Nei primi secoli il regime imperiale era in rodaggio, nel senso che il Senato manteneva ancora una sorta di controllo sull'operato del Principe.
La fine che avevamo fatto Giulio Cesare e alcuni imperatori veri e propri (come Caligola, Nerone e Domiziano) che avevano tirato troppo la corda, attribuendosi caratteristiche monarchiche, era ben chiaro ai loro successori.
Oltretutto il Senato era da tenere buono per altre ragioni: per i primi due secoli fu in pratica la fucina dalla quale veniva eletto o confermato il nuovo imperatore, oltre che scelti la maggior parte di funzionari imperiali.
Curiosa analogia con quello che sarà (ed è ancora oggi) il Collegio Cardinalizio, da molti visto come la sua ideale riproposizione in chiave cristiana.
Quindi, epurati gli elementi più scomodi, era un'istituzione ancora utile per gli stessi imperatori.
Quando progressivamente il Senato perse quasi del tutto anche i poteri lasciatigli da Augusto, ormai non serviva più fingere e gli imperatori stessi preferirono manifestare pienamente il proprio potere in senso assolutistico.
Questa per certi versi fu una scelta
pressoché obbligata all'indomani della crisi del III secolo, con una
serie di imperatori perlopiù deboli e di breve durata, quando
cominciavano a farsi sentire le prime gravi invasioni germaniche e la
Persia ritornava a essere più che una minaccia.
In più l'Impero
cominciò la sua fase discendente, iniziando ad arretrare sul limes e
a perdere province proclamatisi indipendenti.
Anche se poi la crisi fu risolta, Diocleziano, il vero artefice della riforma in senso assolutistico, volle rimarcare ancora di più la propria funzione, utilizzando esercito e religione tradizionale per i suoi scopi.
Per poter mantenere nell'unità un impero che già dava segni di disgregazione era necessario un pugno di ferro e una potestà pressoché totale, e simboli e attributi regali facevano parte della sua strategia.
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