoi stessi seguaci che ormai si sentivano
invincibili.

Nel 72 a.c. il Senato, seriamente
preoccupato, anche per l’indignazione popolare, deliberò che i
consoli di quell’anno, Lucio Gellio Publicola e Gneo Cornelio
Lentulo Clodiano schiacciassero la rivolta.
Crisso, con una
maggioranza di ribelli celti e germanici ai suoi ordini, scese in
Apulia (Puglia), ma qui fu sconfitto da Publicola nella "Battaglia
del Gargano".
L'esito fu così disastroso che Quinto Avio, il
propretore di Gellio, riuscì assolutamente indisturbato ad uccidere
Crisso con un pugnale.
Spartaco invece riuscì a battere
nuovamente le truppe romane, composte da due eserciti comandati dai
consoli Lucio Gellio Publicola e Gneo Cornelio Lentulo Clodiano, uno
di qua e uno di là dell'Appennino.
L'esercito comandato dal
console Clodiano Lentulo, nel tentativo di sbarrare il passo agli
insorti, sarebbe stato sconfitto nel 72 sull'Appenino tosco-emiliano.
Spartaco ebbe la meglio anche sul governatore della Gallia cisalpina,
il proconsole Caio Cassio Longino Varo, che gli venne incontro nei
pressi di Mutina (Modena) con un esercito di 10.000 uomini, ma fu
letteralmente sbaragliato ed a stento si salvò, dopo un’enorme
strage di legionari romani.
A questo punto Spartaco guidò le sue
truppe verso la Lucania e si fermò nei pressi di Turi, ove riarmò
il suo esercito, alimentandolo con le razzie ed i saccheggi e si
scontrò nuovamente con i Romani che furono ancora una volta
sconfitti.
Stavolta i Romani, sgomenti per i successi dei
rivoltosi e temendo che si dirigessero a Roma, premettero sul Senato.
Nel dicembre nel 72 a.c., proprio mentre Spartaco tornava in Lucania,
il Senato diede al proconsole Marco Licinio Crasso l'incarico di
reprimere la rivolta con 6 legioni, ma questi ne pretese 8.

Crasso mosse contro Spartaco con sei
legioni, cui si aggiunsero le altre due consolari ripetutamente
sconfitte, che le fonti, però, riferiscono essere state decimate dal
loro stesso nuovo comandante.
Infatti, si narra che, venuto a
battaglia con l’esercito di Spartaco, Crasso sia stato sconfitto e
per punizione abbia ordinato la decimazione delle legioni consolari
fino a uccidere ben 4.000 legionari giustiziati con il sistema della
verberatio (a bastonate) per la codardia mostrata nei confronti del
nemico. Crasso resterà nella storia per la sua crudele barbarie.
Un
eccidio di massa così non si era mai verificato, ma Crasso doveva
vincere prima che arrivassero le truppe di Mario, il suo principale
nemico politico, nonchè valentissimo generale, che si sarebbe
accaparrato il merito della vittoria.
Si dice che il vero
responsabile della sconfitta sia stato un amico di Crasso, Mummio,
che, insieme ad altri nobili, si era posto agli ordini del
proconsole, per mettersi in luce nelle campagne politiche, ma che
disobbedì agli ordini ed attaccò Spartaco, da cui venne sconfitto.
Con l'uso della verberatio Crasso si guadagnò più di Spartaco la
paura dei suoi uomini, ristabilendo, in questo modo sanguinario, la
disciplina e la fedeltà delle truppe.
Spartaco decise allora di
sbarcare in Sicilia in modo tale da unirsi a una rivolta di schiavi,
indipendente dalla sua, che si stava svolgendo in quel momento in
Trinacria. Tuttavia, a causa del tradimento di alcuni pirati cilici,
che si misero d'accordo con il famigerato governatore della Sicilia
Verre, fu costretto a rimanere fermo, poiché il tentativo di
traversare lo stretto con zattere improvvisate fallì, anche perché
Verre aveva nel frattempo fortificato le coste nei pressi di
Messina.
Crasso ordinò allora la creazione di un vallum, un
grande muro nella parte più stretta che separava il mar Ionio dal
mar Tirreno, in prossimità dell'istmo di Catanzaro, protetto da un
fossato molto largo e profondo, che, tagliando da mare a mare la
Calabria bloccasse sia Spartaco che i rifornimenti alle sue
truppe.
Infatti Spartaco riceveva aiuto da briganti, schiavi
fuggitivi e disertori, ma non dai contadini o dagli abitanti delle
città atterriti dalle sue imprese. Tuttavia, Spartaco, dopo una
serie di tentennamenti, poiché in campo aperto si sentiva più
vulnerabile all’esercito romano, decise di forzare il blocco,
facendo traversare le truppe in un punto in cui era riuscito a
demolire le difese.

Rotto il blocco Spartaco si diresse
verso l’Apulia, forse per salpare alla volta della Tracia, secondo
altri perché voleva far insorgere gli schiavi di quella regione.
Allora Crasso lo attaccò alle spalle, ma egli riuscì inizialmente a
sconfiggerlo nella "battaglia di Petilia" nel 71
a.c..
Tuttavia i rivoltosi di Spartaco erano stanchi, mentre
l'esercito romano era ora numeroso e ben armato, così dovette
fuggire verso Brindisi, e poi verso la Lucania. Due suoi ex alleati,
Castro e Giaunico, vollero invece muovere battaglia da soli contro i
romani, finendo annientati. I rivoltosi traversarono così la piana
del metapontino, oggi nella provincia di Matera, dove raccolsero
altri combattenti, come racconta Plutarco: “molti mandriani e
pastori della regione che, gente giovane e robusta, si unirono ad
essi”, col permesso di uccidere e saccheggiare molti insediamenti,
tra cui Heraclea (Policoro), e Metapontum (Metaponto), dove Spartacus
si incontrò col pirata cilicio Tigrane per organizzare l'imbarco da
Brindisi verso la Cilicia, e da cui fu invece tradito.
Temendo
l'arrivo delle truppe di Pompeo e di Marco Terenzio Varrone Lucullo
proconsole di Macedonia mise le ali a Crasso, che voleva tutta per sé
la gloria dell’impresa, anche perché a Roma i suoi lunghi tempi
erano molto contestati.
Presso il fiume Sele ci fu lo scontro
finale, preceduta da numerosi e cruenti scontri, ma prima di questa
battaglia Spartaco uccise il suo cavallo dicendo che se avesse vinto
avrebbe avuto tutti i cavalli che voleva ma se avesse perso non
voleva essere tentato di scappare.
Vennero uccisi ben 60.000
schiavi contro solo 1.000 morti romani, e vennero fatti ben 6.000
prigionieri.
Spartaco si buttò per primo contro di loro e dopo
aver ucciso alcuni soldati romani fu crivellato da così tanti colpi
che il suo corpo non poté essere ritrovato. Crasso fece
crocifiggere, nudi, lungo la via Appia da Capua a Roma tutti i 6000
prigionieri, ma non Spartaco, perchè già morto.
Altri reparti
dell'esercito ribelle, circa 5.000 uomini, tentarono la fuga verso
nord, ma vennero intercettati e annientati da Gneo Pompeo, che
sopraggiungeva con le sue truppe dall’Hispania. Terminava così la
rivolta di Spartaco. Rimasero ancora alcuni seguaci di Spartaco
scampati, ma nel 61 a.c. il propretore Ottavio, mentre si recava in
Macedonia, annientò gli ultimi ribelli di Spartaco e di Lucio Sergio
Catilina che si erano rifugiati a Turi.
Spartaco secondo alcuni
storici era alto, bello, intelligente, gentile e carismatico, un
personaggio leggendario, un emblema dell'eroe idealista capace di
lottare in nome della libertà e di sconfiggere i più forti eserciti
del mondo grazie al cuore e allo slancio ideale.
La sua ribellione
fu citata dal poeta latino Claudiano, quasi cinque secoli dopo i
fatti, nel poema: De bello Gothico, accostando la debolezza dei
Romani del V sec. alla ignominiosa sconfitta delle forze romane per
opera dello schiavo Spartaco.
Spartaco fu un coraggioso e un buon
combattente, magari anche un intollerante verso qualsiasi autorità,
visto che si ribellò all'esercito e poi alla scuola gladiatoria. Non
conosciamo la verità. Di certo sappiamo che uomini liberi
sceglievano volontariamente la scuola gladiatoria per la gloria e i
soldi, e altrettanto nell'esercito.
Ma
non sappiamo quanto fu intolleranza e quanto fu invece reale
maltrattamento, di certo fece agli altri peggio di quanto avesse
ricevuto, anche se si ritiene che non fosse d'accordo nei saccheggi,
uccisioni e stupri, però inevitabili, visto che non c'era lo stato a
inviargli le scorte per il suo esercito. Doveva razziare ovunque e
stroncare ogni tentativo di difesa.
Di certo fu eretto a esempio
di ribellione al potere, ma il suo esercito applicò un potere anche
peggiore sulla popolazione che incontrò.
Sallustio nel suo III
libro delle Historie descrive, oltre alla guerra contro Mitridate e
la fine della guerra contro Sertorio, anche la rivolta di Spartaco e
Crixus, molto dettagliata, a volte ora per ora, il che dimostra
l'importanza di un evento che comunque durò circa tre anni:

"Spartaco, lungi dall'esaltarsi
per i suoi successi, si preoccupò seriamente di disciplinare la
rivolta di cui era a capo. Così promulgò leggi e regole tendenti a
mantenere l'ordine di quella folle compagnia che l'aveva scelto come
capo. Queste leggi riguardavano all'inizio solo la Lucania, da cui i
fuggitivi erano pervenuti in numero maggiore, ma vedendo poi affluire
nel suo campo gli schiavi dell'Etruria e della Gallia cisalpina,
Spartaco estese queste regole a tutti i fuggitivi galli, latini ed
etruschi che entravano nelle sue file. Per porre fine alla cupidigia
degli schiavi stabilì che nel suo campo, alcun soldato, nè altri
facenti funzione, vi introdurrà alcun materiale d'oro o
d'argento.
Costituiti gli eserciti di leva, Gelliuo e Lentuluo
marciano contro i fuggitivi. Spartaco, fedele al suo sistema di
accortezza, non si preoccupa che della ritirata verso le Alpi; ma il
capo dei galli, Crixus, enfatizzato dal successo al punto di non
potersi contenere, mirava alla conquista di Roma. I suoi compatrioti
sostennero la sua presunzione.Così i fuggitivi iniziarono a non
essere più d'accordo tra loro, e a non tenere più un consiglio
comune. Gli animi di tutti sono impotenti a dirimere i dissidi o a
fare consultazioni. La divisione diventò più marcata tra loro
quando si sa della presenza dei due consoli armati contro di
loro.
Così questi fuggitivi. tutti d'accordo a sostenere la
lotta, erano sul punto di formare una sedizione. Crixo e quelli della
sua nazione, Galli e Germani, s'ostinavano ad andare contro il nemico
ed offrirgli battaglia; Spartaco, al contrario, voleva continuare il
suo cammino per eseguire il suo piano. Gellio intanto era avanzato
lungo l'Appennino. Crixo, alla testa dei suoi ventimila germani e
galli, marciò avanti a lui dalla lucania e Apulia, guadagnando il
territorio dei sanniti. Lì in questa circostanza, il valore
impetuoso dei galli gli procurarono un vantaggio di cui non seppe
approfittare. Avendo respinto i romani che abbandonarono il campo, i
barbari vi entrarono dentro, ma non osarono conquistarlo interamente
durante la notte.Tornati al campo l'indomani, essi trovarono una
quantità di cose che nella precipitazione i romani avevano lasciato,
vino e cibo che li invitano lietamente, così di diedero a bere e a
mangiare, si che furono sorpresi dalle legioni agli ordini del
pretore Arrius, che li distrusse totalmente. Crίxo fu ucciso mentre
tentava, con colpi di valore, di riparare alla sua colpa
Intanto
Spartaco diresse la sua marcia lungo gli Appennini e qui, lungo
l'Éruria, trovò il console Lentulo a bloccargli il passaggio.
Risolse di forzare prima che venisse operata la congiunzione di
Lentulo con Gellio. Fece dunque accelerare le legioni, per monti e
per valle ma Lentulo, aspettando il suo collega più giovane, non
acettò la battaglia. Intanto Gellio si avvicinava.
Nonostante gli
ostacoli e le trincee, Spartacus arrestò la marcia del suo
avversario come era già accaduto in vista delle legioni di Lentulo,
poi lo attaccò impetuosamente.
Nello stesso tempo Lentulo, che,
con un fronte doppio aveva versato molto sangue dei suoi sul luogo
dello sbarco di Enea, aveva nella difesa, ~ quale sarcasmo - dovuto
difendere la sua posizione su un altura, senza aver potuto scegliere
e cominciando a scorgere all'imbocco della valle, le coorti dei
veterani romani, e i manti rossi sui bagagli del collega, non esitò
a lasciare le colline per accelerare il ricongiungimento col suo
collega; ma ciò porta a Sparacus una vittoria più facile e più
completa, a seguito della quale, per onorare i Mani di Crixus, forzò
per coprire la vergogna, 400 prigionieri romani a combattere come
gladiatori intorno al loro capo. E nonostante questo dolce risultato,
Spartaco, sempre lontano da qualsiasi presunzione.."
Appare
evidente che Sallustio tiene per Spartaco se non per la sua fazione.
Non ha gli stessi elogi per Crixo che ritiene giustamente esaltato e
imprudente, anche se al momento della morte gli riconosce un certo
valore. Ma di Spartaco riconosce l'avvedutezza, la prudenza,
l'intelligenza, la modestia, il senso pratico, la strategia bellica,
il coraggio, il valore e la capacità di prevedere le cose. Spartaco
è per Sallustio un eroe incompreso, valoroso e audace che deve però
soccombere perchè odiato e temuto dai nemici ma pure inascoltato
dagli amici.