venerdì 30 aprile 2021

Quali erano i punti deboli di Sparta


Ne avevano una marea.
  • Pochi numeri: i veri spartiati erano una parte ristretta della società, e spesso dovettero usare schiavi o residenti stranieri come fanteria leggera per colmare i vuoti nelle loro linee. L'esercito più grande mai schierato da Sparta era formato da 10.000 uomini.
  • Schiavitù: gli spartani erano brutali con i loro schiavi, e per questo il rischio di ribellione era alto. Un buon numero di spartani doveva sempre restare indietro per tenerli sotto controllo.
  • Pessimi negli assedi: gli spartani credevano nella retorica dell'incontrare il proprio avversario in campo aperto. Sparta era praticamente un villaggio privo di difese, e le loro conscenze di ingegneria erano basilari (per essere generosi).
  • Esercito sbilanciato: gli spartani erano ossessionati con la loro fanteria, e per questo trascurarono le altre armi. Schermagliatori e cavalleria erano al limite della decenza.
  • Inflessibili: gli spartani erano fermamente convinti che i loro metodi fossero i migliori, e per questo non riuscirono ad adattarsi, fecero sempre affidamento sulle stesse formazioni e le stesse tattiche. Ciò andava bene contro le altre polis, che schieravano eserciti composti da milizie cittadine, ma contro un nemico con un minimo di creatività gli spartani furono massacrati. Ci furono battaglie in cui gli spartani affrontarono nemici peggio armati ed addestrati, ma furono brutalmente sconfitti semplicemente perchè gli avversari non seguirono le loro regole (i tebani sono l'esempio più famoso).
  • Erano incapaci di assediare (Atene eresse le Lunghe Mura durante la Guerra del Peloponneso sapendo quanto Sparta fosse debole nelle guerre d'assedio).
  • Non bilanciavano il settore militare. Concentrarsi solo sull'esercito significa avere una marina militare debole: "Durante le Guerre Persiane contribuirono con una piccola marina di 20 triremi." (Settore militare Spartano). Questo per tutta la guerra non solo una singola battaglia. "La marina militare Ateniese era composta da 80 000 uomini e 400 navi." (Settore militare Ateniese). Gli Ateniesi erano la comparabile forza Greca, però Sparta contribuì con la quantità di navi che una piccola città-stato avrebbe fornito. Osservando Megara, che contribuì con 20 navi nella Battaglia di Salamina nelle Guerre Persiane. Vedete se riuscite a notarlo nella mappa. E poi osservate Sparta. Sparta, molto più grande, contribuì con 16 navi.


  • In più, Sparta non usò la cavalleria o adattò la falange. Tuttavia si può dire lo stesso per la maggior parte delle città-stato, poiché i Greci seguirono la formazione a falange fino al suo superamento.
  • Gli Iloti.
Gli Iloti costituivano il ceto più basso della società, che si occupava di tutti i lavori che gli Spartani non volevano fare. Quest'ultimi si dedicavano così tanto al combattimento che non facevano letteralmente nient'altro. Quindi questo gruppo di schiavi era responsabile di tutti gli altri lavori. Tuttavia, gli Iloti non gradirono mai gli Spartani, quindi Sparta aveva sempre il timore di combattere fuori casa, perché gli Iloti avrebbero potuto prendere il sopravvento mentre l'esercito era assente. È accaduto in particolare durante il terremoto nel 464 a.C. in cui gli Iloti si ribellarono infliggendo pesanti danni. E accadde quando gli Spartani erano lì presenti. Di conseguenza, nelle Guerre Persiane, Sparta volle difendere l'Istmo di Corinto, e non l'Attica (il territorio in cui si trovava Atene) e dovette essere minacciato dagli Ateniesi più volte con il tradimento prima che potessero aiutare.
  • Gli spartani erano ottimi guerrieri, ma pessimi soldati.







giovedì 29 aprile 2021

Come appariva fisicamente Alessandro Magno


Alessandro era piuttosto basso, tozzo e di corporatura robusta, il suo corpo era segnato da tantissime cicatrici frutto della sua vita da militare ardua sin da giovanissimo e anche dalla sua forse eccessiva sicurezza di sé stesso che lo portava ad attaccare gli avversari, in particolare anche i comandanti e Re, cercando di sfondare direttamente davanti a loro. Era mancino ed era affetto da eterocromia, aveva cioè gli occhi di colore diverso (uno azzurro e l'altro marrone, o forse nero), e la sua voce ci viene descritta come aspra.


Portava sempre il collo leggermente inclinato verso sinistra e soffriva di alcune malformazioni congenite che, alcuni storici affermano, potrebbero in parte aver contribuito alla sua morte.
Aveva i capelli ispidi e rossicci, sebbene tendesse spesso a tingerli di biondo utilizzando una mistura di fiori di zafferano e acqua di potassio, trattandoli poi con profumi, incenso e mirra. Aveva l'usanza di radersi il volto anche passata la giovane età (cosa piuttosto inusuale tra i greci del suo tempo), probabilmente a causa del fatto che gliene crescesse molto poca; per non sfigurare in mezzo ai suoi dignitari, indusse anche loro a non portarla.
L'immagine di Alessandro è stata immortalata da molti artisti suoi contemporanei, della cui opera non rimangono, purtroppo, che copie e descrizioni. Il famoso scultore Lisippo fu nominato scultore di corte da Alessandro stesso, e ritrasse il grande conquistatore in numerose statue.


Pirgotele fu invece l'unico autorizzato dallo stesso Alessandro a scolpire la propria immagine sui sigilli e sulle pietre dure.


Sappiamo anche che il pittore Apelle immortalò su grandi tavole lignee numerose effigi e scene di battaglia che ebbero Alessandro come protagonista.
Secondo Aristosseno di Taranto, apprendista di Aristotele, il corpo di Alessandro emanava un profumo gradevole, che secondo alcune fonti conservò a lungo anche dopo la morte.
Lo scrittore Ateneo di Naucrati sottolineava la sua abitudine al bere e all'ubriacarsi.
Sappiamo inoltre da Plutarco che Alessandro, almeno a partire dalla Battaglia di Gaugamela, usava indossare in battaglia la linothorax, la corazza multi-strato di lino in uso alla fanteria leggera e alla cavalleria, invece della classica corazza oplitica di bronzo, molto più pesante e meno resistente alla penetrazione delle frecce (gli strati di lino sovrapposti della linothorax resistono maggiormente della sottile lamina di bronzo). In alcuni mosaici che ci sono pervenuti, Alessandro è raffigurato proprio mentre indossa questo tipo di abbigliamento.


Esiste una sua recentissima Statua a Skopje, nonostante ufficialmente per motivi di Copyright sulla proprietà intellettuale di Alessandro Magno non si possa mettere il suo nome sulla statua, dato che i Greci dicono di detenere questa proprietà intellettuale rispetto alla Macedonia del Nord.





mercoledì 28 aprile 2021

Che effetto aveva il lancio dei pilum delle legioni romane contro l'esercito avversario nelle prime fasi della battaglia




Il pilum in battaglia veniva lanciato prima dell'impatto delle prime file dei 2 schieramenti, quando si trovavano a 10–25 metri di distanza, per creare scompiglio e smorzare l'impatto della carica nemica.


Questa pioggia di poiettili oltre a causare molte vittime, a volte costringeva gli avversari a sbarazzarsi degli scudi, lasciandoli senza difese. Nel caso in cui ci si fosse conficcato infatti, si piegava nell'impatto e li rendeva pesanti e scomodi da utilizzare.


martedì 27 aprile 2021

Chi avrebbe vinto una guerra tra l'Impero Romano e quello Ottomano all'apice della loro potenza


La tecnologia è sopraffatta.
L'impero romano al suo apice era famoso per le sue legioni disciplinate, coperte da cavalleria e sostenute da ausiliari.


L'Impero Ottomano al suo apice usava spari di massa, tiro con l'arco a cavallo e artiglieria pesante.


Oppure, se non guardiamo al picco del territorio, ma alla pura potenza militare oggettiva, l'Impero ottomano combatté nella prima guerra mondiale e, in termini oggettivi, la sua potenza militare nella prima guerra mondiale fu molto maggiore che nella sua altezza nel 1600.


Quindi anche rispetto all'Impero Romano d'Oriente, che è sopravvissuto più a lungo e ha avuto accesso a una tecnologia migliore dell'Impero Romano.
Ancora una volta per quanto riguarda questi tipi di domande:
Il divario tecnologico è importante. UN SACCO.
Soprattutto quando si pensa in diverse centinaia di anni.


lunedì 26 aprile 2021

Chi era Spartacus?


Chi era Spartacus?


Spartaco, il gladiatore ribelle.


Spartaco, ovvero Spartacus, (Tracia, circa 109 a.c. – Lucania, 71 a.c.) fu un famoso gladiatore romano che capeggiò una rivolta di schiavi, la più impegnativa delle guerre servili che fece tremare Roma, per cui Spartacus è soprannominato "lo schiavo che sfidò l'impero".
Plutarco (46-125 d.c.), dopo più di un secolo, scrisse le ultime vicende di Spartaco ma non precisò il luogo della morte del gladiatore ribelle. Si dice che nascesse in Tracia nel 109 a.c. da un'umile famiglia di pastori della tribù dei Maedi; fece il pastore come il padre ma ridotto in miseria, oppure in cerca di fortuna, si arruolò nell'esercito romano, con cui combatté in Macedonia col grado di milite ausiliario.
Però il fatto non è certo, si sa che veniva soprannominato il Thraex, che però potrebbe derivare dallo stile al quale era addestrato per i giochi gladiatorii. Forse era un prigioniero di guerra. Fatto sta che la dura disciplina cui era obbligato e magari la discriminazione in quanto milite straniero lo spinsero a disertare, reato punibile presso i Romani con la morte.
La condanna venne però cambiata in schiavitù, forse a causa del fisico prestante. Nel 75 a.c., fu venduto a Lentulo Battiato, un lanista (cioè organizzatore di spettacoli circensi) che possedeva una scuola di gladiatori a Capua. Ma spesso anche i prigionieri di guerra diventavano gladiatori. Spartaco fu comunque obbligato a combattere contro belve feroci e contro altri gladiatori.
Spartaco, esasperato dalle inumane condizioni che Lentulo riservava a lui ed agli altri gladiatori, decise di ribellarsi e nel 73 a.c. scappò dall'anfiteatro, seguito da altri 70 gladiatori con cui fuggì verso il Vesuvio. Sembra si impossessarono di attrezzi da cucina, e con questi si aprirono le armerie della scuola, con armi e armature per gladiatori.
Gli schiavi fuggiaschi furono capaci di sconfiggere un piccolo contingente di truppe inviato da Capua, e si impadronirono dell'equipaggiamento militare sottratto ai nemici aggiungendolo alle loro armi da gladiatore. Le fonti si contraddicono riguardo i fatti immediatamente successivi alla fuga, ma concordano sul saccheggio della zona intorno a Capua, arruolando altri schiavi e asserragliandosi in una posizione più difendibile sul Vesuvio.
Il Senato di Roma inviò, in rapida successione, due pretori, prima Caio Clodio Glabro e poi Publio Varinio, in Campania per reprimere la rivolta. Glabro arruolò strada facendo, una legione improvvisata di 3000 soldati, fatta di uomini inesperti e non addestrati; infatti Roma non possedette fino alla tarda Repubblica (con l'eccezione della riforma militare di Caio Mario attuata nel 107 a.c.) un esercito professionale permanente, bensì si arruolavano le legioni in occasione delle campagne militari.
Va specificato che i patrizi Romani quando c'era una minaccia ai confini si offrivano volontari, soprattutto per il buon nome della loro gens, insomma per la gloria e l'amor patrio. Servire la patria per ogni buon patrizio era un dovere e un onore, per sé e per la sua famiglia. Però stavolta la rivolta non sembrava una minaccia, nè appariva onorevole battersi con gladiatori, schiavi e disertori, perchè di questi era costituito l'esercito di Spartaco.
Nemmeno i plebei legionari, che non avevano in questo caso prospettive di bottini di guerra, né speranze di saccheggio, né di premio di congedo, presero la cosa sul serio, per cui si arruolarono solo i disperati.
Quando Glabro cinse d’assedio la posizione sulla quale si erano asserragliati Spartaco ed i suoi, questi, profittando dell’oscurità, aggirarono l’accerchiamento senza che le sentinelle romane se ne accorgessero, per cui riuscirono a circondare l’accampamento romano e l’attaccarono, sterminando gran parte dei legionari e facendo fuggire gli altri.
Si dice che Spartaco e i suoi vincessero benché armati di soli attrezzi agricoli di cui si erano impossessati nella caserma della scuola gladiatoria, ma nella caserma c'era sempre una scorta di armi, come si è visto dai mosaici, e non attrezzi agricoli, a parte i tridenti gladiatori.


La schiavitù nell'antica Roma forniva una forza lavoro a bassissimo costo, elemento importante nell'economia della Repubblica romana. Gli schiavi erano ottenuti con l'acquisto da mercanti stranieri o delle popolazioni conquistate in battaglia. A seguito delle guerre di conquista del II e I sec. a.c., decine o forse centinaia di migliaia di schiavi furono introdotti come servi e artigiani, ma soprattutto nelle miniere e nelle colture agricole della Sicilia e dell'Italia meridionale.
Solo una minima parte erano schiavi provenienti dalla Grecia o da colonie greche italiche che riuscivano, grazie alla loro cultura, a ottenere la liberazione e a raggiungere una posizione sociale abbastanza elevata. Nel resto d'Europa la cultura non esisteva e l'artigianato era rozzo.
Gli schiavi, durante il periodo repubblicano, avevano un trattamento duro, anche se l'uccisione di uno schiavo era un evento raro, in quanto eliminazione di forza lavoro produttiva. Ma l'elevata concentrazione e il trattamento oppressivo portò varie ribellioni. Nel 135 a.c. e nel 104 a.c., scoppiarono la I e la II guerra servile in Sicilia, dove bande di ribelli trovarono decine di migliaia di seguaci. Sebbene fossero gravi sommosse e richiedessero anni di interventi militari, non furono ritenute minacciose per la Repubblica, come avvenne invece nella III guerra servile, quella contro la rivolta di Spartacus. Floro e Appiano affermano che gli schiavi si ritirarono sul Vesuvio, mentre Plutarco, nel racconto dell'assedio dell'accampamento degli schiavi da parte di Glabro, parla di una collina.
Lo storico romano Lucio Floro:
"La ribellione di Erdonio che fece scorrere fiumi di sangue in mezzo alla stessa Roma; le inaudite crudeltà che il fiero Ennio, fingendosi invaso dal Furor Divino ed istruito ai misteri della Dea Siria, aveva esercitato nelle principali Città della Sicilia, accompagnandosi a gente facinorosa ed ad una folla di schiavi; la recente sollevazione di Arenione che, con gli avanzi delle bande di Emo, aprì le prigioni di tutta l’isola e formò un esercito così potente che sconfisse più volte i Pretori e prese gli alloggi di Servilio; l’ammutinamento giornaliero degli schiavi di Roma, che erano numerosissimi, risvegliarono l’attenzione dei principali cittadini che reclamarono un Senato-consulto, che ordinava sotto pene severe, l’imprigionamento dei medesimi nella notte e le catene durante il giorno".
Di certo però poterono usufruire delle armi da guerra e delle armature dei soldati romani caduti. Spartaco fu eletto a capo dei ribelli insieme ai galli Enomao e Crixus (detto anche Crisso o Crixio) e si rifugiarono ai piedi del vulcano per riorganizzarsi, e aumentare le proprie forze, accogliendo altri schiavi ed addestrandoli alla battaglia.
Dunque presso il Vesuvio, Spartacus battè il pretore Claudio e lo stesso Varino, che, come scrisse Sallustio, era arrivato con 60000 uomini in soccorso di Claudio, senza averli potuto impegnare in alcun combattimento contro Spartaco, che continuò a combattere contro i consoli Gallio Publicola e Caio Lenzuolo sbaragliandoli.


Il primo scontro, detto la "battaglia del Vesuvio", fu vinto dai ribelli. Alla notizia del successo militare accorsero tra le fila dell'esercito di Spartacus un enorme numero degli schiavi fuggitivi, pastori e contadini poveri dei dintorni del Vesuvio, sicché la cinta d’assedio posta intorno al Vesuvio fu spezzata e più legioni romane finirono per essere successivamente e nettamente sconfitte in Campania.
Il successo militare più eclatante ottenuto dai rivoltosi fu quello conseguito contro il pretore Publio Varinio ed i suoi legati propretori, Furio e Cossinio: Spartaco non solo sconfisse i soldati, ma s'impadronì dei cavalli, delle insegne delle legioni e dei fasci littori del pretore.
Cossinio si fece cogliere di sorpresa mentre faceva il bagno a Saline, una località tra Herculaneum e Pompei, e a stento riuscì a salvarsi dal colpo di mano dei ribelli. Successivamente dopo un inseguimento, Spartaco operò l’assalto finale nel quale perirono moltissimi legionari e lo stesso legato.
Quindi, venne il turno di Varinio, con parte dei legionari ammalata mentre la parte superstite si era ammutinata, per l’incapacità militare di Varinio, e per il duro trattamento ai soldati, che si vide costretto ad inviare il questore Caio Toranio, al far rapporto al Senato sulle operazioni.
Evidentemente, i consoli Gaio Cassio Longino e Marco Terenzio Varrone Lucullo sottovalutarono il pericolo di Spartaco permettendo così l’espandersi del conflitto, che causò molte perdite umane ed economiche.
Accontentando i suoi compagni galli e germani Spartacus fuggì verso il nord, dove, presso Modena, dove batté anche il pretore Manlio, dopodichè decise di tornare al sud, per arrivare in Sicilia e fuggire nella Tracia, sua patria. Per tornare a sud, secondo Sallustio, con la guida di un certo loro prigioniero Picentino, presero la via interna e sarebbero arrivati sul Pollino, dato che, per la fonte sallustiana, passarono attraverso la Naris Lucanas, (Nerulum Rotonda?), e, nella località Anni forum, si dettero a saccheggi e stupri, senza che Spartaco riuscisse a fermarli.
Intanto Spartaco marciò in direzione di Cuma, svernando nel 73-72 a.c. indisturbati, anzi razziando tutte le campagne e le cittadine, compiendo inutili massacri sulla popolazione, stuprando, incendiando le case e depredando tutto. Ne conseguì infatti uno svuotamento della Campania, la gente fuggì e si rifugiò altrove, i più ricchi tornando alle domus della capitale, i più poveri sparpagliandosi nelle campagne. Era come un'invasione di barbari.


Come scrisse ancora Plutarco, Spartaco con i suoi seguaci aveva già raggiunto il Bruzio e aveva ingaggiato i Cilici per fuggire in Sicilia e di là salpare nella sua Tracia.
Ma i Cilici lo tradirono, intascarono il prezzo della fuga e lo abbandonarono ai Romani, costringendolo ad accamparsi vicino Reggio, bloccato da un vallo, che Grasso costruì sul vicino istmo Jonio-Tirreno.
Egli e i suoi compagni, però, secondo Plutarco, in una notte di bufera, evasero dall'accerchiamento e, secondo Giordanelli, sul precedente esempio di Annibale, si diressero verso Thurii, che nel 94 a.c. era diventata oppidum romano nonchè confine, tra Bruzio e Lucania.
A Thurii, fu inseguito da Grasso ed egli di nuovo fuggì al nord, per raggiungere la Campania che ormai conosceva.
Il seme della discordia invase però il campo di Spartaco: i ribelli Galli e Germani, capeggiati da Crisso ed Enomao, volevano attaccare ancora le legioni romane, mentre Spartaco era contrario. Si decise infine di estendere la rivolta anche a Sud della Campania, occupando Calabria e Lucania, corrispondente oggi a quasi tutta la Basilicata, esclusa la zona di Melfi, e gran parte dell'attuale provincia di Salerno.
In queste zone, contro il volere di Spartaco, i ribelli Galli e Germani si abbandonarono ad ogni sorta di violenza, saccheggio, devastazione: villaggi bruciati, donne stuprate e assassinate, bestiame depredato, sulla Campania si era abbattuta una grande calamità. Tutti i tentativi di Spartaco d’impedire questi eccidi furono vani, tanto che iniziò ad attirarsi l’odio dei suoi stessi seguaci che ormai si sentivano invincibili.


Nel 72 a.c. il Senato, seriamente preoccupato, anche per l’indignazione popolare, deliberò che i consoli di quell’anno, Lucio Gellio Publicola e Gneo Cornelio Lentulo Clodiano schiacciassero la rivolta.
Crisso, con una maggioranza di ribelli celti e germanici ai suoi ordini, scese in Apulia (Puglia), ma qui fu sconfitto da Publicola nella "Battaglia del Gargano".
L'esito fu così disastroso che Quinto Avio, il propretore di Gellio, riuscì assolutamente indisturbato ad uccidere Crisso con un pugnale.
Spartaco invece riuscì a battere nuovamente le truppe romane, composte da due eserciti comandati dai consoli Lucio Gellio Publicola e Gneo Cornelio Lentulo Clodiano, uno di qua e uno di là dell'Appennino.
L'esercito comandato dal console Clodiano Lentulo, nel tentativo di sbarrare il passo agli insorti, sarebbe stato sconfitto nel 72 sull'Appenino tosco-emiliano. Spartaco ebbe la meglio anche sul governatore della Gallia cisalpina, il proconsole Caio Cassio Longino Varo, che gli venne incontro nei pressi di Mutina (Modena) con un esercito di 10.000 uomini, ma fu letteralmente sbaragliato ed a stento si salvò, dopo un’enorme strage di legionari romani.
A questo punto Spartaco guidò le sue truppe verso la Lucania e si fermò nei pressi di Turi, ove riarmò il suo esercito, alimentandolo con le razzie ed i saccheggi e si scontrò nuovamente con i Romani che furono ancora una volta sconfitti.
Stavolta i Romani, sgomenti per i successi dei rivoltosi e temendo che si dirigessero a Roma, premettero sul Senato. Nel dicembre nel 72 a.c., proprio mentre Spartaco tornava in Lucania, il Senato diede al proconsole Marco Licinio Crasso l'incarico di reprimere la rivolta con 6 legioni, ma questi ne pretese 8.


Crasso mosse contro Spartaco con sei legioni, cui si aggiunsero le altre due consolari ripetutamente sconfitte, che le fonti, però, riferiscono essere state decimate dal loro stesso nuovo comandante.
Infatti, si narra che, venuto a battaglia con l’esercito di Spartaco, Crasso sia stato sconfitto e per punizione abbia ordinato la decimazione delle legioni consolari fino a uccidere ben 4.000 legionari giustiziati con il sistema della verberatio (a bastonate) per la codardia mostrata nei confronti del nemico. Crasso resterà nella storia per la sua crudele barbarie.
Un eccidio di massa così non si era mai verificato, ma Crasso doveva vincere prima che arrivassero le truppe di Mario, il suo principale nemico politico, nonchè valentissimo generale, che si sarebbe accaparrato il merito della vittoria.
Si dice che il vero responsabile della sconfitta sia stato un amico di Crasso, Mummio, che, insieme ad altri nobili, si era posto agli ordini del proconsole, per mettersi in luce nelle campagne politiche, ma che disobbedì agli ordini ed attaccò Spartaco, da cui venne sconfitto. Con l'uso della verberatio Crasso si guadagnò più di Spartaco la paura dei suoi uomini, ristabilendo, in questo modo sanguinario, la disciplina e la fedeltà delle truppe.
Spartaco decise allora di sbarcare in Sicilia in modo tale da unirsi a una rivolta di schiavi, indipendente dalla sua, che si stava svolgendo in quel momento in Trinacria. Tuttavia, a causa del tradimento di alcuni pirati cilici, che si misero d'accordo con il famigerato governatore della Sicilia Verre, fu costretto a rimanere fermo, poiché il tentativo di traversare lo stretto con zattere improvvisate fallì, anche perché Verre aveva nel frattempo fortificato le coste nei pressi di Messina.
Crasso ordinò allora la creazione di un vallum, un grande muro nella parte più stretta che separava il mar Ionio dal mar Tirreno, in prossimità dell'istmo di Catanzaro, protetto da un fossato molto largo e profondo, che, tagliando da mare a mare la Calabria bloccasse sia Spartaco che i rifornimenti alle sue truppe.
Infatti Spartaco riceveva aiuto da briganti, schiavi fuggitivi e disertori, ma non dai contadini o dagli abitanti delle città atterriti dalle sue imprese. Tuttavia, Spartaco, dopo una serie di tentennamenti, poiché in campo aperto si sentiva più vulnerabile all’esercito romano, decise di forzare il blocco, facendo traversare le truppe in un punto in cui era riuscito a demolire le difese.


Rotto il blocco Spartaco si diresse verso l’Apulia, forse per salpare alla volta della Tracia, secondo altri perché voleva far insorgere gli schiavi di quella regione. Allora Crasso lo attaccò alle spalle, ma egli riuscì inizialmente a sconfiggerlo nella "battaglia di Petilia" nel 71 a.c..
Tuttavia i rivoltosi di Spartaco erano stanchi, mentre l'esercito romano era ora numeroso e ben armato, così dovette fuggire verso Brindisi, e poi verso la Lucania. Due suoi ex alleati, Castro e Giaunico, vollero invece muovere battaglia da soli contro i romani, finendo annientati. I rivoltosi traversarono così la piana del metapontino, oggi nella provincia di Matera, dove raccolsero altri combattenti, come racconta Plutarco: “molti mandriani e pastori della regione che, gente giovane e robusta, si unirono ad essi”, col permesso di uccidere e saccheggiare molti insediamenti, tra cui Heraclea (Policoro), e Metapontum (Metaponto), dove Spartacus si incontrò col pirata cilicio Tigrane per organizzare l'imbarco da Brindisi verso la Cilicia, e da cui fu invece tradito.
Temendo l'arrivo delle truppe di Pompeo e di Marco Terenzio Varrone Lucullo proconsole di Macedonia mise le ali a Crasso, che voleva tutta per sé la gloria dell’impresa, anche perché a Roma i suoi lunghi tempi erano molto contestati.
Presso il fiume Sele ci fu lo scontro finale, preceduta da numerosi e cruenti scontri, ma prima di questa battaglia Spartaco uccise il suo cavallo dicendo che se avesse vinto avrebbe avuto tutti i cavalli che voleva ma se avesse perso non voleva essere tentato di scappare.
Vennero uccisi ben 60.000 schiavi contro solo 1.000 morti romani, e vennero fatti ben 6.000 prigionieri.
Spartaco si buttò per primo contro di loro e dopo aver ucciso alcuni soldati romani fu crivellato da così tanti colpi che il suo corpo non poté essere ritrovato. Crasso fece crocifiggere, nudi, lungo la via Appia da Capua a Roma tutti i 6000 prigionieri, ma non Spartaco, perchè già morto.
Altri reparti dell'esercito ribelle, circa 5.000 uomini, tentarono la fuga verso nord, ma vennero intercettati e annientati da Gneo Pompeo, che sopraggiungeva con le sue truppe dall’Hispania. Terminava così la rivolta di Spartaco. Rimasero ancora alcuni seguaci di Spartaco scampati, ma nel 61 a.c. il propretore Ottavio, mentre si recava in Macedonia, annientò gli ultimi ribelli di Spartaco e di Lucio Sergio Catilina che si erano rifugiati a Turi.
Spartaco secondo alcuni storici era alto, bello, intelligente, gentile e carismatico, un personaggio leggendario, un emblema dell'eroe idealista capace di lottare in nome della libertà e di sconfiggere i più forti eserciti del mondo grazie al cuore e allo slancio ideale.
La sua ribellione fu citata dal poeta latino Claudiano, quasi cinque secoli dopo i fatti, nel poema: De bello Gothico, accostando la debolezza dei Romani del V sec. alla ignominiosa sconfitta delle forze romane per opera dello schiavo Spartaco.
Spartaco fu un coraggioso e un buon combattente, magari anche un intollerante verso qualsiasi autorità, visto che si ribellò all'esercito e poi alla scuola gladiatoria. Non conosciamo la verità. Di certo sappiamo che uomini liberi sceglievano volontariamente la scuola gladiatoria per la gloria e i soldi, e altrettanto nell'esercito.
Ma non sappiamo quanto fu intolleranza e quanto fu invece reale maltrattamento, di certo fece agli altri peggio di quanto avesse ricevuto, anche se si ritiene che non fosse d'accordo nei saccheggi, uccisioni e stupri, però inevitabili, visto che non c'era lo stato a inviargli le scorte per il suo esercito. Doveva razziare ovunque e stroncare ogni tentativo di difesa.
Di certo fu eretto a esempio di ribellione al potere, ma il suo esercito applicò un potere anche peggiore sulla popolazione che incontrò.
Sallustio nel suo III libro delle Historie descrive, oltre alla guerra contro Mitridate e la fine della guerra contro Sertorio, anche la rivolta di Spartaco e Crixus, molto dettagliata, a volte ora per ora, il che dimostra l'importanza di un evento che comunque durò circa tre anni:


"Spartaco, lungi dall'esaltarsi per i suoi successi, si preoccupò seriamente di disciplinare la rivolta di cui era a capo. Così promulgò leggi e regole tendenti a mantenere l'ordine di quella folle compagnia che l'aveva scelto come capo. Queste leggi riguardavano all'inizio solo la Lucania, da cui i fuggitivi erano pervenuti in numero maggiore, ma vedendo poi affluire nel suo campo gli schiavi dell'Etruria e della Gallia cisalpina, Spartaco estese queste regole a tutti i fuggitivi galli, latini ed etruschi che entravano nelle sue file. Per porre fine alla cupidigia degli schiavi stabilì che nel suo campo, alcun soldato, nè altri facenti funzione, vi introdurrà alcun materiale d'oro o d'argento.
Costituiti gli eserciti di leva, Gelliuo e Lentuluo marciano contro i fuggitivi. Spartaco, fedele al suo sistema di accortezza, non si preoccupa che della ritirata verso le Alpi; ma il capo dei galli, Crixus, enfatizzato dal successo al punto di non potersi contenere, mirava alla conquista di Roma. I suoi compatrioti sostennero la sua presunzione.Così i fuggitivi iniziarono a non essere più d'accordo tra loro, e a non tenere più un consiglio comune. Gli animi di tutti sono impotenti a dirimere i dissidi o a fare consultazioni. La divisione diventò più marcata tra loro quando si sa della presenza dei due consoli armati contro di loro.
Così questi fuggitivi. tutti d'accordo a sostenere la lotta, erano sul punto di formare una sedizione. Crixo e quelli della sua nazione, Galli e Germani, s'ostinavano ad andare contro il nemico ed offrirgli battaglia; Spartaco, al contrario, voleva continuare il suo cammino per eseguire il suo piano. Gellio intanto era avanzato lungo l'Appennino. Crixo, alla testa dei suoi ventimila germani e galli, marciò avanti a lui dalla lucania e Apulia, guadagnando il territorio dei sanniti. Lì in questa circostanza, il valore impetuoso dei galli gli procurarono un vantaggio di cui non seppe approfittare. Avendo respinto i romani che abbandonarono il campo, i barbari vi entrarono dentro, ma non osarono conquistarlo interamente durante la notte.Tornati al campo l'indomani, essi trovarono una quantità di cose che nella precipitazione i romani avevano lasciato, vino e cibo che li invitano lietamente, così di diedero a bere e a mangiare, si che furono sorpresi dalle legioni agli ordini del pretore Arrius, che li distrusse totalmente. Crίxo fu ucciso mentre tentava, con colpi di valore, di riparare alla sua colpa
Intanto Spartaco diresse la sua marcia lungo gli Appennini e qui, lungo l'Éruria, trovò il console Lentulo a bloccargli il passaggio. Risolse di forzare prima che venisse operata la congiunzione di Lentulo con Gellio. Fece dunque accelerare le legioni, per monti e per valle ma Lentulo, aspettando il suo collega più giovane, non acettò la battaglia. Intanto Gellio si avvicinava.
Nonostante gli ostacoli e le trincee, Spartacus arrestò la marcia del suo avversario come era già accaduto in vista delle legioni di Lentulo, poi lo attaccò impetuosamente.
Nello stesso tempo Lentulo, che, con un fronte doppio aveva versato molto sangue dei suoi sul luogo dello sbarco di Enea, aveva nella difesa, ~ quale sarcasmo - dovuto difendere la sua posizione su un altura, senza aver potuto scegliere e cominciando a scorgere all'imbocco della valle, le coorti dei veterani romani, e i manti rossi sui bagagli del collega, non esitò a lasciare le colline per accelerare il ricongiungimento col suo collega; ma ciò porta a Sparacus una vittoria più facile e più completa, a seguito della quale, per onorare i Mani di Crixus, forzò per coprire la vergogna, 400 prigionieri romani a combattere come gladiatori intorno al loro capo. E nonostante questo dolce risultato, Spartaco, sempre lontano da qualsiasi presunzione.."

Appare evidente che Sallustio tiene per Spartaco se non per la sua fazione. Non ha gli stessi elogi per Crixo che ritiene giustamente esaltato e imprudente, anche se al momento della morte gli riconosce un certo valore. Ma di Spartaco riconosce l'avvedutezza, la prudenza, l'intelligenza, la modestia, il senso pratico, la strategia bellica, il coraggio, il valore e la capacità di prevedere le cose. Spartaco è per Sallustio un eroe incompreso, valoroso e audace che deve però soccombere perchè odiato e temuto dai nemici ma pure inascoltato dagli amici.


domenica 25 aprile 2021

I 300 spartani che combatterono alle Termopili, mentre si dirigevano verso la battaglia, sapevano che là avrebbero trovato morte certa?

I 300 Spartani alle Termopili, una difesa eccezionale > Recencinema



Occorre considerare gli aspetti essenziali della battaglia delle Termopili.
Sì, è vero: c'era un oracolo che predisse che un re spartano sarebbe dovuto morire in battaglia altrimenti la città sarebbe stata distrutta; e Leonida molto probabilmente accettò di essere l'agnello sacrificale, ma ciò non significa che pensasse che sarebbe morto alle Termopili!
Sì, gli Spartani, insieme agli alleati Perieci, Peloponnesiaci, Tebani e Tespiesi avevano poche chance di farcela.
Ma non è la stessa cosa che dire che tutti i 300 si aspettavano di morire. Leonida comandava la Guardia scelta di una forza alleata il cui compito era di tenere il passo alle Termopili fino a quando non fossero arrivati i rinforzi, tra cui l'esercito spartano, i famosi e numerosi opliti di Atene e altro ancora. Questa non era una missione suicida.
E sì, Leonida scelse di fare parte della Guardia solo uomini con figli in vita, perché era logico aspettarsi che, data la situazione, la battaglia sarebbe stata dura e ci sarebbero state delle perdite. Ma anche in questo caso non è la stessa cosa che supporre che sarebbero morti tutti.
Solo dopo che il passaggio secondario attraverso le montagne fu scoperto e le truppe inviate per presidiarlo furono sopraffatte dai Persiani, divenne chiaro che una piccola forza avrebbe dovuto essere sacrificata per consentire il ritiro della maggior parte delle truppe. Fu in quel momento - non in partenza da Sparta - che Leonida prese la decisione di morire alle Termopili, perchè quello era il suo destino, e in quel momento la sua Guardia del corpo seppe che, in quanto guardia del corpo, sarebbero morti con lui.
Esistono prove aneddotiche tramandate da Plutarco secondo cui Leonida cercò di salvare alcuni dei suoi compagni chiedendo loro di andare a consegnare dei dispacci, ma gli "uomini più anziani" capirono e si rifiutarono. Ciò è coerente con un re determinato ad affrontare il suo destino, ma angosciato dalla consapevolezza che la sua decisione trascinerà con sé trecento dei migliori di Sparta.
Per quanto riguarda gli Spartani, che secondo quanto tramandato avrebbero culturalmente il rifiuto della ritirata, questo è un malinteso comune: questo mito affonda le sue radici nella strenua difesa delle Termopili da parte di Leonida. La prova più importante è il memoriale che gli Spartani stessi eressero alle Termopili dopo che i Persiani furono cacciati dalla Grecia.
Questo famoso monumento aveva una dedica che diceva: "Vai e dì agli Spartani, o viandante, che qui noi giaciamo in obbedienza alle loro leggi".

In figura, il monumento che oggi campeggia sulle Termopili.

L'antico epitaffio è ampiamente interpretato nel senso che i 300 Spartani che morirono alle Termopili non avevano alcuna possibilità di ritirarsi. Questi uomini giacevano sepolti nel Passo delle Termopili, così lontano da casa, perché le "leggi" di Sparta proibivano la ritirata o la resa indipendentemente dalle probabilità o dalla certezza della morte.
In realtà, le forze spartane si ritirarono e si arresero in varie occasioni nel corso dei secoli (ad esempio ad Isie, oppure a Sfacteria).
Gli Spartani non sembravano pensare che ci fosse una "legge" contro la ritirata anche in situazioni molto meno minacciose e meno disperate di quella che si parò davanti a Leonida alle Termopili. Dobbiamo credere che Leonida e i suoi 300 fossero gli unici Spartani che vivevano e morivano secondo le leggi di Sparta? O potrebbe esserci un'altra spiegazione dell'epitaffio?
La risposta, credo, può essere trovata nel fatto che c'erano, secondo Erodoto, in realtà tre monumenti separati eretti per commemorare gli uomini che combatterono alle Termopili. In primo luogo, c'era un monumento collettivo che recitava: "Qui dalla terra del Peloponneso, quattromila contro un milione qui un tempo resistettero".
Ciò si riferiva chiaramente agli altri alleati del Peloponneso che avevano combattuto con gli Spartani alle Termopili nei primi due giorni.
C'era pure "un leone di pietra in memoria di Leonida".


(No, sfortunatamente, questa non è una foto del monumento dedicato a Leonida che è andato perduto, ma è probabilmente ispirato dalle descrizioni che ne furono fatte. È il Leone di Lucerna che commemora la perdita della Guardia Svizzera.)
In breve, c'erano due monumenti spartani: uno dedicato a Leonida e uno agli altri Spartiati.
Leonida aveva un'opzione. Leonida avrebbe potuto decidere di ritirarsi dal Passo non appena fosse diventato indifendibile. Se l'avesse fatto, Leonida non avrebbe infranto alcuna "legge", perché non esisteva una legge che richiedesse agli Spartani di combattere fino alla morte.
Ma c'era una legge che richiedeva l'obbedienza ai re di Sparta fintanto che erano al comando dell'esercito di Sparta. Questa legge è documentata ed era ampiamente rispettata. I re di Sparta potevano essere accusati, processati ed esiliati una volta che erano a casa , ma non durante la guerra, non mentre facevano una campagna all'estero. Finché comandavano l'esercito in un impegno militare fuori da Sparta, le loro truppe erano tenute ad obbedire a loro, e così facevano.


Sopra è una scultura trovata a Sparta risalente agli inizi del V secolo a.C.. Sebbene sia comunemente chiamata "Leonida" non rappresenta il grande re spartano, come si vede dall'elmo che non ha la criniera del grande condottiero.
Ciò significa che una volta che Leonida decise di rimanere e morire - poiché senza dubbio credeva fosse il suo destino basato sull'oracolo di Delfi - la sua guardia del corpo non ebbe altra scelta che restare con lui.
L'erezione di due monumenti separati e l'epitaffio ha senso in questo contesto. Leonida era il leone, che decise di andare a combattere invece di vivere per combattere un altro giorno. Dopo aver preso quella decisione coraggiosa, tuttavia, la sua guardia del corpo non aveva scelta e loro morirono, secondo l'epitaffio prima citato, non come eroi particolari ma semplicemente "in obbedienza alle leggi".


sabato 24 aprile 2021

Quali erano gli aspetti negativi di Alessandro Magno

Il bene: Alessandro, sebbene non perfetto, era un leader estremamente progressista durante il suo regno. Non odiava completamente i persiani ma aveva rispetto per una cultura più antica della sua, questo lo portò a sposare mogli persiane e incoraggiare i suoi generali a fare lo stesso in modo che potessero rafforzare i legami con l'Oriente e l'Occidente che insieme alla costruzione di vaste città che fornivano servizi, biblioteche e simili hanno permesso l'inizio delle prime fasi dell'ellenizzazione.
Ha anche permesso alle città greche dell'Asia Minore di non essere vincolate esclusivamente ad un impero in quanto potevano applicare la democrazia con una tassa per pagare Alessandro che a molti non dispiaceva, poiché aveva dato loro la possibilità di autogovernarsi di nuovo.
All'interno delle sue Alessandrie, in particolare in Egitto, aveva costruito biblioteche contenenti una vasta gamma di testi, infrastrutture adeguate.
Come re non esitò a combattere in prima linea, servendo come fonte d'ispirazione per le sue truppe mentre appariva loro come un loro pari, subendo lui stesso molti infortuni durante la sua campagna che vanno da colpi di spada alla coscia a una pietra che colpì la sua la testa .
Questo, insieme alla sua eccellente logistica e tattica, gli ha permesso di diventare un leader rispettabile che aveva superato suo padre e aveva raggiunto ciò che nessun macedone avrebbe mai potuto immaginare.
Con questi ideali più progressisti e il suo coraggio piuttosto trasparente Alexander non era solo un ottimo uomo, ma un uomo senza paura che ha superato ogni sfida lanciatagli anche se ferito, queste caratteristiche dimostrano quanto fosse davvero grande un leader.


Il male: Tuttavia, nonostante le sue convinzioni più progressiste e anche qualche positività derivante dalle sue conquiste, non era un santo.
Alexander era noto per aver perso la pazienza mentre stava assediando Tebe e mentre tentava di trovare una soluzione più pacifica, venne stato insultato è ciò lo portò a diventare estremamente furioso, tanto da ordinare ai suoi uomini di saccheggiare la città, quindi ha eletto funzionari delle città vicine che odiavano Tebe poiché sapeva che i Greci lo avrebbero sostenuto nel distruggere la città dei propri oppressori.
Distrusse anche Persepoli portando alla morte di innumerevoli innocenti, con l'unica ragione nota che fu "Vendicare i Greci", e non fu nemmeno la giustificazione migliore.
Il suo fragile ego e la sua rabbia erano più evidenti quando Alessandro era ubriaco come quando Cleitus mise in dubbio il re, e Alessandro rispose con rabbia da ubriaco uccidendo il suo amico.
Si ritiene anche che abbia marciato attraverso il deserto di Gedros con i suoi uomini i quali che rinunciarono a quella o un'altra impresa leggendaria presente nella sua lunga lista di successi, in entrambi i casi era egoista e ha portato alla morte di migliaia dei suoi uomini.




Era anche egocentrico, oltre a nominare oltre 70 città con il suo nome, si credeva anche un discendente di Zeus dopo aver visitato l'Oracolo di Siwa, cosa che era piuttosto orgoglioso di mostrare ai suoi interlocutori non greci mentre accettava le offerte come Zeus- Amon oltre a consentire la pubblicazione di immagini che lo associavano a Zeus e agli eroi del passato.
Alessandro indossa il Mantello del Leone di Nemea come Eracle con Zeus sul retro, una prova della sua discendenza divina e della sua emulazione degli eroi del passato.

Alessandro ha corna di ariete, che rappresentano Zeus-Amon e ancora una volta i suoi legami con le forze divine.


Conclusione: Mentre capire il vero personaggio di Alessandro è un compito difficile a causa della natura diabolica delle sue storie, sappiamo che Alessandro non fu perfetto come risulta dal suo ego, dalla sua rabbia, dalla sua spietatezza e dal suo alcolismo.
Tuttavia, a seconda della tua interpretazione, puoi considerarlo un grande conquistatore che ha contribuito a diffondere la cultura greca in Oriente ed è stato rivoluzionario con i suoi ideali progressisti o era un violento guerriero.
Mentre spetta a te decidere, credo, se Alessandro sia stato un uomo ambizioso che, nonostante il suo ego e la sua spietatezza (indubbiamente un prodotto del suo tempo), era un leader rispettoso che ha sempre trionfato su probabilità impossibili, ma è stato anche un progressista mentre combinava le Culture occidentali e orientali che hanno dato il via alle prime fasi dell'età ellenistica.









venerdì 23 aprile 2021

Il Re indiano Porus fu sconfitto da Alessandro Magno?


No. Porus non è stato sconfitto
Non ci sono ripensamenti: Alessandro era un grande comandante. Alla fine degli anni '20 Alessandro ottenne una massiccia vittoria contro Dario III di Persia - da lì divenne uno dei re più potenti dei suoi tempi in tenera età. Questa vittoria gli diede immensa fiducia nel bussare alle porte dell'India.


Ma le cose in India erano diverse.
326 a.C. - L'India fu divisa in 16 diversi regni chiamati Mahajanapadas. Il 29enne Alessandro dovette rompere i recinti dell'India [i regni sotto i re Ambhi e Porus] per entrare nel subcontinente.
Ma Ambhi e Porus erano nemici fra loro Alessandro decise di sfruttare la loro inimicizia. Si avvicinò ad Ambhi, gli chiese di aiutarlo a sconfiggere Porus. In cambio Alessandro gli promise che sarebbe stato ricompensato con il regno di Porus e un bonus aggiuntivo di oro e argento. L'accordo sembrava ad Ambhi come un jackpot.


Ora che Alessandro si è alleato con Ambhi - ha pensato che la fiducia di Porus sarebbe stata devastata. Ma a Porus non importava niente e ciò creò paura tra i macedoni.
La battaglia di Jhelum (Hydaspes) stava per iniziare. Alessandro e Porus si stavano affrontando. Tra loro c'era il fiume Jhelum che scorreva veloce e profondo. Le truppe di Alessandro avrebbero dovuto attraversarlo per iniziare la battaglia. Ma, pensò che Porus potesse iniziare il suo attacco quando le sue truppe stavano attraversando il fiume. Decise mettere in atto un trucco. Fece sì che le sue truppe agissero come se non si fossero mosse affatto. Di notte spostò lentamente le truppe verso nord e decise di attraversare il fiume lontano da dove era accampato l'esercito di Porus. E con sorpresa di Porus sentì la notizia che il principale esercito di Alessandro stava marciando verso di loro da questa destra. Ora, Porus era in una situazione critica.
  • Se si fosse mosso alla sua destra, le truppe di riserva dall'altra parte della riva avrebbero attraversato il fiume e iniziato ad attaccare.
  • Se fosse rimasto lì, avrebbe dovuto affrontare le truppe che si avvicinavano alla sua destra.
Quindi inviò una piccola truppa sotto il comando del figlio Porus (Sì, il nome di suo figlio è di nuovo Porus), che alla fine fu sconfitto da Alessandro. Così, Porus decise di combattere contro Alessandro stesso.


Ora leggi molto attentamente:
Questo è il punto in cui ci viene detto che Porus fu sconfitto e che vedendo il suo coraggio Alessandro gli restituì il suo regno con alcune novità. In realtà è una bugia perché:
  • Ambhi era diventato alleato di Alessandro a condizione che gli sarebbe stato regalato il regno di Porus. Quindi il fatto che Alessandro abbia restituito a Porus il suo regno - sembra illogico.
  • Inoltre, i re indiani erano avidi seguaci di Dharmayuddha. Anche supponendo che Alessandro abbia restituito il regno - Porus si sarebbe sentito umiliato. [Vuoi saperne di più? - post di Chandrasekar Gokulanathan in The Great Indian Odyssey]
  • I resoconti della guerra sono per lo più dati da Arrian, uno storico greco che visse secoli dopo la guerra. Avrebbe potuto persino confondere il figlio di Porus con Porus (entrambi con lo stesso nome). Inoltre, avrebbe sicuramente avuto dei pregiudizi nei confronti di Alessandro.
  • Perché Alessandro si ritirò anche dopo essere entrato nei confini dell'India? La gente dice che quando Alessandro lottò per sconfiggere un piccolo re indiano, decise di non fare una campagna contro il potente sovrano di Magadha - Dhana Nandha, che era 100 volte più potente di Porus. Questo può essere vero. Ma c'è anche la possibilità che non abbia sconfitto Porus e si sia ritirato.
  • C'è anche la convinzione che l'esercito di Alessandro avesse nostalgia di casa. Ma, in realtà, le stesse truppe non combattevano continuamente. Mandava abitualmente dei soldati a casa e ne portava di nuovi dai suoi territori.
Il consenso finale è arrivato da queste conclusioni
Né Alessandro né Porus hanno vinto la battaglia. I loro eserciti furono gravemente danneggiati. Alessandro lasciò l'India mentre il suo esercito era completamente appassito. Porus, non è stato in grado di combattere di nuovo come faceva prima.
Gli storici occidentali alimentarono la leggenda di Alessandro e descrissero la campagna come il trionfo dell'Ovest organizzato contro l'Oriente caotico. Non dimenticare mai:
Fino a quando i leoni non avranno i loro storici, la storia della caccia glorificherà sempre il cacciatore




giovedì 22 aprile 2021

I gladiatori potevano scegliere le loro armi o gliele assegnavano?


No, non erano autorizzati a scegliere la classe gladiatoria e quindi le armi. Questo era compito del lanista (il proprietario di una scuola di addestramento per gladiatori).
Il lanista decideva in quali classe inserli; ad esempio tra queste:


Il sannita era un tipico gladiatore del periodo della Repubblica Romana e, come tipologia, comparve dopo la conquista del Sannio (venivano assegnati a questa classe i gladiatori di basso rango, in modo da vederlo facilmente sconfitto e deridere così questo popolo – NdT):


Successivamente vennero create altre classi.
Il processo di formazione iniziava quando i gladiatori si sottomettevano al lanista (di solito un ex gladiatore) entrando così a far parte di una familia gladiatorium, all'interno di una ludus (scuola, palestra). Il lanista aveva potere di vita e di morte su ciascuno di loro.
Durante gli allenamenti erano valutati dal punto di vista atletico e della conformazione fisica per essere assegnati ad allenatori specifici. Questi ultimi, chiamati Doctores (o Magistri), erano in genere abili gladiatori, ormai in pensione, che si specializzavano in una determinata classe.
Infatti alcuni tipi di fisico andavano meglio se associati a determinati stili gladiatori. Inoltre, come suggerito dalla tabella precedente, certi abbinamenti erano preferiti ad altri per rendere i combattimenti più spettacolari.
Per ogni gladiatore si tenevano dei registri: contro chi aveva combattuto, il numero di vittorie, delle perdite e dei pareggi.
Due sanniti:


Un sannita contro un retiarius:


E' da notare come questi incontri non erano pensati per valutare le reali capacità di combattimento dei singoli gladiatori. Il loro scopo era quello di generare eccitazione nel pubblico.
Il ragazzo che vedete nel centro del mosaico era un arbitro (c'erano degli "handicap" in base ai tipi di classe che si affrontavano). Anche se non conosciamo le regole sappiamo che lo scopo era quello di dar luogo ad un combattimento emozionante e divertente, per un periodo di tempo più lungo possibile.
Per esempio ci si aspettava che il retiarus di cui sopra fosse un tipo leggero, veloce e mobile. La folla avrebbe voluto vederlo sconfiggere un sannita superandolo in astuzia.
Per certi versi erano spettacoli in stile "wrestling". C'erano i combattimenti di contorno e poi, a seguire, quelli principali. Probabilmente in tribuna si scommetteva, basandosi sulle precedenti performance dei gladiatori. I più bravi avevano "fan club" che li seguivano nei loro progressi.
Però, rispetto al wrestling, i gladiatori combattevano con acciaio ben affilato. La maggior parte di loro non arrivò mai alla "pensione".
Detto questo, ci sono state anche delle gladiatrici:

Stele di Alicarnasso: Amazon e Achillia - British Museum

E c'erano gladiatori "particolari"; probabilmente il più raro era il crupellarius:


Solo i più forti e brutali potevano ambire a questa classe. All'estremità opposta c'era questo gladiatore, un dimachaerus:



mercoledì 21 aprile 2021

Chi avrebbe vinto una guerra tra Impero Romano e Ottomano al loro apice?

La tecnologia é troppo potente.

L'Impero Romano al suo apice era famoso per le sue legioni disciplinate, coperte da cavalleria e supportate da ausiliari.



L'Impero Ottomano al suo apice ha utilizzato una massa con fucili, tiro con l'arco a cavallo e artiglieria pesante.



Oppure, se non guardiamo al picco del territorio, ma al puro potere militare oggettivo, l'Impero Ottomano combatté nella WW1, e in termini oggettivi il suo potere militare nella WW1 era molto più grande che nel suo apogeo nel 1600.



Quindi, anche rispetto all'Impero Romano D'Oriente, che è sopravvissuto più a lungo e ha avuto accesso a una tecnologia migliore rispetto all'Impero Romano..

Ancora una volta per quanto riguarda questi tipi di domande :

Il divario tecnologico conta. Un SACCO.

Soprattutto quando si pensa in diverse centinaia di anni.

martedì 20 aprile 2021

L'idea del Cavallo di Troia di Ulisse fu davvero una trovata geniale o fu più che altro una gran fortuna che i Troiani ci siano cascati?


C'è un dettaglio cruciale sul cavallo di Troia che spesso viene messo da parte, ma rende la storia molto più convincente.

Nell'immagine, Sinone, un guerriero greco lasciato indietro dal resto dell'esercito greco.

Quando i Troiani si resero conto che le navi greche erano scomparse, ma che qualcos'altro era rimasto sulle loro spiagge, trovarono un certo Sinone legato alle gambe del cavallo di legno.
Sinone era un guerriero mediocre, ma per astuzia non lo batteva nessuno.
I Troiani lo interrogarono minacciandolo ripetutamente (non è chiaro se gli tagliarono o meno il naso).
Alla fine Sinone disse ai Troiani che i Greci si erano stufati del conflitto. Di come egli avesse avuto una lite con Ulisse, che lo aveva abbandonato lì, bollato come un traditore. E di come il cavallo di legno fosse un'offerta agli dei per garantirsi un viaggio sicuro verso casa.
Ma perché”, chiesero i Troiani, “creare un cavallo così bello, eppure così grande e ingombrante? Non sarebbe andato bene anche un equino di dimensioni naturali?"
Sinone rispose: “I Greci hanno assolutamente bisogno del favore degli dei per il difficile viaggio di ritorno, quindi il cavallo doveva essere bello e ben fatto. Ma temevano che Troia potesse portarlo dentro le mura, rubando loro il favore degli dei, quindi è stato realizzato più grande delle porte troiane!"
Il gran sacerdote Laocoonte era contrario a portare il cavallo dentro la città di Troia (in alcune versioni scagliò pure una lancia contro di esso), ma gli dei inviarono dei serpenti marini perchè lo uccidessero e si compisse così il destino di Troia.
I Troiani interpretarono questo episodio come un segno inequivocabile che il cavallo andava portato dentro le mura.
Rimossero così le architravi delle porte della città, per riuscire a farlo passare, sperando di accattivarsi la benedizione degli dei.
Sinone rimase in disparte, fuori dalla città. Potè così accendere un fuoco di avvertimento per i Greci, che stavano nascosti nella vicina isola di Tenedo, che li informava che i Troiani avevano abboccato e quindi ora potevano invadere Troia.
Probabilmente il primo caso di psicologia inversa in letteratura.


lunedì 19 aprile 2021

Una cosa bizzarra dell'antico Egitto


Nell'antico Egitto esisteva un compito sacro, quello di assicurare la salute del faraone, e se il faraone sentiva di aver mangiato molto o di avere qualche problema intestinale, doveva solo chiamare il suo tutore dell'ano.


Le funzioni di questo "proctologo" ,oltre a curare qualsiasi problema legato alle emorroidi, consistevano nello svuotare gli intestini del faraone quando egli aveva ingerito più cibo di quanto poteva. Questo veniva fatto per facilitare la digestione.
Il guardiano dell'ano ero solito inserire una cannula d'oro e soffiare acqua calda.
Non solo i faraoni usavano questa tecnica: è anche stato dimostrato che molte persone nell'antico Egitto lo facevano, solo che invece di una cannula d'oro usavano canne vuote per spingere l'acqua nei loro intestini.


Bizzarro no?


domenica 18 aprile 2021

Visto che la semplice immersione nel fiume Stige aveva reso Achille invulnerabile, perché anche gli altri eroi greci non ci andavano a farci una nuotata?


Darò due diverse spiegazioni: la prima trova le sue motivazioni all'interno della mitologia greca; la seconda guarda oltre.
La prima spiegazione è che il fiume Stige si trova negli Inferi ed è praticamente impossibile per un mortale visitare gli Inferi e tornare indietro vivo. Solo una manciata di eroi davvero straordinari, come Ercole, Orfeo, Teseo, Ulisse e, nella mitologia romana, Enea, sono riusciti a fare un viaggio di andata e ritorno negli Inferi. Il motivo per cui Teti è stata in grado di immergere Achille nel fiume Stige è perché è una dea, e può andare e venire tra la terra dei vivi e la terra dei morti come vuole.
Ora la seconda spiegazione: la storia della ninfa Teti che immerge il neonato Achille nel fiume Stige per renderlo invulnerabile è in realtà un'aggiunta molto recente alla mitologia classica. In nessun passo dell'Iliade si afferma che Achille sia stato immerso nel fiume Stige o che il suo corpo sia invulnerabile ovunque, tranne che nel tallone.
Invece, il primo riferimento alla celebre storia del tallone di Achille proviene dall'Achilleide, un poema epico incompiuto composto in latino nel primo secolo d.C. dal poeta romano Publio Papinio Stazio (vissuto tra il 45 e il 96 d.C. circa).
Pertanto, il vero motivo per cui nessun altro a parte Achille ha mai “fatto il bagno” nel fiume Stige è perché l'idea che il fiume Stige conferisse l'invulnerabilità è postuma alla mitologia greca classica, ed è stata inventata appositamente per Achille!

SOPRA: pittura a olio di Teti che immerge Achille nel fiume Stige, dipinto del 1625 del pittore barocco olandese Peter Paul Rubens