domenica 10 gennaio 2021

Alcune bizzarre superstizioni degli antichi romani

Gli antichi Romani, famosi per essere un popolo pragmatico e concreto, avevano un debole per il magico, l'occulto, il mistero; ed erano piuttosto superstiziosi.



Sui fantasmi, per esempio, esistevano credenze tanto precise da lasciare inabitate per anni molte case, nonostante gli affitti bassissimi. Lucrezio stesso, accanito materialista, cadde in aperta contraddizione tentando di spiegare razionalmente l'esistenza degli spettri.

Le persone normali, poi, si lasciavano facilmente suggestionare da altri mille spunti e superstizioni.

Inciampare sulla soglia di casa, era segno imminente di catastrofe, così pure il presentarsi improvviso di un cane nero. Segni di calamità erano anche: il vino, l'olio e l'acqua rovesciati; un cavallo a cinque gambe; il buco prodotto da un topo in un sacco di farina; il canto del gallo durante un banchetto; un serpente caduto dal tetto; l'immagine di un dio grondante di sangue; un toro infuriato, se entrava nel portone di un edificio e saliva perlomeno al terzo piano; e, soprattutto, la visione sconvolgente di una vestale, sulle cui gote stava crescendo una folta barba.

Per tutti questi segni di malocchio, una lunga esperienza aveva insegnato adeguate contromisure: circondarsi di amuleti di ogni tipo, da arredamento o portatili; fischiettare per proteggersi dai fulmini; non tagliarsi né unghie né capelli in previsione di un viaggio marittimo, per evitare naufragi; una mosca viva, avvolta in una pezzuolina bianca, preveniva il pericolo di diventare cisposi; cattivi presentimenti passavano d'incanto umettandosi il dito con la saliva e passandolo dietro l'orecchio.

Molte case avevano sulla porta la scritta "Arseverse" (forse da 'averte ignem', contro il fuoco),per proteggersi dal pericolo dei frequenti incendi. E tanti ricorrevano a scongiuri contro la jella, anche degli insospettabili come Giulio Cesare: ci dice ancora Plinio che il conquistatore, dopo che il suo carro si era rotto durante la celebrazione del Trionfo, recitava sempre uno scongiuro che ripeteva tre volte per garantirsi la sicurezza del viaggio (carmine ter repetito securitatem itinerum aucupari solitum).


Giulio Cesare


Nel calendario romano c'erano i giorni considerati favorevoli (dies fasti) e quelli sfavorevoli (dies nefasti) allo svolgimento di alcune attività (compiere atti pubblici, amministrare la giustizia, concludere affari, seminare, partire per un viaggio ecc). Erano infausti il secondo giorno del mese, le none (quinto o settimo giorno a seconda dei mesi), le idi (tredicesimo o quindicesimo giorno). E infauste erano le date di alcuni eventi disastrosi: ad esempio il 18 luglio, data della sconfitta dei romani sul fiume Allia ad opera dei Galli nel 387 a.C. e segnata sul calendario comeClades Gallica (catastrofe gallica).


Le Idi di marzo


Una cosa diversa era però considerata la magia, che Plinio il Vecchio definisce "una scienza temibile e perversa", e che era condannata dalla legge romana. Nelle "Dodici Tavole" (451-450 a.C.) si prevedevano sanzioni per chi recitava incantesimi allo scopo di nuocere (malum carmen incantassit). La "Lex Cornelia de sicariis et veneficiis", opera del dittatore Silla (81 a.C.), prevedeva la pena di morte per gli omicidi e per chi praticava riti malefici (mala sacrificia). Inutile dire che la magia, col suo carico di sortilegi e maledizioni, nell'urbe aveva un grande successo.

Su una lastra di piombo s'incideva il nome esecrato, insieme con altri segni magici; s'introduceva tutto in un sepolcro o in un pozzo o in acqua bollente, e il gioco era fatto. Un modo complicato di "mandare al diavolo" la gente. Dall'odio all'amore il passo è sempre breve.

Quale amore non corrisposto avrebbe potuto resistere a un miscuglio di ossa di serpente, interiora di rospo ed erbe raccolte nei pressi di una tomba? Le vecchie megere, che si dedicavano a queste distillazioni, raccoglievano gli ingredienti preferibilmente negli stagni e nei cimiteri; esperte in veleni e sortilegi di ogni tipo, erano ricercate e temute al tempo stesso. Comunque, tutti i romani sapevano che, che a scanso di equivoci, era sempre consigliabile premunirsi appendendo, sul portone di casa, una barba di lupo.


Nessun commento:

Posta un commento